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Chi ha occhi per vedere?
Di fronte al protrarsi della crisi pandemica nonostante la massiccia campagna vaccinale, nella nostra tanto decantata “società aperta” del tanto decantato Popper teorico del “fallibilismo scientifico,” mi sarei aspettato l’adozione della “logica del problem solving” e che si procedesse per “prova, errore e correzione dell’errore”. Me lo sarei aspettato dai governi e dalle classi dirigenti, dalle burocrazie tecno-scientifiche, dagli esperti di settore; mi sarei aspettato che tale logica fosse reclamata dagli uomini di cultura e dagli intellettuali, e fatta circolare nei grandi canali della comunicazione e dell’informazione.
Mi sarei aspettato, ad esempio, che ci si interrogasse sui limiti e sugli errori che in questi due anni si sono palesati: 1) nelle conoscenze scientifiche relative al virus, al contagio e al vaccino, 2) nelle decisioni sanitarie e politiche prese per arginare la pandemia e i suoi effetti, 3) nell’idea e nella pratica di giocare tutta la difficile partita puntando, pressoché esclusivamente, sulla carta della campagna vaccinale; 4) nella comunicazione pubblica e sui media (pessimi quanto a qualità dell’informazione, al linguaggio e ai toni).
Mi sarei aspettato che ci si interrogasse (in scienza e coscienza) sul fatto che il vaccino non ha mantenuto le aspettative salvifiche con cui lo si era comunicato. Mi sarei aspettato pure che si arrivasse a riconoscere che il vaccino è, sì, importante strumento sanitario; ma, anche, che da solo non basta per limitare i contagi (come è presto emerso dall’evidenza empirica). Mi sarei aspettato che ci si interrogasse sul fatto che il vaccino non è esente da controindicazioni, mentre queste sono state sottovalutate e sottostimate nei dati ufficiali, e ciò in ragione dell’opaca o discutibile scelta dei criteri stabiliti dall’Istituto Superiore della Sanità (ISS) nel classificare e quantificare, ad esempio, le cause dei decessi (virus, vaccino, altre patologie o poli-morbilità): tutto ciò nuocendo alla possibilità di fronteggiare con maggiore lucidità i problemi di salute pubblica e personale via via emergenti, con una più meditata, articolata e empiricamente fondata somministrazione selettiva del vaccino (per fasce di età, per condizioni salute, per contesto lavorativo).
Mi sarei aspettato che ci si interrogasse su quanto l’uso del vaccino (via green pass) come strumento politico di governo della pandemia sia stato un errore, tale da comportare lo sfiguramento della democrazia a rigido e dogmatico governo della Covid-endemia, con implicazioni di largo raggio (sociali, politiche, culturali, psicologiche).
Nel protrarsi della crisi covidiana e nel succedersi delle ondate di contagio legate alle condizioni “stagionali” (climatiche, di vita sociale e vitalità del virus), niente di tutto questo è diventato punto di coaugulo della sensibilità comune, mediatica, politica e scientifica: altro che “prova, errore, correzione”, altro che “società aperta” e “razionalismo critico” popperiani. Ci si è appellati, invece, all’ultima ratio mobilitabile dietro alla quale nascondere errori o rimuovere deficienze e danni legati alla politica vaccino-centrica: si è puntato il dito contro l’irrazionalità (e immoralità) dei “nemici della patria”, dei nemici della salute-bene comune (sic!), dei nemici della solidarietà, della sicurezza e della libertà di tutti (sic!).
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È giustificato stigmatizzare i non-vaccinati? Amnesie e psicosi collettive.
Siamo caduti preda di un’amnesia collettiva. Come già agli esordi della pandemia, preferiamo glissare sul fatto che la nostra epoca è epoca di intensa mobilità globale e che il virus ama la globalizzazione. Allo stesso modo, mentre appare del tutto plausibile, se non acclarato, che l’immunità di gregge sia una chimera (o almeno non è a portata di mano), continuiamo ad inseguirla. Ma accanto all’amnesia collettiva c’è altro che sconcerta: mentre ora è anche ufficialmente riconosciuto che il vaccino non rende immune dal contagio nemmeno il vaccinato, che resta egli stesso contagioso e contagiabile[1], ecco che istituzioni politiche, buro-scienza e corti mediatiche indicano nell’irrazionalismo dei “no vax”, dei “no scienza”, dei “no green pass” la fonte di tutti i problemi lasciati aperti dalla promessa vaccinale di salvezza dal virus, la causa delle ondate di contagio e di ogni male sociale, economico e sanitario[2].
Come stiamo osservando in questo secondo inverno sotto il Regno del Covid, anche in Italia, Paese in testa nella classifica della percentuale della popolazione vaccinata (tra l’80 e il 90%), il contagio è tornato a crescere su livelli che gli esperti ritengono di guardia, e ciò vuoi per la copertura temporale limitata dei vaccini, vuoi per il rincorrersi di nuove varianti del virus. Ma come è possibile caricare ogni responsabilità sulle spalle di un limitato 10% circa di persone, per giunta molto limitate nei movimenti, pressoché escluse dalla vita sociale e spesso addirittura segregate nei confini di “casa-fai la spesa” e per lo più assai rispettosi delle pratiche del distanziamento, delle mascherine, ecc.? Tutto questo mentre per mesi e mesi la gran parte della popolazione vaccinata e contagiosa è stata autorizzata, grazie al green pass, a muoversi liberamente nelle città, a ritrovarsi nei ristoranti, ad andare al bar, ad assembrarsi nelle feste, nelle fiere, agli stadi, nei luoghi di lavoro. Eppure da tempo e con pervicacia, per l’opinione dominante, per i governi e per le strutture buro-tecno-scientifiche, sono “quegli sciagurati irrazionali no vax e no green pass” che ammorbano la società. A colpi di negazionismi e corbellerie, con i loro atteggiamenti anti-scientifici, sarebbero questi che ostacolano o impediscono il superamento della pandemia e la fuoriuscita dalla crisi sociale, economica e di salute pubblica di una società “eroicamente” impegnata nell’impresa. È davvero il caso di chiedersi dove, in questo scenario, sta l’irrazionalità e dove la ragionevolezza. E dove sta l’eroismo. Oppure, forse, c’è qualcosa che ai cittadini non è dato di sapere?
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A proposito di “eroismo” dei nostri tempi anti-eroici
Mah… Se guardiamo alla storia, possiamo essere grati agli eroi e alle eroine. Sempre guardando alla storia, scopriamo, però, che ciascuno ha i suoi di eroi & eroine, un po’ come accade con i santi per i credenti. Anche oggi abbiamo bisogno di eroi ed eroine? Forse sì. Ma di quali? In questi casi, non è poi così avventato andare controcorrente. Anche a costo di vedermi arrivare addosso uova e pomodori (o accuse di eresia, da un pubblico più sofisticato), faccio notare come i contemporanei abbiano sempre avuto millanta motivi nello scegliere, seguendo la corrente, a chi rendere onore. Sia come sia, nelle società moderne del nostro tempo il rogo sulle fiamme, in piazza, non va di moda; al massimo si può essere bannati o avere grane legali per “profferimento di parola contraria”, oltre che vedersi calpestare l’identità a mezzo di tecniche “pulite”.
Tra i molti profili dell’eroismo sotto il Regno del Covid, uno è irriconoscibile ai più che oggi vedono il mondo in bianco e nero, e alimentano una società della contrapposizione frontale tra “si vax” e “no vax”, tra “si green pass” e “no green pass”: chiamiamolo “eroismo” dei ragionevoli (chiedo venia per la voluta enfasi retorica, ma aiuta a mettere a fuoco il fenomeno).
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Porre domande e questioni che disturbano (I)
Ha sempre un sapore un po’ “eroico” porre domande o questioni che disturbano. Oggi è quasi da eroi ed eroine sostenere pubblicamente (ma anche in privato) che il vaccino fa quel che può, ma non è esente da provocare rischi per la salute e per la vita del singolo. Cosa, questa, che non può essere negata da nessuna scienza medica, la quale può fornirci importanti indicazioni probabilistiche e statistiche sui grandi numeri, ma che non può che tacere sui singoli casi; la decisione finale rimane perciò in capo alla singola persona (assistita dal medico di fiducia), tanto che ciascuno è chiamato a firmare un “consenso informato” quando si sottopone ad un qualsivoglia intervento sul proprio corpo, come da tempo detta quella che è stata considerata una sana conquista della nostra civiltà medico-legale (legge 219/17), una norma che (piaccia o meno) è tutt’ora formalmente (o ipocritamente?) in vigore.
Essere eroici oggi significa non deflettere dal ragionare, e dal ragionare tutti insieme, su questa realtà, quali che siano i convincimenti di ciascuno.
Il vaccino. Non possiamo aspettarci che esso ci restituisca la “nostra” normalità del vivere. Nemmeno al costo (disumano, e incivile, prima ancora che incostituzionale) di escludere dal vivere normale coloro che, per un motivo o l’altro, sono in “difetto di vaccinazione” o rifiutano di esibire il green pass per poter vivere e lavorare.
Si deve davvero tacere, e perché, sul “lato oscuro” della malattia virale e sull’invitato di pietra di ogni discorso sul vaccino, ossia sulle reazioni avverse al vaccino, sul padroneggiamento scientifico parziale del virus, sulle origini del virus e sulle responsabilità della sua esplosione pandemica? Tali interrogativi sono sprofondati nella confusione o nelle reticenze delle risposte. Davvero è accettabile che su questi aspetti cruciali della crisi pandemica e sulle responsabilità sia calata una rimozione pubblica e un immane silenzio politico e scientifico?
Per sollevare questioni del genere, “razionali”, oggi ci si deve affidare ad un eroismo della ragionevolezza che, con voce pacata ma ferma, aiuti tutti (e non solo i no-vax o i no green pass) a prendere consapevolezza della condizione intricata, delicata e per molti aspetti opaca e fuori controllo in cui, da molti punti di vista, ci troviamo. Ma come si esprime questo eroismo della ragione critica di kantiana memoria? Con quali parole, con quali argomenti? Chi se ne fa carico?
Ancora. Oggi è diventata cosa “eroica” perorare l’uso della ragionevolezza nella sfida contro il Covid. Ad esempio, nel chiedere alla cittadinanza intera e alle autorità responsabili di promuovere una linea anti-Covid diversa da quella fin qui perseguita e inasprita a dispetto di tutto. “Davvero non c’è un altro modo?”, ci si chiede in uno spot pubblicitario a tutela della salute e che, una volta tanto, dovremmo prendere sul serio. Perché, allora, in questa situazione non insistere sulla necessità di allargare lo sguardo su strategie di contenimento del contagio articolate e multiple, a tutela della salute e del benessere psico-fisico, sociale ed economico di tutti.
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Porre domande e questioni che disturbano (II)
Nella situazione data, ci vuole dell’eroismo per mettersi a reclamare un massiccio investimento di risorse economiche e culturali nella riprogettazione delle strutture e dei meccanismi di funzionamento della nostra società; l’obiezione, infatti, è perentoria: “Ora siamo in emergenza! Altro che mettersi a rimodellare la società!”.
Ma se è vero che la pandemia è un “fattore di costrizione impedente”, è altrettanto vero che essa (come ogni crisi importante) è pure un “fattore di sollecitazione”, un’“opportunità da crisi” per riprogettare l’organizzazione del lavoro, la macchina della produzione e dei consumi, il sistema scolastico e quello sanitario, gli stili della vita sociale e il tempo libero. Abbiamo scordato che le risorse del PNRR messe a disposizione dall’Unione Europea sono state pubblicamente motivate dalla necessità di far fronte agli sconquassi provocati dalla pandemia? Tuttavia, con i “vincoli” di spesa dettati dalle classi dirigenti epicentrate a Bruxelles, i programmi di spesa del PNRR si sono rivelati avari e sordi rispetto alla necessità di un riformismo sociale “strutturale” di cui le nostre società abbisognano per attrezzarsi a convivere decentemente con le emergenze e le minacce epidemiche covidiche, o con quelle che possono scatenarsi dalle rivoluzionarie sperimentazioni biotecnologiche. Coloro che già un anno e mezzo fa mettevano in guardia contro tanta “generosità europea” e invitavano a riflettere criticamente sulle “condizioni di utilizzo dei fondi” definite a Bruxelles, vennero salutati con sufficienza e con atteggiamenti di superiorità politica ed intellettuale, ovvero come Cassandre malpensanti e cieche.
Ma, ancora oggi, chi ha occhi per vedere? Chi sa o vuole avvedersi? Le classi dirigenti europee e mondiali inseguivano e inseguono altri propositi, la cui priorità è discutibile, a maggior ragione in questa fase. Prova ne sia, ad esempio, che nel PNRR italiano la sanità è all’ultimo posto nella lista delle voci di spesa, destinata a raccogliere le briciole; mentre in cima ai finanziamenti c’è la digitilizzazione del Paese, una vera e propria riforma strutturale (o rivoluzione) tesa a rimodellare in profondità la società, nel bene e nel male, dato che farà lievitare la “società del controllo e della sorveglianza”, aprendo a una “cittadinanza del credito sociale”, sulla falsariga di quanto è in via di sviluppo in Cina: una “cinesizzazione” di quel che resta delle società liberldemocratiche occidentali. Ma su questa politica di trasformazioni epocali la voce dell’opinione pubblica dominante è afona, e taccia di complottismo e irrazionalità chi si interroga, anche in questo quadro, sulle misure di governo della pandemia
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Convivere con il Covid. Ma come?
Con il Covid dovremo probabilmente convivere (a lungo). Ma la nostra società, per come è organizzata e funziona, non consente una convivenza rassicurante, equa e garantista per tutti. Le élite dirigenti preferiscono la convivenza con un’emergenza indefinita? Davvero basta solo che, in un modo o nell’altro, giri l’economia, e il pallone negli stadi? Ma come, con quali diritti, libertà e tutele per il cittadino comune? Con quali e quante diseguaglianze ed emarginazioni? E però, non nascondiamocelo, gran parte della cittadinanza, con o senza mal di pancia, applaude o comunque china il capo e si arrabatta. Nel dibattito pubblico, non mancano solo le risposte a problemi in parte emergenti, in parte stratificati nel tempo: latitano persino le domande. Panem et circenses, et vaccinum. Ma davvero “non c’è un altro modo?” Ragioniamoci.
Insomma, in questi due anni, poco o punto si è fatto riguardo al mondo del lavoro, a quello dei trasporti, a quello della scuola. Si dirà che di fronte a un’emergenza non si può pensare, né organizzare, una ristrutturazione dell’impianto di una società, poiché una ristrutturazione del genere darebbe i suoi risultati soltanto nel lungo periodo. Ciò è vero. Ma solo in parte, e in parte no. Se non si comincia, e da qualche parte e in qualche momento bisogna pur cominciare, domani si continuerà a ripetere che c’è un’emergenza, e si resterà sempre al punto zero. Del resto, è con tale argomento si è soliti respingere le obiezioni alla digitalizzazione. Ma perché lo stesso argomento non vale per altre riforme strutturali della società? Già, perché? Lascio la domanda al lettore. Osservo soltanto che, in questi due anni, qualche passo si poteva intraprendere, che qualche passo andava fatto. E invece non è andata così. Nel frattempo, per dirne una, le bollette di gas e luce salgono alle stelle; nel frattempo, per dirne un’altra, il lavoro non c’è per chi lo cerca, e in compenso lo si leva a chi lo aveva.
Il lavoro, diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione[3], oggi viene sottratto (insieme allo stipendio) e impedito a chi è reo di niente altro che di aver opposto la ragionevolezza della sua disobbedienza a leggi di sovrani che impongono leggi sommarie senza cura per i diritti fondamentali dell’uomo e del cittadino, e poi le rivedono altrettanto sommariamente l’indomani. Altro che “spinte gentili” (nudges). Ma questi sovrani lo fanno in nome della scienza (la “nostra scienza”, dice il cortigiano), in nome della sicurezza sanitaria e della libertà di tutti, in nome dell’economia. E persino in nome della Costituzione, dato che la “costituzione più bella del mondo”, in un comma fissa diritti “fondamentali ed inalienabili” e in quello successivo li abbandona alla legislazione corrente, che vi oppone limiti, discrezionalità e interpretazioni di ogni sorta.
Sebbene il “realismo politico” mi abbia vaccinato contro le retoriche legittimatrici del potere, comprese quelle liberaldemcratiche e dei diritti, ciò non mi preclude di riconoscere il titanico sforzo, anche sisifico, con cui talora una società si oppone al sovrano di turno: quando può, finché può. Ma al sovrano, specie in Italia, oggi non difettano gli applausi. A un sovrano che parla poco (ai cittadini), che colleziona strafalcioni televisivi sui dati covidiani[4], che definisce la sua agenda e gli “obiettivi raggiunti” con “scientifiche” omissioni, e che manda al paradiso i tanti Tizi e Cai, e all’inferno i pochi Semproni – il tutto con una impunita disinvoltura morale e civile, che nemmeno un Papa oggi si permetterebbe. (Che il Papa corrente, forse, dall’alto della sua spirituale santità mediti di studiare il nuovo catechismo del Gesù restauratore del Tempio?).
Non dovrebbe essere così, ma oggi ha qualcosa di eroico chi fa presente come in questi due anni non sia stata avviata alcuna campagna diagnostica sulle condizioni di salute e sugli anticorpi della popolazione; così come ha qualcosa di eroico chi si interroga oppure obietta sul mancato supporto finanziario alla ricerca sulle cure per l’infezione virale; oppure sul persistere nei protocolli per i medici dell’indicazione terapeutica “tachipirina e vigile attesa” nei casi di sintomi di infezioni, e quindi dell’esclusione di alternative terapeutiche medicalmente assistite, nonostante il fatto che talune, prima e a lungo liquidate come ciarlatanerie prive di fondamento scientifico, poi sperimentate dalle grandi case farmaceutiche, ora sono, infine, autorizzate per l’impiego e per la commercializzazione.
È del tutto ragionevole interrogarsi sul caos comunicativo e informativo riguardo ai dati sui diversi indicatori utilizzati per misurare l’andamento della crisi-Covid, sui criteri attraverso cui sono costruiti i dati messi in circolazione, sulla discrasia, confusione o sovrapposizione temporale dei dati forniti dall’ISS, dove, ad esempio, non è chiaro quando i dati che registrano il numero dei contagiati, dei ricoveri in terapia intensiva e dei decessi siano riferiti al giorno in cui gli eventi si sono verificati e quando, invece, si riferiscono al giorno in cui l’informazione su tali eventi è pervenuta all’ISS che li rende pubblici; un’ambiguità, questa, che inquina o distorce i dati sulle curve temporali che tracciano l’andamento dei fenomeni osservati. È del tutto ragionevole interrogarsi, come fanno diversi ricercatori del settore (specie fuori dall’Italia), sulla mancata disponibilità, pubblica o per gli enti di ricerca, dei dati necessari per tentare di capire cosa sta accadendo con la pandemia e come reagire; analogo discorso verte sui dati relativi alle (quattro fasi di) sperimentazioni del vaccino.
È cosa ragionevole richiamare l’attenzione pubblica e politica sul fatto che in questi due anni si è fatto poco e nulla per la “messa in sicurezza” delle scuole, dotando, ad esempio, le aule di impianti di ventilazione controllata; così come non si è provveduto al reperimento di locali attrezzati per accrescere il parco aule e laboratori scolastici, sì da ridurre il numero di studenti per classe; né si è provveduto all’introduzione di un calendario scolastico a doppio turno (mattutino e pomeridiano) e di un regime didattico duplice (in presenza e a distanza). Tutte misure, queste, che avrebbero significativamente alleggerito il sistema dei trasporti e i connessi rischi di contagio. Del resto, c’è qualcosa di eroico anche nella ragionevolezza di insistere sulla necessità di rafforzare il sistema dei trasporti (urbano, ferroviario); o nel sollevare il medesimo problema in tema di sistema sanitario (operatori ospedalieri, strutture, medici di base).
Si dirà: ma tutti questi interventi, comunque, costano un sacco di soldi e richiedono molto tempo per dare i loro risultati. Già. Ma in proposito ho già detto più sopra.
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Epilogo
Ma questa ragionevolezza nel porre problemi o nel suggerire soluzioni differenti nella strategia anti-virus e anti-contagio, dopotutto, è per lo più latitante. E quando compare, viene ostracizzata o lasciata ad abbaiare alla luna, e svillaneggiata. Nella misura in cui mette in discussione il vaccino-centrismo ufficiale e imperante, diventa subito “sragionevolezza da confinare”: ovvero “benaltrismo” e pretestuasità da “no vax” o “no green pass” fuori di testa. In Francia, in una recente intervista su Le Parisien, il Presidente Macron ha dichiarato che farà “incazzare” (emmerder) i “no vax”[5]. In Italia, il governo Draghi ha già fatto di meglio: ha reso cosa eroica l’arte del ragionare, quella di criticare, quella di dissentire; e ha spinto alla disobbedienza “civile” milioni di cittadini, a cui impedisce la vita e il lavoro. Questi cittadini spesso non mancano di buone ragioni. E in questi due anni hanno cercato di esprimerle con la ragionevolezza delle questioni e dei dubbi, dei diritti e delle preoccupazioni (individuali e collettivi). Dubbi, questioni, preoccupazioni e diritti che meritano attenzione, rispetto e risposte pubbliche.
Alla fine, ciò a cui qui ho voluto prestare le mie parole è quella ragionevolezza che dovrebbe identificare una “società aperta” e il razionalismo critico che guida il “fallibilismo”. E nient’altro di eroico.
NOTE
[1] Vedi ad esempio Lancet, vol. 398, 20 novembre 2021: G. Kampf, Covid-19. Stigmatising the unvaccinated is not justified.
[2] Sebbene con parole più misurate che in precedenti occasioni, in questo senso è tornato ad esprimersi, in ultimo, il premier Draghi nella conferenza stampa del 10 gennaio 2022.
[3] “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”: così si legge in apertura della Costituzione italiana (art. 1, comma 1).
[4] Vedi Codacons. Codacons invita il premier Draghi a rettificare le sue affermazioni sui decessi da Covid. Dati smentiti da ISS. Altrimenti sarà inevitabile una denuncia per procurato allarme. comunicato stampa del 26 dicembre 2021, https://codacons.it/covid-codacons-invita-il-premier-draghi-a-rettificare-le-sue-affermazioni-su-decessi-da-covid-dati-smentiti-da-iss/
[5] Vedi «Emerder» les non-vaccinés: le coup risqué de Macron, Le Parisien, 5 gennaio 2022; Europe, vaccinations, présidentielle… Emmanuel Macron se livre à nos lecteurs, Le Parisien, 4 gennaio 2021, entrambi presenti sul sito di Le Parisien (ultima consultazione: 6.1.2022)
Pubblicato su questo sito il 14 gennaio 2022
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Bello questo intervento del prof. Nevola , credo l’unico docente della università di Trento informato in modo corretto.
Vorrei proporre al prof. Nevoka, se non lo conosce già , di leggere gli interventi di un suo collega docente in matematica dell’ università di Perugia, prof . Marco Mamone Capria.
Già nel dicembre 2020 ha pubblicato una raccolta dati ufficiali che dimostra molto chiaramente che non esiste nessuna pandemia.
Ringrazio per l’ attenzione e mi farebbe piacere conoscere di persona il prof. Nevola.