(Uscito in versione più breve e con altro titolo su “Trentino” e “Alto Adige”, 4 luglio 2015 – Pubblicato su questo sito il 12 luglio 2019)
–
Il fatto è clamoroso: la piccola e debole Grecia, in profonda crisi finanziaria ed economico-sociale, si “ribella” alle condizioni di risanamento e di aiuto finanziario indicate dalla “troika” formata da Fondo Monetario Internazionale, Banca Centrale Europea e Unione Europea. Il lungo, estenuante e tardivo negoziato tra le parti è saltato. L’Eurogruppo ha chiuso le porte al governo greco a causa di un referendum. Lo scenario della fuoriuscita della Grecia dall’euro è diventato realistico. Ciò che per anni ci era stato raccontato come “impensabile” e “fuori dalla realtà” è ora pensabile e persino dietro l’angolo: l’euro può essere dismesso o dall’euro si può essere “espulsi”. A dire il vero, per l’establishment politico-finanziario internazionale lo scenario era da tempo tutt’altro che “impensabile”. Difficile prevedere i contraccolpi non solo economico-finanziari ma anche politici, tanto per la Grecia quanto per altri Paesi europei e l’UE stessa. A questo punto nemmeno l’effetto-domino può essere escluso: come si sa, la “prima volta” facilita la rottura di un tabù: uscire dall’euro o esserne spinti fuori non sarebbe più un tabù. Del resto, la storia è più ricca di colpi a sorpresa di quanti i più credono: negli anni ’80 chi avrebbe scommesso sulla fine dell’impero sovietico o sulla riunificazione tedesca?
In questi giorni delicati per il futuro degli equilibri europei, e non solo della Grecia, opinione pubblica e commentatori si interrogano sulle responsabilità del fallimento del vertice europeo. Sta per andare in frantumi un bel pezzo del “mondo di certezze” al riparo del quale si è cercato di affrontare la prolungata crisi finanziaria ed economico-sociale di questi anni. Per la gran parte degli osservatori, il giudizio è pressoché univoco: la responsabilità per il brutto momento che stiamo correndo cade (quasi) per intero sul governo greco. Un governo, si dice, ideologico ed estremista, incompetente e demagogico. Non intendo entrare nel merito di questi giudizi. Un loro elemento però mi colpisce e mi induce a qualche considerazione “laterale” rispetto al corso principale del dibattito.
A forza di essere “realisti”, pragmatici e calcolatori di economie, si rischia di diventare ragionieri di condominio e di dimenticare la democrazia. Il rischio è di cimentarsi sul significato e le conseguenze economiche della decisione del governo greco di indire un referendum, riducendo tale decisione solo a tattica politica o a trattativa commerciale. La vicenda racchiude anche queste valenze. Ma la questione democratica non può esserne tenuta in disparte. A fare precipitare la situazione, non dobbiamo dimenticarlo, è stato, infatti, l’annuncio da parte del governo greco di sottoporre a referendum popolare i termini dell’accordo proposti dall’UE. Secondo il presidente dell’Eurogruppo (il ministro delle finanze olandese) con il ricorso al voto popolare la Grecia ha abbandonato le trattative e fatto saltare l’intesa. Conosciamo la logica delle relazioni internazionali e diplomatiche: queste non prestano troppa attenzione alla logica democratica. Ma a cadere nel pieno della prima logica, quella delle relazioni internazionali, è l’Unione Europea: la nuova casa dei cittadini europei, la sede di una nuova cittadinanza – ci è stato detto per anni e anni.
Il referendum è uno strumento di democrazia. Caro, ad esempio, agli americani e agli svizzeri, che lo praticano non poco. E non sono i soli a farlo. E’ uno strumento a cui si ricorre per questioni minori o grosse: per mettere un semaforo ad un incrocio stradale, per accorpare piccoli comuni, per decidere dell’indipendenza della Scozia o per approvare una costituzione. Vero è che lo strumento è democratico in un senso differente rispetto a come la democrazia liberale rappresentativa intende il governo politico della vita collettiva. Ma è anche vero che il referendum è integrato con le istituzioni liberaldemocratiche. E vero è pure che in tempi di acuta crisi della democrazia basata sulle istituzioni rappresentative di origine liberale (come mostra anche il crollo della partecipazione elettorale), il referendum può iniettare nuova legittimazione nelle vene esangui delle istituzioni contemporanee. Del resto, associazioni, movimenti o amministrazioni pubbliche che chiedono una democrazia “più diretta”, più partecipativa, con un ruolo deliberativo per i cittadini, guadagnano consenso e attenzione, o sono al centro di esperienze e sperimentazioni un po’ ovunque in Europa.
E’ anche in questo quadro che va intesa la decisione del governo greco di chiedere ai propri cittadini se vogliono o no l’accordo proposto dall’Unione Europea e di chiedere a quest’ultima di estendere per qualche giorno il sostegno finanziario al proprio Paese. Una richiesta irricevibile? E perché mai? Perché ci si rivolge al proprio popolo per questioni complesse? Ma complessa, ad esempio, era anche la riforma del Titolo V della nostra Costituzione sottoposta a referendum. Irricevibile perché il governo greco è inaffidabile o irritante nel negoziare e rinegoziare? Può anche essere. Ma chiedeva un prolungamento del sostegno finanziario per una settimana, e poi il referendum: e quindi accettazione o rifiuto dell’accordo (con conseguente abbandono dell’euro).
Ai governi e ai parlamenti i cittadini delegano le decisioni? Certo, ma le nostre democrazie oltre a essere rappresentative (indirette) sono anche “referendarie” (dirette). Prevedono che i governi riconsegnino alcune scelte ai loro popoli.
E’ poi singolare il fatto che l’UE chiuda la porta al governo greco perché questo indice il referendum e subito dopo il presidente della Commissione Europea rivolge un appello pubblico al popolo greco a votare nel referendum a favore dell’accordo. Oltretutto il referendum è una questione di politica interna: si tratta di un sovrappiù di “ingerenza”, dato che per il “sì” all’accordo sono già mobilitate ingenti forze sociali, economiche e mediatiche, internazionali oltre che greche.
L’UE avrebbe dovuto reagire con ben altra maturità e senso di responsabilità politiche. Avrebbe dovuto dire: “Volete fare un referendum? Va bene. Fa parte delle procedure democratiche nazionali. Riteniamo la democrazia un valore essenziale dell’Europa e strumento di espressione della volontà popolare: un modo attraverso cui un governo compie scelte difficili e gravide di conseguenze per il popolo, tanto importanti da sentire la necessità di interpellarlo direttamente. Però un referendum di tale rilievo e delicatezza non può essere improvvisato in una settimana: vi offriamo sostegno finanziario per un mese, affinché il referendum sia organizzato a modo, le alternative dibattute a dovere e l’informazione in grado di circolare tra i cittadini. Dopo, a seconda dell’esito, o si chiude l’accordo sottoposto a referendum o lascerete l’euro. Voi vi prendete le vostre responsabilità, noi ci prenderemo le nostre”. Non si dica che l’attesa di un mese avrebbe scosso i mercati o messo a repentaglio gli equilibri finanziari nell’eurozona: il problema greco consiste dell’1% del PIL dell’eurozona e del 3% del debito totale che l’affligge. Non sono questi numeri che possono spaventare i mercati o irritare le finanze di altri Paesi europei.
L’Unione Europea ha troppo spesso trascurato la politica (democratica) e il fatto che fonte irrinunciabile di legittimità politica, in democrazia, è l’approvazione dei cittadini. Come ha scritto Adriana Cerretelli sul Sole-24 Ore (non sul Manifesto): “Se rottura ci sarà… l’Europa rischierà di essere scambiata per la bandiera sempre più impopolare di una famiglia che segue le dinamiche democratiche con crescente fastidio se le sono sgradite”. Da parecchio tempo si parla di una politica che deve ispirarsi ad un’etica della responsabilità e delle conseguenze. Siamo sicuri che considerare con lungimiranza e lucidità il valore e le sorti della democrazia non rientri in una politica della responsabilità? Davvero vogliamo fare spallucce sull’ideale sul quale si regge la qualità della convivenza civile europea? Tsipras e il suo governo risponderanno del loro comportamento. Ma la “tragedia greca” getta luce sulla tragedia del governo democratico in epoca di postdemocrazia. Il “populismo della pancia” è un sintomo, non la causa del malessere democratico che ci circonda.
..oggi con il senno del poi è più facile dare un giudizio sul ..caso..Grecia. Un paese con un pil pari alla lombardia sicuramente non poteva essere un problema per l’europa.Sappiamo tutti che i mercati forse per semplice paura di un effetto domino o più pragmaticamente per rientrare dei loro prestiti..in particolare la Germania..hanno forzato la situazione in tutti i sensi.Non solo da un punto di vista economico ma più sottilmente da quello politico,proprio come asserisce l’articolo,non dando tempo al …popolo.. di scegliere con lo strumento referendario. La democrazia,demos/kratos,potere del popolo,ha forse perso parte del suo appeal proprio per il suo cambiamento intrinseco. Prima è diventata strumento del partitismo classico,poi di quello ad personam,in nome proprio della democrazia stiamo assistendo a questo cambiamento,, per cui le decisioni importanti spesse volte non sono prese in maniera democratica ma da interessi economici che troppe volte non collimano con il significato di democrazia. Le famose guerre fatte dagli americani con la complicità europea per esportare la democrazia sono l’esempio lampante dell’uso improprio di questo strumento,con i risultati sotto gli occhi di tutti. Abito vicino alla Svizzera e lo strumento referendario citato nell’articolo è frequentemente usato,anche a livello comunale ,per la semplice costruzione di un ponte o una semplice decisione di paese. Ovviamente qui il referendum è sentito,partecipato ,proprio per l’effetto reale che esprime nei suoi risultati. Chiaramente è una cultura atavica,mentre da noi viene visto come una ..rottura!!! I pochi fatti hanno perso per strada i loro risultati. Vista la complessità dell’esercizio democratico il referendum potrebbe aiutare il popolo nelle sue decisioni,naturalmente con le debite informazioni date, supportate da un associazionismo di base che faccia da collante con i politici…non i politicanti!!!