(Uscito su “Società Mutamento Politica. Rivista Italiana di Sociologia”, vol. 9, n. 18, 2018 – Pubblicato su questo sito il 25 agosto 2019)
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Il 1968 è una data simbolica che si riferisce a uno specifico anno ma anche, e soprattutto, ad un intero periodo storico. I caratteri identitari di questa stagione storica cambiano a seconda degli aspetti o dei contesti nazionali, politici e culturali che decidiamo di ricostruire o di ricordare. La fenomenologia del “lungo 68” si disloca su una sorprendente molteplicità di livelli: generazionale e valoriale, della mentalità e dei costumi, dell’economia, della politica e dell’ideologia. Ma dell’ultimo mezzo secolo osserviamo anche cambiamenti nella cultura politica che ha “processato” la «memoria pubblica del 68». La storiografia, la scienza politica e la sociologia non sono riuscite ad offrire letture stabili del 68. Perché? Per cercare di rispondere, in questo saggio riteniamo necessario storicizzare e periodizzare, occupandoci in particolare del “lungo 68 italiano”. Distinguiamo “tre 68”, tre stagioni del 68: 1) la “primavere-estate” (1966-1969); 2) l’”autunno del 68” (1969-1972); 3) l’”inverno del 68” (1972-1978). Sottolineiamo che il “secondo 68” è la stagione decisiva per comprendere l’intera parabola del 68: dall’«idealismo attivo» dei movimenti studenteschi agli «anni di piombo» della lotta armata terroristica. Questo saggio non intende offrire risposte conclusive sul significato della stagione del 68: in questa sede non siamo interessati tanto a “chiudere il discorso sul 68” quanto piuttosto a riaprirlo. Riteniamo che questo compito di “riapertura del discorso” spetti alle generazioni del “dopo 68”. Guardare alla nostra eredità del 68 ci fornisce una base e argomenti fecondi per comprendere il mondo di oggi, il suo «malessere democratico», i chiaroscuri della cultura politica «civico adattiva» del post-68: ossia i nostri tempi, caratterizzati da nuove e differenti ondate di politica anti-sistema. Se siamo capaci a rileggere “il 68 oggi” con «occhi diversi» possiamo trovare prospettive di analisi della nostra «strana democrazia» e gettare così luce su dove siamo, su dove stiamo andando o su dove vorremmo andare.
caro Rino,
per buttarla in politica, del tuo corposo saggio sul sessantotto che richiede una attenta lettura sottolinerei l’attualtà in particolare del puno 4: la lettura di tre studi recenti che ruotano intorno alla tragica ricorrenza della strage di piazza Fontana (autori Benedetta Tobagi, Paolo Morando e Paolo Brogi ) ci aiuta a capire, attraverso la ricostruzione di quanto avvenne mezzo secolo fa, da dove trae origine la grave crisi democratica che il nostro paese sta attraversando. Per l’attentato del 12 dicembre 1969, sulle cui vittime e su quelle che seguirono, primo Giuseppe Pinelli, grazie ai meritevoli lavori citati, viene fatta nuova luce, e nonostante i punti oscuri che permangono, possiamo trarre la conclusione che per un’intera generazione, quella della contestazione globale dell’esistente, il 12 dicembre fu la pietra tombale che insieme alla morte di Aldo Moro pose fine alla stagione della speranza. Sono seguiti decenni in cui la ricerca della verità non è stata al primo posto dell’agenda dei partiti e movimenti politici, e di ciò paghiamo ancor oggi le conseguenze. Si è creduto di poter vivere in un eterno presente, ignorando le nostre strutturali debolezze consegnateci dalla storia. Non deve quindi meravigliare il fatto che fra i passaggi epocali di un Paese senza memoria toccherà annoverare il 22 agosto 2019, giorno in cui il Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella con la sua dichiarazione sull’andamento della crisi di governo ha certificato l’inadeguatezza dell’intero sistema politico nazionale nell’affrontare la grave situazione in cui versa il Paese . A fronte di una crisi di governo pienamente parlamentare, fatto di per sé inedito per il sistema Italia, le soluzioni prospettate dalle forze politiche risultano del tutto inadeguate: emblematica la stravagante trattativa sul taglio del numero dei parlamentari, che slegata da una profonda revisione costituzionale nulla di buono porterebbe al Paese. Il confusionismo politico ha raggiunto vette impensabili,in un braccio di ferro fra partiti sui punti qualificanti di un possibile governo e all’interno degli stessi sulla definizione dei punti prioritari. La proroga di 5 giorni concessa da Mattarella a partiti inconcludenti non potrà avere altro esito che lo scioglimento delle Camere. Attrezziamoci ad affrontare l’aggravamento della crisi: il contesto internazionale ci dice che per l’Italia la festa è finita, che dobbiamo contare sulle nostre forze, senza i dollari e rubli benevolmente concessi in passato, e dimostrare finalmente che i moniti di Leopardi sul carattere degli italiani trovano finalmente ascolto dalla compagine repubblicana che dovrà presentarsi davanti al giudizio degli elettori con parole di verità.
Vincenzo