Il puzzle migratorio e l’uomo “animale politico”. Convivenza, numeri piccoli e grandi, diritto

(Uscito con titolo leggermente diverso su “l’Adige”, 12 agosto 2019; “Alto Adige”, 10 agosto 2019 – Pubblicato su questo sito il 13 agosto 2019)

Fortemente voluto dal vicepremier Salvini, il “decreto sicurezza bis” è passato anche al Senato, dove il paventato dissenso del M5S è sostanzialmente rientrato. Dai banchi del PD un cartello tuona: «La disumanità non può diventare legge!». L’understatement non gode di buona salute, di questi tempi. E sia: questione migratoria. Ma prendiamola alla larga (apparentemente).

L’uomo è un animale “politico”. Per sua natura vive in società con altri uomini, “vive insieme” nella polis, in uno spazio pubblico condiviso. Questa è l’antica sentenza di Aristotele, che in qualche modo si rinnova ogni giorno. Per vivere insieme, però, in quanto uomini abbiamo bisogno di regole e norme, di principi che convincano e soddisfino i singoli individui e le collettività ora più ora meno eterogenei per credenze e culture, per interessi e bisogni, per capacità di adattamento gli uni agli altri o di supremazia di alcuni su altri.

Gli uomini convivono e si integrano. Ma in ragione delle loro diversità entrano anche in tensione e contrapposizione tra loro, sono reciprocamente diffidenti o avvertono paure nei confronti degli altri. Secondo una “legge” resa nota dal politologo liberal Dahl, insegnata nelle università di mezzo mondo, maggiore è il numero di coloro che si trovano a convivere in uno stesso spazio, maggiore è il loro grado di eterogeneità, maggiori le possibilità che sorgano conflitti. Per quanto autorevole, la teoria della democrazia elaborata da Dahl in decenni di studi ha, a mio avviso, vari e pesanti limiti, nondimeno questa “legge” mi pare a prova di bomba. Soprattutto quando ci riferiamo a una convivenza tra diversi (eterogeneità) e nella libertà (pluralismo), le regole che gestiscono il “vivere insieme” diventano sempre più complicate, le norme più complesse, i principi che le giustificano si rivelano più contraddittori e controversi: governare e mantenere un qualche ordine collettivo è più complicato, complesso, contraddittorio e controverso quando lo spazio di convivenza, un territorio materiale o immaginato, si dilata a dismisura. È quanto capita con i processi di globalizzazione della nostra epoca. Così, regolare i comportamenti e le culture del “vivere insieme tra diversi”, regolare la mobilità degli individui e dei gruppi attraverso i luoghi o tra i continenti, regolare la libera circolazione dei loro bisogni, dei loro desideri e del loro soddisfacimento diventa un'”impresa da Dio”, specie sotto quell’enigmatico mito fondativo e morale dell’azione umana che è la libertà. Diventa addirittura un’impresa inaudita: mettere d’accordo gli dei dell’Olimpo, cosa che nemmeno a Zeus riusciva. Nel mondo secolarizzato della nostra modernità si tratterebbe di armonizzare quel politeismo dei valori che Max Weber, sulla scia di Nietzsche, giudicava irriducibile, non a torto.

Il diritto è chiamato a fornire gli strumenti per regolare la convivenza tra diversi. Ma i sistemi di diritto sono stati pensati, costruiti e circostanziati guardando ai piccoli numeri e ai singoli individui. Questo carattere del diritto è prominente nella tradizione occidentale moderna e liberale: io ho il diritto di viaggiare in aereo, se pago il biglietto, se ho un documento di identità validato dalle autorità e, per dire, se non mi presento ubriaco a bordo. Del resto, è molto difficile pensare alla vita degli uomini in termini di grandi numeri. Basti prestare attenzione ai media: in fondo si è alla ricerca di storie individuali, di singole persone, buone o cattive, ci interessano volti distinti. Così, mutatis mutandis, vanno le cose anche con il diritto. Abbiamo bisogno di identificare. L’individualizzazione è la premessa su cui, pure nella nostra civiltà globalizzante, si formano i diritti e i doveri, le responsabilità, le carriere e i destini. Ma cosa succede se migliaia di persone tutte insieme, in tempi ravvicinati, si muovono con direzioni univoche da un luogo all’altro, da un continente all’altro, fuori dagli schemi di regolazione dei comportamenti, ciascuno per le sue ragioni, buone o cattive che siano? Saltano i sistemi di governo della convivenza tra diversi, i movimenti delle persone, alla fine, diventano incontrollabili, le regole e il diritto perdono efficacia, il clima sociale e culturale si avvelena, il discorso pubblico annaspa. È il caso dei flussi migratori oggi, soprattutto se li pensiamo in chiave storica, con uno sguardo lungo, fosse solo da qui a vent’anni.

Di fronte ai movimenti migratori di oggi non basta fare valutazioni guardando alla barca del giorno, all’emergenza umanitaria del momento, aprendo e chiudendo una sequela di capitoli separati dove restano ingabbiati i singoli casi di cronaca. Questo approccio di marketing quotidiano del caos e del traffico migranti nel Mediterraneo può forse funzionare per vendere i giornali o per attirare visitatori e like sui social networks, per cercare di catturare qualche voto in più alle prossime elezioni; può sedare i momentanei disagi e soprassalti di coscienza individuale al cospetto di una notizia, una foto o una ripresa televisiva di migranti alla disperata ricerca di una riva o alla deriva. Ma questo modo di trattare il dramma migratorio dei nostri giorni, umanitario o fariseo, non esprime una coscienza politica di fronte al problema e finisce per occultarne la radicalità che non sappiamo o forse non vogliamo vedere. Insomma, affidarsi a nobili sentimenti o, peggio, lasciarsi catturare nella strumentalizzazione delle emozioni morali, non aiuta molto a capire e chiarirci le idee su cosa sta accadendo, e perché. Per fare questo c’è bisogno di una visione strategica, di respiro globale e storico: fare i conti con i trend demografici mondiali, con i loro riflessi culturali ed economici, con le pressioni dei flussi migratori sugli equilibri delle risorse identitarie e materiali nelle diverse comunità territoriali e nelle diverse aree del mondo, con la distribuzione dei costi e dei benefici della globalizzazione, con gli effetti delle onde migratorie per la convivenza civile nei “diversi mondi” del mondo, effetti che non sono solo quelli che risaltano nelle emergenze riportate dalla cronaca, nella disputa fuorviante tra chi inneggia all'”accoglienza senza se e senza ma” e chi fa presente che “per entrare in casa altrui si chiede il permesso”. La radicalità della questione migratoria ormai non è trattabile con la virtù umanitaria, né con quella delle buone maniere.

Già oggi, con l’intensificarsi dei movimenti migratori notiamo che i sistemi di appartenenza collettiva entrano in forte tensione, il discorso pubblico si rudimentalizza, le idee e i sentimenti collettivi cedono al facile manicheismo dei buoni e dei cattivi, mentre il fanatismo rischia di diventare un piano inclinato per tutti. L’abrasivo confronto tra Renzo Gubert e Vincenzo Passerini sulle pagine del Trentino e gli interventi che ne sono seguiti è solo una tessera di quel puzzle che non riusciamo a chiudere che è diventata la discussione pubblica sulla sfida migratoria. No. Così non va bene, per nessuno. Urge fermarsi e riflettere, misurare parole e giudizi. E prendere sul serio, anche sul tema migratorio, le molte e sfibrate verità dei nostri tempi difficili. Ministri, parlamentari e intellettuali siano i primi a dare l’esempio, i comuni cittadini siano determinati nel dare una mano.

One Reply to “Il puzzle migratorio e l’uomo “animale politico”. Convivenza, numeri piccoli e grandi, diritto”

  1. Come in tutte le questioni grandi che ci riguardano, tipo il problema climatico,penso che tutti i paesi coinvolti stiano ragionando da provinciali,più che da nazionalisti.Tutti i giorni si discute di inquinamento e cambiamento climatico ma nessuno sostanzialmente fa cose. Abbiamo aree come quelle europee nordiche con politiche attente all’inquinamento e la Cina dove addirittura si vive e lavora con tanto di mascherina per un minimo di protezione.Lo stesso Trump sta avallando politiche lontane dalle decisioni prese nelle famose riunioni a livello globale favorendo l’uso del carbone tanto inquinante.La stessa situazione o modo di agire lo riscontriamo nell’affrontare il problema migratorio.Siamo ormai alle fine della globalizzazione,le migrazioni ormai sono giornaliere,tutti ne parliamo ma sostanzialmente si evita il problema,pur essendo acclarato che è epocale.Partendo da un semplice dato quale il tasso di crescita anagrafico troviamo l’Europa dove i dati sono sconfortanti a fronte del nostro vicino Africa dove il trend di crescita è altissimo e una situazione economica-politica talmente complicata che le migrazioni sono semplicemente favorite.Noi che siamo ormai da secoli abituati con regole e tradizioni diverse ci troviamo spiazzati,impauriti..questi arrivano e ci mangiano!!! I nostri politici…poco lungimiranti e per niente statisti…giocano con queste paure per il loro piccolo potere.Il problema è difficile proprio in quanto epocale,la globalizzazione tanto veloce forse ha spiazzato tutti e incapaci di iniziare una vera risoluzione alla possibile convivenza di tutti.Le immagini che oggi i voli spaziali ci inviano sono di una terra senza confini e barriere.

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