(Pubblicato su questo sito il 9 dicembre 2020 – Uscito su “l’Adige”, 9 dicembre 2020; aggiornato e con altro titolo, su “Alto Adige, 12.12.2020)
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Il 9 dicembre il Parlamento voterà sulla riforma del Mes approvata dall’Ecofin/Ue. Già da giorni la riforma ha messo in fibrillazione la politica italiana, accendendo non solo contrapposizioni tra maggioranza e opposizione, ma soprattutto divisioni nel governo Conte 1 e all’interno dello stesso M5s, dove un nutrito gruppo di parlamentari dichiara che non la voterà. Difficile prevedere come questi contrasti politici si tradurranno in Parlamento. Ma l’esito del voto aprirà o chiuderà una serie di scenari politici di cui si sta discutendo a Roma: crisi di governo, “rimpasto” del Conte 1, nuova maggioranza (Pd, Iv, Fi, parte dei 5s; un Conte 3?), scioglimento anticipato delle Camere, magari con un governo “tecnico” o del presidente (Mattarella), di transizione o di decantazione.
Per due anni e mezzo, ossia da quando è premier (prima del governo M5s/Lega, poi di quello M5s/Pd e alleati minori), Conte ha costantemente ribadito il “no al Mes”. Sul Mes Conte “il tattico”, temporeggiatore e trasformista, prima era in contrasto col Pd, ma oggi si allinea al Pd. Pure sul Mes, spinge se stesso e i 5s a sconfessare platealmente la tradizionale posizione: da qui il forte dissenso nei 5s, che stavolta trova sponda in Grillo, suo leader “spirituale” (ma chissà se ancora suo leader politico). Vedremo come andrà. Dietro la questione dei numeri, specie al Senato, c’è la questione politica, ben più spessa: i destini personali e delle forze politiche di questa stagione. Ma c’è anche una questione di merito. Cos’è il Mes? Cosa c’è nella sua riforma”? Di quale Europa è emblematica espressione?
L’Ue istituisce il Mes nel 2012, nel pieno della crisi finanziaria iniziata nel 2008, al fine di fronteggiare la così detta “crisi dei debiti sovrani”, per evitare il fallimento di Stati membri. Lo strumento viene collocato fuori dal quadro giuridico dell’Ue, perché la sua missione sarebbe di offrire prestiti agli Stati in serie difficoltà, mentre l’ordinamento giuridico comunitario non ammette la possibilità di “salvagenti solidali”: gli Stati membri non possono essere chiamati a rispondere dei debiti degli altri. La cosa, quanto a solidarietà, è singolare. Ma è così, e lasciamo da parte come e perché nell’economia internazionale si formano questi debiti. Resta però il fatto che nella testa di molti cittadini l’Ue è l’incarnazione dei valori della solidarietà tra gli europei: questo è l’argomento largamente usato, ad esempio, anche dai miei studenti, quando a fine corso espongono le loro idee sull’Ue e sull’Europa.
Beninteso, neppure la recente riforma definita a Bruxelles incorpora il Mes nell’ordinamento giuridico Ue. Tra le varie novità proposte dalla riforma c’è quella che distingue due linee di prestito: 1) una più “morbida”, per i Paesi non a rischio finanziario o di infrazione dei parametri, quelli in qualche modo in grado di finanziarsi sui mercati; 2) una più “rigida”, con condizioni severe, per gli Stati vulnerabili e non in grado di finanziarsi sui mercati. Sfugge un po’ la ratio di questo doppio binario del “salvagente solidale”. Perché mai i Paesi che si trovano nella prima situazione dovrebbero indebitarsi con il Mes? E infatti non lo fanno. Capita invece che ad usarlo sia chi si trovi nella seconda situazione: la sua debolezza può costringerlo ad accettare i prestiti, e così indebitarsi ulteriormente, ad accedervi in cambio di una “sorveglianza rafforzata” da parte dell’Ue, in cambio di riforme a suon di “lacrime e sangue”; e ciò senza remora alcuna nei confronti di volontà e decisioni legate a ciò che chiamiamo “democrazia”. Come dire, se sei messo male, lascia perdere la democrazia, oppure arrangiati. Emblematico è stato il caso della Grecia culminato nel diktat della troika nel 2015. E pensare che la democrazia sarebbe il valore principe dell’Ue. Ma il valore-democrazia deve fare i conti con il potere, con i rapporti di forza. Ed è per questo che la democrazia è così spesso in crisi, ben più che a causa di populisti o sovranisti, Trump o Orban. Nella nostra narrazione edificante abbiamo scorporato la democrazia dal potere, ma la realtà presenta il conto: non vederlo è l’effetto di un gioco illusionistico, interessato e meno, in buona o cattiva fede.
Così torniamo al nuovo Mes. Prevede una linea per i Paesi “centrali” e una per quelli “periferici”: una linea agevolata di accesso al prestito, per chi ne ha meno bisogno; una aggravata, per chi si trova a mal partito. Tutto ciò che senso ha per uno strumento che si propone come “salvagente solidale”? Quanta “solidarietà europea” è racchiusa in tale strumento? Lasciamo perdere queste domande, e diciamo che questa è l’Europa/Ue, oggi. Né traggano in inganno le rassicuranti semplificazioni che han ritratto il Recovery Fund come svolta storica per l’Ue, mentre per Bruxelles è solo un’”eccezione” che sospende temporaneamente i vincoli finanziari comunitari di fronte all’emergenza pandemica ed economica. Il punto è che l’Ue è ben diversa da come la si immagina, ancorata al progetto europeo dei “visionari” della metà del secolo scorso. È figlia dell’ideologia neoliberale. Costruita e sviluppata quando il neoliberalismo conquistava l’Europa, l’Ue persegue politiche che riflettono il suo modello di società e di economia; è plasmata dalla forza di grandi imprese, multinazionali, gruppi finanziari e bancari, da Stati, partiti, sindacati che per interesse, vocazione o necessità sono, protagonisti e comprimari, attori di una governance neoliberale su scala globale. La partita, come sempre nella storia, si gioca nel “campo del potere”, che funziona come un campo di forze tra soggetti in relazione tra loro, che definisce gli assetti di equilibrio e dominio nella società, a livello internazionale, europeo, nazionale.
Nel “campo del potere” le istanze democratiche, nel senso corrente nelle nostre liberaldemocrazie, hanno un peso poco più che residuale. Parlamenti, governi e le elezioni che li legittimano han visto ridursi la loro forza nel “campo del potere” a causa del ridursi dell’energia partecipativa collettiva che in altre epoche li alimentava. Ciò è indigesto da ammettere. Alla “ribellione delle masse”, di cui parlava Ortega y Gasset un secolo fa, sono subentrati la “ribellione delle élites” e il “tradimento della democrazia” evidenziati da Lasch, con una diagnosi fatta all’indomani del crollo del Muro di Berlino, del tramonto del socialismo sovietico, negli anni di accelerazione dell’integrazione europea e della globalizzazione, quando, con la “fine della storia” si decantava il trionfo della democrazia. Ma: quale democrazia? Parlamenti, governi ed elezioni erano già diventati soggetti secondari del governo della società. Al cittadino comune delle nostre democrazie non resta che il voto. Ma il voto ha perso di efficacia, e molti vi rinunciano. Se vogliamo capire la politica e la nostra Europa, Mes compreso, bisognerebbe non solo studiare bene Schumpeter, Dahl o Sartori, ma fare i conti con Mosca, Michels, Wright Mills o Bourdieu. La democrazia diventa solo una rappresentazione oleografica se perde di vista il potere. I nostri politici lo sanno, mentre volteggiano su Mes ed europeismo. Ed è bene che lo sappiano pure i giovani del nostro tempo. Affinché <<le pupille abituate a copiare, inventino i mondi sui quali guardare>>. La cosa non è estranea al “campo del potere. Solo che al menestrello sfuggiva.
Articolo sano e commovente che espone in maniera chiara la verità dei fatti.
La morale europea è di essere solidale ma la sua etica si discosta anni luce. Si basti solo vedere come cambino le aspirazioni commerciali dell’Ue nei confronti dei paesi in via di sviluppo di fronte alle pressioni dei vari stakeholder interni…il potere normativo naufraga.
Tempi veramente difficili professore!