Re-inquadrare. Funzione intellettuale, cornice e istigazione (in una società di like e influencer) (Seconda parte)
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Sulla funzione intellettuale critico-provocativa e sulla solida persistenza della cornice acquisita
La funzione intellettuale critico-provocativa, va detto, è fisiologicamente esposta all’insuccesso. Questo tende a condizionare la figura dell’intellettuale che la interpreta, portandolo a interrogarsi su quale senso possa mai avere lasciarsi scivolare nella corrente dei “predicatori nel deserto”. La “cornice”, che la funzione intellettuale intende “provocare” mettendola in discussione, trae la sua tendenza a persistere da una solidità che non deriva da fattori banali[1]. Questo argomento merita un minimo di approfondimento.
Filosofi, psicologi, antropologi e sociologi hanno cercato, da tempo immemore, di spiegare le profonde, buone o comprensibili ragioni del perché gli esseri umani e le società siano inclini ad adagiarsi in schemi di pensiero e pratiche di vita accomodanti e dati-per-scontati, evitando di spezzarli almeno fino a quando tali schemi e pratiche non arrivano a opprimerli o a soffocarli[2]. Per dirla in termini semplici, individui, gruppi e società nel suo complesso vivono (perlopiù) di routine a automatismi. Non potrebbero presumibilmente vivere e sopravvivere se dovessero continuamente inventare, ripensare e pensare ex-novo in che modo fare o vedere una cosa: ciò sarebbe poco sostenibile nella vita quotidiana. Ma altro dovrebbe essere il beruf intellettuale (e che qui interessa).
Come ha efficacemente sintetizzato Etzioni con diretto riferimento alla sfera delle idee, all’interno di una società gli individui conducono la loro vita facendo riferimento a idee e conoscenze “stabili” e sono normalmente poco inclini a consentire a idee e conoscenze “trasformative” di mettere in discussione i presupposti di base e “dati per scontati” su cui sono fondate le loro idee e le loro conoscenze sul mondo, sui molteplici aspetti della vita (di ciascuno e collettiva). Le idee e le conoscenze “stabili” sono tali in quanto permettono dubbi e incongruenze, variazioni o dinieghi solo “secondari” o marginali, che sono agevolmente integrabili all’interno della “cornice culturale” consolidata e data-per-scontata. Mettere in discussione la “cornice” stessa del nostro sistema di idee e conoscenze (e pratiche) significa solitamente, per la maggior parte delle persone, uno sconvolgimento eccessivo, insostenibile per l’equilibrio e per l’identità personale o per l’equilibrio identitario della società nel suo complesso: «Una volta che è stata raggiunta una determinata concezione del mondo… diventa politicamente, economicamente e psicologicamente molto costoso trasformare queste certezze. E queste ultime tendono a profilarsi come tabù, e perciò a limitare la produzione di idee e conoscenze solo ad aspetti di dettaglio o secondari che restano all’interno della cornice creata dai presupposti di base e dati per scontati>>[3].
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VIDEO-CANZONE
Piccoli fiumi (Gianmaria Testa)
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La solida persistenza della cornice acquisita e la persistente ineludibile sfida di chi fa sua la funzione intellettuale critico-provocativa
La figura dell’intellettuale su cui sono andato concentrandomi ha, a mio avviso, responsabilità particolari. Queste concernono anzitutto l’elaborazione, la definizione, l’interpretazione e la giustificazione o meno dello stato d’essere di una società. Chi esercita la funzione intellettuale, come qui intesa, si occupa degli orizzonti culturali e di senso (al plurale) entro i quali si muovono le società, i sistemi politici, le scelte collettive e le finalità che impegnano e vincolano i membri di una comunità politica. Nondimeno, il potere culturale delle idee e della parola, il potere di porre domande e di sollevare questioni è un potere costantemente esposto a essere assoggettato ad altri poteri: al potere economico e a quello politico-istituzionale, al potere mediatico e a quello della macchina giuridico-burocratica, talora direttamente anche al potere coercitivo militare. Questi poteri, secondo loro peculiarità, tipicamente, da un lato, abbisognano, infatti, del potere culturale delle idee e della parola, dall’altro lato, dispongono di una varietà e abbondanza di risorse con le quali condizionare, blandire o cooptare coloro che sono in possesso degli strumenti che rendono attivabile e operativa la funzione intellettuale. La questione, come si può facilmente intuire, non è nemmeno questa delle più banali. Ed è una questione che si aggiunge o si sovrappone a quella richiamata nel paragrafo precedente.
Ciò detto, però, non posso fare a meno di sottolineare un “dato” che, almeno fino a nuovo avviso, rileva e che giova ricordare (fosse pure solo frutto di inguaribile ingenuità o sopravvivente retaggio di una causa già persa). Vorrei cioè ricordare che la funzione critica dell’intellettuale è risorsa irrinunciabile per costruire e rappresentare differenti orizzonti culturali (politico-culturali) e di senso di una società, orizzonti che giocano sia quando li si voglia difendere e diffondere, sia quando li si voglia criticare e contrastare. In particolare, la funzione intellettuale di cui qui parlo è (o dovrebbe essere) addirittura un imperativo in una democrazia. In una democrazia che sia tale non solo nel nome, ma anche nella cosa[4], la funzione intellettuale critico-provocativa deve essere ben tutelata dalla società e dalla politica. E questo, come forse ormai recitiamo stancamente e senza crederci, in ragione dei principi di libertà e di pluralismo con i quali identifichiamo una società democratica e qualifichiamo le sue pratiche quotidiane.
D’altra parte, avvalendoci del linguaggio sociologico di Parsons, la funzione intellettuale può essere considerata alla stregua di un “universale evolutivo-funzionale” riferibile a tutte le società, a partire da quelle “primitive”[5], tanto che, non a caso, tutte le società concedono o riconoscono a minoranze privilegiate il tempo, i mezzi e la possibilità di fare uso delle loro risorse culturali allo scopo di svolgere la loro attività intellettuale. Da qui deriva anche la peculiare libertà di opinione e di espressione tipicamente associata a questa funzione sul piano dell’autorappresentazione delle società liberaldemocratiche. In tale autorappresentazione, infatti, vengono affermati i valori del pluralismo, della critica e del dissenso, della “limitazione del potere” (in primis del potere di chi si trova nella condizione di esercitare una o l’altra forma di potere legittimo). Come sappiamo, tali valori sono, per così dire, “sacralizzati” e protetti dalle costituzioni liberaldemocratiche, costituzioni che il pensiero politico liberale-democratico e il costituzionalismo moderno-liberale considerano tali proprio in quanto “garantiste”[6]: ossia, in quanto garantiscono e proteggono la libertà dei cittadini dall’abuso e dall’arbitrio del potere costituito, limitandone altresì le pretese “assolutiste” che esso potrebbe essere in grado di esercitare nelle varie sfere della vita collettiva, pubblica e privata. Storicamente, occorre ricordare, è proprio in quest’ultima direzione che è andato il mutamento epocale dei principi politici occidentali, passando dal primato del principio della “ragion di Stato” nell’età moderna al primato dello “Stato di diritto e costituzionale” associato all’età contemporanea. Da questa limitazione del potere[7] discende il riconoscimento della legittimità del pluralismo politico, ma anche della legittimità del pluralismo nella sfera pubblica: è in quest’ultima dimensione del pluralismo che trovano sviluppo e accelerato riconoscimento incontriamo la libertà delle idee e di parola, i diritti di espressione, di opposizione e al dissenso, che arrivano a essere riconosciuti e definiti formalmente in punta di diritto – quanto meno “sulla carta”.
Considerando il pluralismo della sfera pubblica, ritengo che sul piano dei principi democratici la tutela costituzionale liberaldemocratica debba valere, in particolare, per la “parola contraria”[8]: ovvero “la parola contro il potere”. Contro questa tesi non manca chi indirizza facili accuse di illegalismo, di sovversivismo, di anarchismo, di “rivoluzionarismo”, di “disordinismo”, di “cattivomaestrismo”: questa “parola contraria”, si dice, genera e alimenta una cultura malata e tanto perversa da attentare al quieto e ordinato vivere civile. La faccenda, caro lettore, è meno semplice e più seria di quanto simili (ed equivoche) accuse vogliano lasciar intendere. Cerchiamo di capirci. Ovvero: ben sappiamo, naturalmente, che esistono codici giuridici preposti a disciplinare la materia del contendere: l’ordine sociale a fronte della libertà di pensiero e di espressione. Ma, a questo riguardo, dobbiamo anche essere consapevoli del fatto che abbiamo anche a che fare anche con codici morali o etico-politici (e non solo con norme di legalità): e sono tali codici morali o etico-politici che, alla radice delle cose, a loro volta orientano le stesse norme del “diritto positivo” e, in ultima istanza, nutrono le definizioni e le delimitazioni del “campo del dicibile”, del “campo del legittimamente dicibile”[9]. Ma anche queste definizioni e delimitazioni di derivazione morale ed etico-politica, sollevano esse stesse problemi delicati e sono spesso controverse. Non è un caso che a presiedere su queste stesse “delimitazioni del dicibile” sia, anche qui in ultima istanza, la sfera pubblica: la discussione pubblica innescata proprio da tali delimitazioni e dalla necessità che, ora da una parte ora dall’altra parte, si dia pubblicamente conto del senso e della legittimità delle linee poste a circoscrivere il “campo del legittimamente dicibile”.
La figura dell’intellettuale, come qui definita, con la sua funzione intellettuale, è (o dovrebbe essere) la figura “elettiva” di tale sfera pubblica e del dibattito pubblico. Questo non significa che altre figure e altri soggetti debbano restare ai margini – tutt’altro. Semplicemente, gli intellettuali rappresentano (o dovrebbero rappresentare), per una serie di motivi (solo in parte richiamati sopra), la punta dell’iceberg dell’opinione pubblica, libera, pluralistica e aperta al “confronto critico tra diversi” e alle dissenting views; essi sono (o dovrebbero essere), per così dire, il fattore simbolico e catalitico, che, dotato di “ragion critica” e “ragion pratica”, con “scienza” e “coscienza” dà risalto e dinamismo alla sfera e alle opinioni pubbliche. È per questo che se e quando la funzione intellettuale critica l’intellettuale viene “fermata”, “arrestata”, se e quando coloro che la interpretano e la esercitano sono ostacolati o intimiditi, “marchiati” o “devitalizzati” (magari con sottigliezza di metodi) a causa delle loro idee, tutto ciò deve provocare (dovrebbe provocare) inquietudine, scalpore e opposizione.
Vocazione (beruf) dell’intellettuale che lavora con le idee (e in questo senso qui definito come “ideologo”) è coltivare il “pensiero critico”: è questo l’ingrediente che dà una qualità aggiuntiva alla pubblica opinione. È per questa ragione che il pensiero critico non va fermato, non va ammanettato, neppure in modo figurato, indipendentemente dalle posizioni di merito su specifiche questioni, dai contenuti specifici delle idee o delle ideologie di cui può essere portatore chi svolge la funzione intellettuale. Quando, in reazione a idee professate pubblicamente, a critiche non gradite o rivolte ai poteri costituiti, quando in reazione al dissenso a cui viene data voce nei confronti delle idee dominanti, si ostacola o si nuoce alla funzione intellettuale, fosse pure con la dolcezza (o l’ipocrisia?) dei modi della “democrazia delle buone maniere”, la cosa deve destare preoccupazione. Almeno a me la desta. Perché simili pratiche debilitano o “compromettono” la funzione intellettuale, il potere della parola e l’energia delle idee critiche, provocative e oppositive che mettono in discussione la “cornice”, il potere costituito e la sua tendenza a “chiudere il discorso”. Anche qualora fossero diffusamente accettate (più o meno inerzialmente o sostenute attivamente), le pratiche ostative della funzione intellettuale restano fatti che destabilizzano i pilastri politico-culturali su cui regge la nostra idea di liberaldemocrazia. Lo ripeto all’infinito: ciò al di là del merito delle posizioni espresse dai portatori delle visioni dissenzienti e contestative.
Ma l’idea liberaldemocratica trova riscontro “fattuale” nel quotidiano vivere, nel quotidiano discutere, lavorare e scegliere delle nostre società? Questo è un altro paio di maniche. Ed è questione è meno scontata e molto più sottile di quanto possa apparire agli occhi, spesso conformisti o miopi, di un certo democraticismo panglossiano – che è elemento della “cornice” con cui oggi si tende a guardare il “nostro mondo” e di cui, perciò, fatichiamo a discutere criticamente.
La funzione critica dell’intellettuale “non si arresta”, non va arrestata: né con il carcere e le manette, né con la stigmatizzazione, né spegnendo i riflettori, né con la rimozione dei temi o distraendo l’attenzione sulle “idee provocative” e sulla “parola contraria”. Ma proprio di questo tipo sono, sempre più, i trattamenti riservati dai “difensori della cornice” non solo al “pensiero critico”, ma persino a figure intellettuali perfettamente integrate nel sistema culturale e politico-mediatico (e nella sua “cornice”) allorquando capita che esse si muovono “fuori dalla cornice” e profferiscano una “parola contraria”. Anche a queste figure, il cui profilo è spesso per molti versi declinabile in termini di “intellettuale tecnico” piuttosto che in quelli dell’“intellettuale ideologo” (come qui inteso alla luce della distinzione “idealtipica” sommariamente introdotta all’inizio), capita che l’originaria casa paterna e i sui figli, nipoti e famigliari vari non risparmino il bando e la scomunica.
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Per concludere
Tenere accesa la luce sulla direzione del cammino, sulle finalità emancipative di uomini e donne (piccoli e grandi) in marcia attraverso le storture della società; le impervietà della storia mai cessano di ripresentarsi ai contemporanei di ogni epoca. Hic Rhodus, hic salta! Qui sta la funzione critico-riflessiva dell’intellettuale (piccolo e grande) su cui mi sono soffermato. Si dirà: ma questa è la funzione di un malcapitato Sisifo che non realizza mai i suoi obiettivi. Sarà… Ma di questo “Sisifo non incatenato” all’ortodossia o al conformismo bastanti ai più, di questo Sisifo c’è bisogno. È anche a questi Sisifo “sconclusionati” (“senza conclusione” del loro lavoro) che dobbiamo essere grati se nel corso della storia qualche passo avanti è stato compiuto, a dispetto del fatto che i passi siano stati spesso incerti, avversati, censurati e scherniti; e a dispetto del fatto che tali passi all’Eden non hanno mai portato.
Oggi questa funzione critica dell’intellettuale è smarrita, spesso è impacchettata e sfigurata in podcast che prendono l’attenzione e i like dondolandoci con gli spot (caspita, davvero ben “profilati”!). Per tutto il resto, abbondiamo di tecnici, di “intellettuali tecnici”: si tratti di ingegneri delle tecnologie comunicative e delle tecno-scienze, di ingegneri sociali e della cultura o di “architetti delle scelte” che con le loro “spinte gentili” (nudges) disegnano le strade e le piazze del pensare e del professare, del valutare e del criticare. Abbondiamo di tecno-intellettuali ex pars princeps, che operano nell’amministrazione e nella regolazione dell’esistente. Sono figure stimate e proiettate nelle carriere, hanno a che fare con ruoli sognati dalle famiglie per i loro figli, e sognati dai figli stessi, rimandano a ruoli acclamati dalla società e dall’opinione corrente, a mansioni coltivate e ricercate dalla macchina produttiva, da quella mediatica e da quella politico-governativa. Per carità, si tratta di ruoli, figure e funzioni di cui mai mi sognerei di pensare che una società possa fare a meno[10]. Intendo affermare altro: 1) che lo spazio del lavoro culturale e della funzione intellettuale non si esaurisce (né è bene che si esaurisca) nella figura del tecno-intellettuale; 2) che lo spazio e la libertà dell’intellettuale-critico, della voice, della dissenting view, devono essere tutelati e rispettati, anche nel caso (specialmente nel caso) in cui si dà voce a posizioni a cui la nostra società spegne i riflettori dei palcoscenici sapientemente affidati a registi di variegata natura (politica, giuridico-costituzionale, economica, mediatica, accademica, di sinistra, di centro e di destra.
Allora vada per “Intellettuali di tutto il mondo unitevi!”. No, per carità. Questa è roba per chi fa politica in modo diretto. A me basta semplicemente dire a chi svolge una funzione intellettuale critica: liberate il pensiero, difendete la “parola contraria” e non accarezzate il pelo a nessuno.
P.s.: Un’amica che ha letto questo articolo in anteprima, alla fine è sbottata con uno sbigottito e frustrato: «Ma allora è un elogio dell’indifferenza?». No. Accidenti, come è difficile farsi capire. Ma grosso modo ho detto alcune cose che volevo dire. Chissà se la pazienza è ancora la virtù dei forti…
NOTE
[1] Qui tralascio il meccanismo della manipolazione, meccanismo assai complesso e sfaccettato, il quale: 1) fa parte della fisiologia del fare e del comunicare umano, 2) può essere ed è “strumentalizzato” dai soggetti agenti, secondo loro finalità; 3) e che entra nel gioco della “persistenza della cornice” come nel gioco del “cambiamento della cornice”.
[2] Tra diverse altre, istruttive (e accessibili) sono a questo riguardo le analisi proposte un E. Fromm, Fuga dalla libertà, Comunità, Milano, 1963; A. Schutz, Saggi sociologici, Utet, Torino, 1979; P.L. Berger, Th. Luckmann, La realtà come costruzione sociale, Bologna, il Mulino, 1966.
[3] A. Etzioni, Toward a Macrosociology, in “Academy of Management Proceedings”, 27, 1967, pp. 12-33.
[4] G. Nevola, Il “fatto democratico”, in A. Millefiorini (a cura di), Democrazie in movimento, Mimesis, Milano, 2022.
[5] T. Parsons, Sistemi di società, 2 voll., il Mulino, Bologna, 1971 e 1973.
[6] Per una messa a fuoco critica e non convenzionale del tema delle costituzioni rimando a G. Nevola, Le costituzioni, in M. Almagisti, P. Graziano (a cura di), La democrazia. Concetti, attori, istituzioni, Carocci, Roma, 2023, in corso di pubblicazione.
[7] Prima limitazione del potere del Re-sovrano, poi limitazione del potere del Popolo-sovrano, oggi limitazione del potere della Maggioranza-sovrana e del Governo-sovrano sottoposti alla Legge e alla Costituzione.
[8] Mutuo l’espressione da E. De Luca, La parola contraria, Feltrinelli, Milano, 2015.
[9] Sul tema, e sul rapporto tra “diritto positivo” e “diritto naturale”, in un quadro di teoria politica della democrazia rinvio a G. Nevola, Sulla laicità della democrazia nella società post-secolare, in “Sociologia del Diritto”, 1, 2018.
[10] Nel farlo, oltretutto, cadrei in palese contraddizione con quanto qui sostenuto.
(Pubblicato su questo sito il 17 dicembre 2023)
Ho letto con interesse sia la prima che la seconda parte. La tesi è chiara, inequivocabile. E, personalmente, la sposo interamente.
Giacché il ruolo dell’intellettuale che non voglia essere una mera ” pianta di principato “( Vittorio Alfieri, Del Principe e delle lettere) è esplicitato esaurientemente nella trattazione, non aggiungo davvero nulla. Mi permetto solo di pensare ai cosiddetti intellettuali di riferimento à la page en Italie : il loro conformismo al pensiero dominante e alle sue versioni, non solo è stucchevole nella sua prevedibilità ma è anche supponente e cinico. Pontificano dagli studios del potere, convinti di essere il sale della terra, e da zelanti attendenti, si fanno complici di un sistema socioeconomico abominevole nelle sue iniquità e crudeltà, mostrando senza brividi le loro coscienze imbiancate.
Ecco, per la mia epoca, da testimone, mi impressiona il grado di insensibilità di tali soggetti che vanno per la maggiore. Credo siamo a livelli parossistici che si toccano per cause e dinamiche complesse, con lo zampino dell’ebetismo social-digitale.
Infine, non per essere scontata, un riaffiorare di Gramsci, possibilmente non quello pronto per l’uso, da aforismario. Per esempio, leggere cosa scriveva di Filippo Turati, su L’ Ordine Nuovo , 12 gennaio 1921. Disturbante.