Re-inquadrare. Funzione intellettuale, cornice e istigazione (in una società di like e influencer) (Prima parte)

Re-inquadrare. Funzione intellettuale, cornice e istigazione (in una società di like e influencer) (Prima parte)

 

(IN SALA IL BRUSIO E’ ANDATO CRESCENDO…)

Mmm… Siate comprensivi, per favore, un po’ di silenzio. Diamo subito la parola a George Orwell. Grazie.

GEORGE ORWELL PRENDE LA PAROLA…  (SIAMO NEL 1948  – No, ma se volete divertitevi pure a invertire gli ultimi due numeri o a immaginare di essere nel 2023).

 

Gentili signore e gentili signori…

Voglio solo sottolineare che il tipo di Stato che ci governa dipende necessariamente, almeno in parte, dall’atmosfera intellettuale dominante… Sono interessato all’effetto che le idee politiche e la necessità di schierarsi politicamente producono sulle persone di buona volontà.

Questa è un’età politica…

L’autentica reazione a un libro, ammesso che ci sia una reazione, di solito è “questo libro mi piace” oppure “non mi piace”… “questo libro sta dalla mia parte, quindi devo trovarci dei pregi”. Naturalmente, quando elogiamo un libro per ragioni politiche possiamo essere emotivamente sinceri, nel senso di approvarlo davvero in modo convinto; ma spesso capita che anche la fedeltà di partito richieda una palese menzogna… Ad ogni modo, innumerevoli libri a favore o contro la Russia…, a favore o contro il sionismo, a favore o contro la Chiesa cattolica e così via vengono giudicati prima di essere letti, e in realtà ancor prima che siano scritti. (…)

In noi si è sviluppata… una coscienza delle enormi ingiustizie e miserie del mondo (…)

Il letterato moderno vive e scrive nel costante terrore – non dell’opinione pubblica in senso lato, ma dell’opinione pubblica all’interno del proprio gruppo di riferimento. Fortunatamente, di solito c’è più di un gruppo; però in qualsiasi momento c’è anche un’ortodossia dominante. E per andare contro tale ortodossia e necessario avere la pelle dura, oltre a prepararsi a vedere dimezzati i propri introiti per anni e anni (…). Le parole chiave sono ‘progressista’, ‘democratico’…, mentre le etichette da evitare a tutti i costi sono… ‘reazionario’ e ‘fascista’. Oggigiorno quasi tutti… sono ‘progressisti’, o almeno vorrebbero apparire tali. (…)

L’obiettivo implicito di questa ortodossia è una forma realizzabile di società che un gran numero di persone sembra davvero desiderare. Ma anch’essa ha le sue falsità, le quali – essendo inammissibili – rendono impossibile discutere seriamente di alcune importanti questioni (…)

Questa ideologia perfezionista è perdurata in quasi tutti noi… Ma nelle nostre menti – a furia di sbattere la testa contro la realtà – abbiamo accumulato anche un buon numero di contraddizioni che non possiamo ammettere. (…)

La crisi in cui ci troviamo adesso non è una calamità improvvisa e inattesa come un terremoto, né è stata provocata dalla guerra, semplicemente è stata accelerata da essa. Già da qualche decennio era possibile prevedere che sarebbe accaduto ciò che stiamo vivendo oggi. (…) In effetti, a forza di sentirsi dire che erano gli sfruttati, buona parte degli operai aderirono con convinzione al socialismo; ma la cruda verità era che, su scala mondiale, erano anch’essi sfruttatori. Ora, a quanto pare, siamo arrivati al punto in cui il tenore di vita della classe operaia non può essere mantenuto, figuriamoci innalzato. (…)

È molto più prudente eludere il problema (…)

Accettare un’ortodossia significa ereditare contraddizioni irrisolte. Prendiamo ad esempio il fatto che tutte le persone sensibili sono disgustate dall’industrialismo e dai suoi frutti, e allo stesso tempo sono ben consapevoli che la sconfitta della povertà e l’emancipazione della classe operaia richiederanno un’industrializzazione sempre maggiore, non certo minore. Oppure consideriamo il fatto che certi lavori sono assolutamente necessari, eppure non vengono mai svolti se non attraverso qualche forma di coercizione. (…) E gli esempi potrebbero moltiplicarsi. Per ognuno di questi casi c’è una conclusione perfettamente semplice, ma che può essere tratta solo se si è intimamente sleali nei confronti dell’ideologia ufficiale. La reazione più comune è quella di accantonare la domanda – lasciandola senza risposta – in un angolino della propria mente, continuando a ripetere slogan contraddittori! Non è necessario condurre ricerche troppo approfondite su riviste e periodici per scoprire gli effetti di questo modo di pensare. (…)

Uno scrittore… non dovrebbe mai rinunciare a seguire una linea di pensiero solo perché quella via potrebbe condurlo all’eresia, né dovrebbe importagli molto se, come probabilmente accadrà, la sua mancanza di ortodossia sarà scoperta. (…)

La gran parte di noi nutre ancora la tenace convinzione che ogni scelta, anche in politica, sia una scelta tra il bene e il male, e che se una cosa è necessaria è anche giusta. Credo però che dovremmo sbarazzarci di questa idea da scuola materna. In politica non si può fare molto di più che decidere quale sia il male minore, e ci sono situazioni da cui si può uscire solo comportandosi da diavoli, o da folli. (…) per la maggior parte delle persone il problema non si presenta in questa forma, perché le loro vite sono già divise: sono davvero vivi solo nelle ore di svago, e non c’è alcun legame emotivo fra il loro lavoro e la loro attività politica. E in nome della fede politica non si chiede loro neppure di degradarsi come lavoratori… Allo scrittore, viene chiesto esattamente questo – in effetti è l’unica cosa che i politici gli chiedono davvero. Se rifiuta, non è detto che sia condannato all’inattività. Una parte di lui, che in un certo senso rappresenta tutto per lui, può agire con risolutezza e persino, se necessario, con una violenza pari a quella di chiunque altro. Ma i suoi scritti, nella misura in cui abbiano un valore, saranno sempre il prodotto del suo sé più sano – che si fa da parte, che registra le azioni che vengono compiute e ne ammette la necessità – ma che rifiuta di farsi ingannare sulla loro vera natura.

(G. Orwell, Gli scrittori e il Leviatano (1948), in G. Orwell, Il potere e la parola. Scritti su propaganda, politica e censura, Piano B edizioni, Prato, 2021, pp.107-118, passim)

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Bene. Grazie. Ringraziamo George Orwell per aver voluto partecipare con un suo contributo al nostro incontro. Ora passiamo serenamente ad annoiarci con quanto segue. Sul tavolo là in fondo, per chi non è interessato, ma desidera restare a far passare il tempo facendo due chiacchere con gli amici, ci sono patatine, birra, bibite e popcorn. Prego.

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  1. Premessa

Non voglio entrare nel merito delle posizioni assunte da un intellettuale o l’altro su una qualche questione che ha attratto l’attenzione pubblica nello scorrere del tempo contemporaneo. È un’altra, e più basilare, la questione che intendo richiamare: la funzione intellettuale.  La funzione intellettuale può assumere differenti forme, ma qui vorrei sottolineare che essa contempla anche e in particolare un legame speciale con il pensiero critico, e quindi con la libertà, con il diritto di opposizione e di espressione del dissenso. Un pensare critico che nessuna società che ambisce a definirsi liberale e democratica dovrebbe mai, larvatamente o meno, sconfessare.

 

  1. La funzione intellettuale: sfera delle idee, potere e contro-potere

Ciò che intendo mettere in rilievo è che la figura dell’intellettuale ha a che fare con la sfera delle idee. Il termine “idea” è radicato etimologicamente nel greco antico, in un verbo che indica “vedere” ed è sintetizzabile nella formula “io vedo”. Ma la figura dell’intellettuale non per questo è avulsa dalla “sfera del fare” e, quindi, dalla “sfera del potere (fare)”: insomma, rimanda anche alla formula “io posso”[1]. Attraverso le idee e il “lavorare con le idee”, la figura e la funzione dell’intellettuale esercitano un potere, ovvero operano nella sfera del potere. Ciò attraverso alcune principali modalità: 1) entrando direttamente nei circuiti o nelle istituzioni del potere costituito; 2) cercando di influenzare e condizionare orientamenti o scelte autoritative di una serie di apparati e istituzioni che esercitano forme di potere pubblico; 3) alimentando la così detta “fabbrica del consenso”, e cioè legittimando o giustificando (su una varietà di piani e secondo una varietà di principi, criteri e tecniche) gli apparati, le organizzazioni e le istituzioni del potere, come pure gli obiettivi che questi ultimi perseguono con le loro decisioni collettive; 4) opponendosi e lottando contro i poteri costituiti, criticando il potere, elaborando argomenti di dissenso a proposito delle idee e delle scelte che ispirano gli obiettivi e le decisioni delle autorità pubbliche, ovvero schierandosi dalla parte di un qualche “contro-potere” (e delle idee e organizzazioni collettive che lo nutrono): insomma, operando come costruttori o provocatori del dissenso anziché come costruttori o provocatori del consenso.

Esprimere le proprie idee, specie quelle che danno voce alla “parola contraria”, seguendo quel senso del criticare che è esercizio della kantiana “ragion critica”, costituisce il cuore di un regime di libertà. Un regime di libertà che per essere tale non deve “imprigionare” le idee, nemmeno qualora esse possano essere (ritenute) sbagliate e non solo sgradite: come ebbe lucidamente ad argomentare già parecchi secoli fa John Milton, nella sua Areopagetica[2].

  1. Chi sono gli intellettuali? La funzione degli intellettuali

Ma chi sono gli intellettuali? Qui non mi interessa identificarli e qualificarli in base allo specifico lavoro professionale che essi possono svolgere, ad esempio in base alla tradizionale distinzione tra lavoro manuale e lavoro intellettuale o alla loro collocazione nel settore primario, secondario, terziario o “della conoscenza”. Insomma, non è detto che coloro che operano nel settore terziario o della produzione simbolica e “svolgono un lavoro intellettuale” (anziché un “lavoro manuale”) siano per ciò stesso da considerare rientranti nella figura dell’intellettuale. Qui mi preme evidenziare alcuni essenziali caratteri identificatori e classificatori della funzione (sociale, culturale, politica) intellettuale. Messa a fuoco in radice, dal mio punto di vista tale funzione primariamente non deriva rigidamente da un qualche sistema di stratificazione sociale ed economica delle professioni o delle loro retribuzioni e compensi, e neppure dalle differenti modalità di reclutamento e di carriera delle varie professioni. A monte di questi criteri di distinzione, infatti, la peculiarità della funzione intellettuale rimanda alla definizione del posto che le idee hanno (o dovrebbero avere) in una società, e ciò – lo sottolineo – indipendentemente dagli specifici contenuti, colori ideologico-politici o valori che tipicamente sono associati alle diverse idee messe in circolazione nel mondo o in data una società.

I giudizi di valore portano facilmente, e a volte grossolanamente, a etichettare in vario modo le idee e a disporle lungo una molteplicità di assi tipicamente definiti da contrapposizioni: contrapposizioni talora storicamente sedimentate (idee reazionarie vs. conservatrici vs. progressiste, idee tradizionali vs. rivoluzionarie, moderate vs. radicali, idee libertarie vs. autoritarie, o liberali vs. populiste, di destra vs. di sinistra, idee laiche vs. confessionali, idee nazionaliste vs. europeiste vs. cosmopolitiche, ecc.), oppure contrapposizioni più nuove (idee negazioniste vs. “confermazioniste”, idee dietrologiche vs. “davantiologiche”, ecc.). Ma andiamo oltre queste contrapposizioni legate a giudizi di valore. Ciò che qui mi interessa, ripeto, è il rilievo che si dà oppure no alle idee in generale, ovvero il riconoscimento che si dà oppure no alla rilevanza del fatto che le idee e le battaglie sulle e per le idee contano e pesano nel definire una società e il suo sviluppo o mutamento nel corso del tempo. Non c’è bisogno di scomodare Marx o Gramsci per capire la portata strategica, e a mio avviso decisiva, della funzione intellettuale che lavora con le idee, e che usa le idee come strumenti o come armi.

È utile tenere presente che nella società contemporanea, ma con ascendenti ben più antichi, la figura dell’intellettuale opera secondo differenti modalità. Per comodità espositiva, sul piano analitico-concettuale possiamo distinguere tali modalità secondo due principali “tipi ideali”[3] (come intesi nella sociologia di Max Weber), tipi che la letteratura in tema di intellettuali spesso definisce nei seguenti termini: 1) modalità dell’“intellettuale ideologico”, cioè colui che elabora e lavora con le idee o “visioni del mondo”; 2) modalità dell’“intellettuale tecnico”, cioè colui che elabora e lavora con le pratiche o “tecniche del mondo”. Il primo tipo di figura intellettuale tende a concentrarsi sui fini in gioco nell’agire degli uomini; il secondo tipo tende a concentrarsi sui mezzi con i quali gli uomini cercano di perseguire i fini, con la tendenza a considerare dato e scontato il fine. Tale giustapposizione, invero, non esclude (tutt’altro) che l’“ideologo” per elaborare i fini ricorra anche alle conoscenze tecniche relative ai mezzi per realizzarli, né che il “tecnico” possa operare anche con una qualche idea dei fini che conferiscono un “senso” (una “direzione”) alla sua expertise riguardo ai mezzi.

Dato che in questo articolo mi concentrerò soprattutto sulla funzione intellettuale che caratterizza il tipo ideale dell’intellettuale ideologo, è bene precisare brevemente fin da ora che cosa è un’ideologia, ovvero quale significato si attribuisce alla nozione[4]. Etimologicamente, il termine sta per “discorso a mezzo di idee” o “linguaggio delle idee e sulle idee”. Nella storia del pensiero filosofico e delle scienze sociali ritroviamo alcune divaricazioni assai rilevanti sul modo in cui il concetto viene inteso e utilizzato.

Stando alla prima divaricazione, il concetto di ideologia si presenta secondo due accezioni: 1) ideologia come “falsa coscienza”, nel senso di Friedrich Hegel e di Karl Marx; 2) ideologia come “immagine del mondo”, nel senso di Max Weber e di Karl Mannheim. Su questo versante la visione dell’ideologia a cui ho ancorato la modalità dell’“intellettuale ideologo” su cui qui mi soffermerò cade sulla seconda accezione.

Stando alla seconda divaricazione, troviamo che il concetto di ideologia assume un ulteriore sdoppiamento del suo significato, a seconda che è intesa come: 1) un fenomeno che attiene alla “struttura del reale” (ideologia come elemento “sovra-strutturale” della società), là dove, come detta la tradizione marxista, il solo elemento “strutturale” delle società è costituito dall’economia e dai rapporti di forza tra lavoro e capitale: 2) un fenomeno che attiene alla “infra-struttura del reale” (ideologia come elemento “infra-strutturale” della società), ossia, come suggerisce la tradizione weberiana, un fenomeno culturale al pari di ogni altro fenomeno storico-sociale (politica, forza, economia, religione, diritto, conoscenza, scienza, arte, usi e costumi e credenze ecc.). Su questo versante, la visione dell’ideologia a cui riconduco la modalità dell’“intellettuale ideologo” cade, ancora una volta, sulla seconda accezione.

Dunque, per chiudere il cerchio a proposito dell’ideologia, riassumo dicendo, in primo luogo, che l’“intellettuale ideologo” a cui mi riferisco è, per dirla semplicemente, l’intellettuale che lavora con le idee e le immagini del mondo; in secondo luogo, che le idee e le immagini del mondo sono fenomeni della società “reali” tanto quanto lo sono i fenomeni di altra natura, e cioè non sono “epifenomeni” deterministicamente determinati dalla sfera dei rapporti economici. La sfera della cultura, in generale, è infatti omnicomprensiva, essa (ideologia inclusa) non è necessariamente “oppio dei popoli” a cui ricorre la classe dominante o egemonica per sottomettere altre classi sociali, bensì: a) può essere usata e storicamente è stata sempre usata anche con queste finalità; b) tale uso è costitutivo di pressoché le pratiche di tutti i gruppi o classi sociali; c) di conseguenza, tale uso della cultura dà espressione a quelle che possiamo definire “guerre culturali” per il potere, il dominio o l’egemonia, i quali passano attraverso le risorse fondamentali del significato e delle rappresentazioni delle cose della vita collettiva; d) infine, come in ogni guerra, c’è chi vince e chi perde, sulla base di una varietà di risorse che i soggetti detengono o sanno sfruttare meglio, là dove in tali guerre strumento e posta in gioco fondamentali sono proprio “stabilire come è e  come funziona il mondo”, ovvero il “significato delle cose”, la “cornice” entro la quale si vedono e si interpretano i fenomeni e i valori della vita collettiva (compresi i fenomeni dell’economia e dell’uso di forza e violenza per fare del male e procurare danno alla controparte). In tutto questo le idee, le immagini, le rappresentazioni, il linguaggio e la parola giocano una parte decisiva. Ed è con queste cose che lavora la funzione intellettuale, a partire da quella che svolge il nostro “intellettuale ideologo”, ora per giustificare ora per criticare una o l’altra “cornice interpretativa”. Ma attenzione. Affinché il “gioco possa essere una partita aperta”, affinché nessuno possa, per così dire, vincere una volta per tutte o sempre, e affinché il perdente di oggi abbia qualche chance di vincere o di farsi valere domani, è necessario criticare, provocare e sfidare la “cornice di senso” dominante, che tipicamente è associata e promossa dal potere costituito, ma che non è affatto detto che sia per definizione la migliore possibile ovvero a tutti gradita. Da qui la delicata importanza della funzione intellettuale critica di cui si fa carico l’intellettuale ideologo: tenere aperte le alternative, mantenere il pluralismo e la libertà su come pensare e valutare il mondo, senza che si perda la possibilità di cambiarlo (perché no?) in meglio[5].

Quando pensiamo alla funzione intellettuale nel mondo contemporaneo non possiamo fare a meno di riferirci a un mondo permeato dalla scienza, ossia da un sapere mondano e da una conoscenza secolarizzata, e non già da saperi e conoscenze ancorate a una trascendenza divina o extra-mondana. Di più, e per molti aspetti paradossalmente: la scienza è diventata, a suo modo, la nostra religio, o una sorta di equivalente funzionale della religione in abiti laici e secolari. Ciò detto, è tuttavia assai superficiale, ingenuo o ingannevole ritenere (come spesso si fa oggi) che questa “nuova fede religiosa” sia unica e univoca (e cioè monoteistica) e non già plurima e plurivoca (e cioè politeistica): è superficiale, ingenuo o ingannevole pensare che le conoscenze e i saperi scientifici abbiano una validità assoluta e “oggettiva” anziché relativa, “soggettiva” o, meglio, “intersoggettiva”.

VIDEO

Walkin in the park with Eloise (P. McCartney, Floyd Kramer & Chet Atkins) 

  1. Ancora sulla funzione intellettuale. Il potere della parola e delle domande di fronte alla cornice: provocare (dubbi) e istigare (alla ricerca)

Nel corso della storia la figura dell’intellettuale, per un motivo o l’altro, non ha sempre goduto del plauso dell’opinione pubblica e dei detentori del potere. E un certo atteggiamento “anti-intellettuale” è ben presente anche ai nostri giorni. Nondimeno, alla funzione intellettuale, e alle figure che la svolgono, tutte le società hanno sempre riservato compiti delicati, anche se nel corso dei secoli e nelle diverse culture è via via mutato il profilo di chi viene chiamato a svolgere dette funzioni intellettuali.

La funzione intellettuale è un fenomeno complesso a articolato. Per cercare di definirla, con una formula icastica, faccio ricorso a un’espressione cara a Kant: “uso pubblico della ragione” – senza per questo fare mia tutta la filosofia kantiana o il kantismo (spicciolo o colto che sia). In questo senso, all’interno di una società l’intellettuale svolge un peculiare ruolo pubblico: la funzione intellettuale è anzitutto l’arte di rappresentare pubblicamente, di incarnare, articolare e “dare voce” a un messaggio, a un punto di vista, a una visione del mondo o di un particolare problema di fronte a un pubblico e per un pubblico. Insomma, come ha osservato Isaiah Berlin, l’intellettuale è guidato dalla consapevolezza di trovarsi in una scena pubblica, dove è chiamato a testimoniare[6]. L’assolvimento della funzione intellettuale, in ampia misura e in ultima istanza, è persino indipendente dal fatto che egli si trovi effettivamente davanti a un pubblico oppure no: l’intellettuale comunque libera la sua parola e la sua voce dalle pareti dello spazio privato affinché esse possano viaggiare nello spazio pubblico, tra le correnti che attraversano la res publica. Ciò, però, a una condizione: che alla res publica non sia impedito di essere “pubblica”, aperta e libera, che essa non sia trasformata in una fortezza chiusa da mura, torri, fossati e guardiani che sbarrano la circolazione delle idee al suo interno.

Ma c’è un ulteriore elemento che specifica e qualifica la figura dell’intellettuale: la funzione di “provocare” il pubblico, di “istigarlo” a riflettere e a ripensare le idee comunemente date per scontate, la funzione di «sfidare ortodossie e dogmi e non di generarne, di non lasciarsi facilmente captare da governi o imprese, di trovare la propria ragion d’essere nel fatto di rappresentare tutte le persone e le istanze che solitamente sono dimenticate oppure censurate>>[7].

Prima ancora che fornire risposte e soluzioni “giuste”, l’aspetto più importante e difficile che qualifica la funzione intellettuale è quello di mettere a fuoco le domande “giuste”. La funzione dell’intellettuale sta, oltre che nell’“arte di provocare”, nell’esercizio di quello che chiamerei “il potere delle domande”. La funzione intellettuale è quella di porre e di aprire “questioni”. Nel discorso che sto facendo, “questione” è parola saliente: come è esplicito nella lingua inglese, la parola question contiene la parola quest, ossia “ricerca”. D’altra parte, «le domande rappresentano la cornice dove si depositano le risposte>>[8]. Porre domande e questioni, dissentire e opporsi a una determinata visione o corso delle cose e definizioni date dei problemi e delle soluzioni significa stimolare a “cambiare cornice”, a “re-inquadrare”, e cioè a modificare la gamma delle cose che vediamo, dei problemi e delle soluzioni. Significa istigare a riflettere e a ricercare.

“Coltivare il disaccordo” è una pratica che favorisce l’apprendimento e la conoscenza collettivi. Quando, in un qualche contesto culturale e politico, si esprime un disaccordo nei confronti di una certa posizione, ciò implica indurre e “costringere” chi la sostiene ad approfondirla, a darne conto e “giustificazione”: porre domande, aprire questioni (questionare) e opporre dissenso sono pratiche generative di conoscenza e di comprensione del mondo, in uno o l’altro dei suoi piccoli e grandi aspetti. La funzione intellettuale, in questo caso, opera come un catalizzatore della comprensione dei problemi: interroga e perciò mette in discussione quei presupposti che, come barriere “invisibili” e accettate, limitano il nostro pensiero; interroga e cerca di abbattere i muri che impediscono la vista. In questo caso, l’interrogazione non mette necessariamente nessuno all’angolo o alla gogna.

(Fine Prima parte – Continua)

NOTE

[1] “Saper è potere” è una formula che siamo soliti a ricondurre a Foucault, e che a lui deve oggi la sua notorietà ma anche le molte prese di distanza da essa da parte dei numerosi critici del filosofo francese. Tuttavia, a quanto ne sappiamo, la formula è stata coniata o codificata da Francis Bacon, con un aforisma latino a lui attribuito (Scientia potentia est). Con differente significato rimanda altresì a Thomas Hobbes. Insomma, oltre che a Foucault, abbiamo a che fare con due padri del razionalismo moderno, di quello scientifico (Bacon) e di quello politico (Hobbes). Ma non dimentichiamo la figura del Re-filosofo di Platone.

[2] J. Milton, Areopagetica. Discorso sulla libertà di stampa (1644, Bompiani, Milano, 2002.

[3] Come è noto, in senso weberiano il tipo ideale è un costrutto, uno strumento analitico utile per condurre l’analisi di un fenomeno: non è di per sé “ideale” nel senso di desiderabile, né è un descrittore empirico.

[4] Che cos’è un’ideologia è un tema che merita un discorso a parte, e che conto di destinare ad altra occasione.

[5] Per la concezione della politica e della democrazia che sta a monte di questi argomenti: G. Nevola, Il “fatto democratico”, in A. Millefiorini (a cura di), Democrazie in movimento. Contributi a una teoria sociale della democrazia, Mimesis, Milano, 2022.

[6] I.Berlin, Il riccio e la volpe, Adelphi, Milano, 1986.

[7] E. Said, Dire la verità. Gli intellettuali e il potere, Milano, Feltrinelli, 2014.

[8] T. Seelig, How Reframing a Problem Unlocks Innovation, 19 maggio 2013, reperibile sul sito www.fastcodeseign.com.


(Pubblicato su questo sito il 10 dicembre 2023)

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