Il paese delle meraviglie
Lacrime in paradiso. Orme su spiagge dimenticate
Gelava il cuore la foto del bimbo siriano sulla spiaggia, lambito dalle onde… Pareva essersi addormentato sul bagnasciuga, calzoncini blu e maglietta rossa, scarpette senza calzini – come conviene d’estate… Un bimbo che abbiamo perso per sempre. Come altri con lui. Come altre persone che, un giorno, zainetto o no sulle spalle e passi sulle gambe, sono andate per un altro viaggio. Dalle foto, le linee di un viso che sfuma nelle ombre dei ricordi, che possiamo scuotere ma che non si ridesta, fisso nel sonno di sogni non più raccontati al mattino… Foto che forse turbano per un momento, ma la nostra coscienza ha bisogno di dormire pur essa, e resta paralizzata, stordita da pensiero di voler fare qualcosa: un gesto, una parola che riacciuffi il senso di una vita. Non a marzo o a novembre, come suggerirebbe chi sa che ogni azione richiede di essere ben definita e organizzata. Ci sono emergenze del vivere quotidiano che non aspettano e corrono per conto loro. Non saranno i mercati o il pil, un decreto o l’Onu a dirci cosa e come fare, anche se decreti e mercati fanno parte della storia del vivere giorno dopo giorno: sono il risvolto impensato e nascosto della foto scattata sulla sabbia di Bodrum, alla pensilina degli autobus di Gaeta o lungo una strada desolata di provincia. E poi ci siamo noi, e gli occhi interni di ciascuno che scrutano l’orizzonte. E non è poco.
Ha scritto, qualche anno fa, un intellettuale tedesco: tramite «le immagini degli orrori avvenuti in qualche remoto angolo del mondo, lontananza e vicinanza finiscono per scambiarsi di posto», «Anche chi vive lontano si trova nella condizione di reagire agli eventi con attenta compassione, ed è pronto a offrire il suo aiuto. Entra così a far parte di una comunità che si riconosce nella civiltà morale dell’empatia». Certo, «appaiono evidenti le difficoltà a cui andiamo incontro nel soddisfare le esigenze avanzate da un’empatia tanto estesa; solo un virtuoso della compassione potrebbe adempiere ai postulati di una morale che si dilata in ogni dove» (Henninger Ritter, Sventura lontana). Già. Ma forse questa maledetta e stra-cantata empatia fa cilecca anche da vicino. La si veda come si vuole, ma qui c’è un problema. Se voltare le spalle o imprecare a favore o contro il “moralismo” o il “sentimentalismo” sono le uniche carte che ci sono rimaste in mano a chi armeggia scienza, razionalismo, pragmatismo e numeri, allora la partita è persa prima di cominciare a giocarla. Ma dev’essere che a sbagliarmi sono io.
Vorrei scriverne meglio e a dovere. Di queste foto-simbolo che navigano per il mondo o scoloriscono nei cassetti o che si perdono archiviate in un pc: messaggi infilati in una bottiglia (e prive di parole). Fatico a trovare le parole… Troppo difficile.
Allora vorrei condividere con i lettori una canzone, i suoi versi. Suona come una preghiera, laica o per credenti non importa. Ma tra le righe affiorano anche gli sguardi che si incrociano di un’etica delle convinzioni e di un’etica delle responsabilità. Se si guardano in cagnesco oppure per dialogare, spetta a ciascuno sentenziare.
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VIDEO
Lacrime in paradiso (Eric Clapton)
Chissà se riconosceresti il mio nome, se ti incontrassi in paradiso …
Sarebbe lo stesso nome, se ti incontrassi in paradiso?
Devo essere forte, e tirare avanti
Perché so che io non sono di qui, non sono del paradiso.
Mi terresti per mano, se ti incontrassi in paradiso?
Mi aiuteresti a stare in piedi, se ti incontrassi in paradiso?
Troverò la strada, nella notte e nel giorno
Perché lo so che non posso stare qui in paradiso.
Il tempo potrà buttarti giù, potrà piegarti le ginocchia
Il tempo potrà spezzarti il cuore, farti implorare pietà.
Ma al di là della porta c’è la pace, ne sono sicuro
E so che non ci saranno più lacrime, in paradiso.
Chissà se mi riconosceresti, se mi vedessi in paradiso …
Chissà se mi chiameresti con lo stesso nome, se mi incontrassi in paradiso …
Ma devo essere forte, e tirare avanti
Perché, lo so, io non sono di qui, non sono del paradiso.
* Tears in heaven (Eric Clapton). Traduzione italiana con qualche piccola licenza
(Uscito, in versione diversa, su “l’Adige”, 20 marzo 2019; “Alto Adige”, 18 marzo 2019; su questo sito il 18 maggio 2019; riscritto e riproposto su questo sito, con altro titolo, il 7 febbraio 2023)
Clapton compose questa struggente e delicata ” preghiera” per suo figlio Connor. E’ un canto per ogni morte innocente. Bel problema su cui si affannarono anche profeti. Qualcuno ode il silenzio di Dio , attendendo risposte che non arrivano o arriveranno dai propri percorsi interiori.
Altri, vedono solo la disparità e iniquità di questo mondo. E non trovano lo stesso risposte.
Sepùlveda nel libro “Le rose di Acatama” immagina che tutti “quelli che vengono sconfitti senza che nessuno gli abbia chiesto se volevano perdere”, si ritrovino nel deserto infuocato di Acatama, sotto forma di minuti fiori rossi.
La musica, la letteratura, l’arte, hanno un tesoro inestimabile e impareggiabile : quello di farci sognare.
Grazie