Il virus dell’Europa

(Uscito, con altro titolo e in versione leggermente diversa, su “l’Adige”, 4 aprile 2020 – Pubblicato su questo sito il 4 aprile 2020)

Von den Leyen chiede pubblicamente scusa all’Italia. Il premier Conte la ringrazia, ma aggiunge: «Cara Ursula, sento idee non degne dell’Europa». La cancelliera Merkel non gradisce. Rimarranno solo parole? Chi è l’Europa colpita dal virus?

Negli Usa Trump fa fronte alla crisi epidemica stanziando oltre 2mila miliardi di dollari e richiama un milione di “riservisti” per la macchina anti-crisi. In Europa, la Germania arriva a mille miliardi di euro; la Francia, meno solida, si mette sulla scia; l’Italia, partita con 3.5 miliardi, ora è a 50, non potendo permettersi di più. Benché molto diverse, sono cifre imponenti e sconvolgenti per i bilanci nazionali. Specie per quelli dell’Ue, vincolati ai “parametri di Maastricht”, a regolamenti e “patti di stabilità” che limitano i margini di azione dei governi, che vietano gli aiuti di Stato. In passato, però, tali vincoli hanno operato secondo pesi e misure differenti nei diversi casi nazionali, con la dovizia di argomenti “tecnici” e di contabilità finanziaria che ha sempre seguito una ratio politica. E oggi?

Davanti all’emergenza, Ue e istituzioni comunitarie balbettano, e si arroccano a difesa di un’Europa dell’ancien régime. Dopo che l’epidemia si è diffusa nei Paesi europei, dopo che i governi (persino quello tedesco, “forza calma europea”) hanno chiuso i confini nazionali, la Commissione Ue finalmente decide la “sospensione di Schengen”: quella formale, perché quella reale c’era già stata. Uno dietro l’altro, i governi nazionali annunciano deficit di bilancio e che non rispetteranno i parametri europei; non solo Italia, ma anche Francia e Germania (paladina rigorista del Patto di stabilità); ed ecco che, a fine febbraio, il vice-presidente della Commissione, Dombrovskis, dichiara che il Patto di stabilità in effetti prevede clausole per far fronte a tutte le emergenze: nel caso del coronavirus «saremmo aperti a discuterne con gli Stati che ne facessero richiesta». Viene il dubbio che Dombrovskis non capisca cosa stia accadendo in Europa, non solo a livello economico e finanziario, ma anche nella sicurezza sanitaria, a livello sociale, politico. Da parte sua, Lagarde, presidente della Bce, dichiarando che lo spread dei Paesi Ue non è un problema della Bce (sic!), infiamma i mercati, si attira le ire di Mattarella (presidente prudente e schivo, ma solo apparentemente docile), e poi fa retromarcia: la Bce interverrà sul mercato dei titoli statali per disinnescare l’esplosione dello spread. Ancora. Si è dovuto attendere il 20 marzo per vedere la Commissione attivare la clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e autorizzare i governi nazionali a “pompare danaro nel sistema finché serve”, o per vederla aprire un fondo europeo a favore dell’emergenza coronavirus. Ma attenzione: la Commissione precisa che si tratta di una «sospensione temporanea» del Patto, la cui filosofia deve essere rispettata «senza mettere a repentaglio la sostenibilità del bilancio». Ciò per l’Italia e per diversi Paesi significherebbe avere un sostegno europeo oggi, ma accettare pesanti ipoteche sul futuro, quando, come ha sintetizzato Somma, le alternative del “dopo crisi” sarebbero: «varare manovre di bilancio lacrime e sangue o subire l’intervento della Troika. Difficile dire cosa sia peggio». L’Italia rischia di diventare la nuova Grecia, in salsa coronavirus.

Ma il nostro Paese non è il solo a temere questa insidia. Mentre Conte punta sui “coronabond europei”, Ursula von der Leyen li definisce uno slogan; il premier portoghese definisce «ripugnante» la posizione dell’Olanda; quello italiano respinge al mittente le proposte Ue targate Merkel. Siamo agli stracci “in famiglia”. S’ingrossa il coro del “Siamo in guerra”; nelle orecchie della cancelliera di Berlino ronza di sicuro la frase: “Avrà sentito dei debiti di guerra della Germania, Frau Merkel!”. Di fronte agli strumenti di intervento previsti dalle istituzioni europee c’è l’immediata reazione di 9 capi di Stato e di governo: con una lettera pubblica al presidente del Consiglio europeo Michels, Belgio, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Portogallo, Slovenia e Spagna chiedono che l’Ue operi con maggiore «audacia» nel «sostegno degli sforzi nazionali per proteggere le nostre economie e il nostro modello sociale» messi in crisi dalla pandemia. La Germania si mostra sorda, insieme a Olanda, Austria e Finlandia, Paesi che si autodefiniscono «frugali» e che ribadiscono la sufficienza degli strumenti evocati da Bce e Commissione. Il vertice dei 27 capi di Stato e di governo (26 marzo), dopo una surriscaldata teleconferenza di sei ore, non supera le divisioni e rinvia di 15 giorni ogni decisione. Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentre a Bruxelles si discute, l’Europa è in fiamme. Questa è l’Europa. Lacerata, ancora una volta. Le contrapposizioni tra “formiche e cicale”, tra Nord e Sud, sono difficili da dissimulare, e hanno una natura culturale e politica prima che economica.

In un libro del 2007 (Democrazia, Costituzione, Identità) scrivevo che l’Ue non aveva superato il “test di unificazione politica”: priva di identità “politica” non poteva essere una comunità politica. Oggi è come ieri. Una comunità politica si riconosce dal fatto che dispone di condivisi meccanismi solidaristici di redistribuzione delle risorse, ossia dalla possibilità di trasferire “beni pubblici” dalle persone e dai territori più ricchi a quelli più poveri o in difficoltà. “Questa Ue somiglia a un sogno fallito” è canzone oggi gettonata. Un sogno ingannevole dal quale siamo spinti a svegliarci. Certe crisi possono rivelare ciò che siamo. Anche in campo politico. Dove siamo arrivati? Oggi un nuovo sogno europeo non pare credibile. Ma anziché rabberciare quello vecchio dovremmo guardare in faccia la realtà europea e cercare, nell’interesse di tutti, un coordinamento minimo indispensabile tra gli Stati, dove pure i più forti capiscano che è loro interesse tenere al riparo quelli che sono più in difficoltà. Riprendendo Prodi: se Germania e Olanda non capiscono, a chi venderanno i Bosch e i tulipani? Alla Cina? Qualcuno dice: «Ma questa non è l’Europa, sono i governi». Vero. Ma l’Ue, alla fine, è essenzialmente un’arena di Stati nazionali, di accordi e compromessi, di conflitti o egemonia dell’uno o dell’altro, dove sono in gioco il controllo di tecnostrutture e le pressioni di lobbying networks.

Per gestire la “crisi-virus” e limitarne i danni nel Vecchio Continente è necessario che l’”Europa” batta un colpo e riveda alcuni suoi dogmi. Lo dice anche l’intelligente e autorevole Draghi, invero pure lui in ritardo, ma in anticipo rispetto ad altri. In effetti, l’Europa si sta muovendo. Ma in quale direzione? L’Europa ha diverse facce e molte vesti istituzionali. Ma a contare davvero non è quella per anni declamata da tanti alfieri di un europeismo facile ed equivoco. La belle fable dell’”unione” europea si sfalda sotto i colpi della realtà. L’Unione Europea, per come l’abbiamo conosciuta e ci è stata raccontata, rischia di finire davvero a gambe all’aria. Per l’emergenza si troverà una soluzione-tampone. Può darsi che debba solo “passà ‘a nuttata”, e poi nell’Ue tutto ritornerà come prima, ovviamente con il maquillage del caso a renderla di nuovo bella e desiderabile: “perché conviene”, “perché non ci sono alternative”, “perché il potere è il potere”. Ma la storia scopre le sue carte molto dopo che noi abbiamo giocato le nostre. Sempre.

2 Replies to “Il virus dell’Europa”

  1. Il momento presente rende straordinariamente appropriato il nome di questo blog.
    A fine gennaio, quando la nostra classe politica dibatteva sulla pur fondamentale questione relativa al chi abbracciare e cosa ordinare al ristorante per dimostrare il grado dell’italica civiltà, mi domandavo – diciamo “perplesso” per non usare altro termine – se non fosse importante considerare razionalmente e ragionevolmente, di concerto con tutti i Paesi Ue, misure comuni che prendessero in esame la pur “remota” possibilità che il virus potesse trasvolare da un continente all’altro. In quella fase, prefiguravo tra me e me uno scenario estremo in cui il costrutto europeo non avrebbe più potuto dissimulare il suo vero volto, dal momento che, nella vita – come recitano i detti antichi – sono proprio le situazioni eccezionali a fare emergere la cruda realtà, altrimenti ben camuffata dalle sofisticazioni agevolate in “tempi facili”.
    Successivamente, la fase delle scelte “eroiche”, durante le quali i Paesi europei si sono cimentati nell’ipotizzare, giustamente in ordine sparso, soluzioni adatte ad amministrare l’emergenza: chi a chiudere frontiere (sì, ma intraeuropee!), chi a cercare la quadratura del cerchio, assumendo a variabile indipendente il bene supremo della libertà di trafficare e spendere. Chi, infine – leggasi la rigorosa Italia – con un governo indeciso e infine risoltosi per la “linea rigida”, sortita anche dal timore di essere doppiato, dopo l’iniziale inseguimento, dalle decretazioni delle regioni più flagellate, sullo scadere del loro ultimatum: con esso, capovolgendo quanto previsto dall’ordinamento e dalla più ovvia logica dei rapporti tra centro e periferia,esse minacciavano di avocare a sé le competenze governative, esercitando poteri sostitutivi. Tutti, comunque, a sottolineare che nella democratica Europa “non possiamo fare come in Cina, che è una dittatura”. E io, nel mio piccolissimo, mi domandavo se in una situazione di eccezionalità (peraltro contemplata dalle moderne costituzioni, senza doverci rifare al paradigmatico iustitium dell’antica repubblica romana) valga più il discrimine aggettivale sulla natura del regime ovvero l’elemento accomunante: l’essere comunque Stati, democratici o meno. Stati, la cui autorità – “pactum unionis/subiectionis” docet, solo per rispolverare Hobbes – si legittima e giustifica, al suo grado zero, in ragione della capacità di ottemperare al primo “comandamento” : salus rei publicae suprema lex esto. Ce lo recitano le XII Tavole, dal 450 a.C. circa: mica da ieri! Eppure, si tratta di formalizzazione sin troppo recente, perché ovvia, considerando che il principio vige dal giorno in cui l’individuo umano mostrò l’attitudine a vivere in maniera organizzata con i propri simili. Direi anzi che vige da sempre, in natura, per qualsiasi specie animale etologicamente dotata di “istinto comunitario”.
    Ora siamo nella fase in cui si studiano, con doverosa lungimiranza, le strategie della convalescenza. E, sempre nel mio consueto piccolissimo, mi chiedo se le dinamiche dibattimentali efficacemente rappresentate dall’articolo non siano l’ennesimo terreno pratico cui applicare la formula della matematica schmittiana. Quella per cui sovrano è chi decide sullo (e nello) stato d’eccezione. In base al risultato, sapremo finalmente comprendere, al netto di infingimenti e corrette retoriche, chi è davvero il sovrano del (e nel) costrutto europeo. Al raggiungimento di tale comprensione, purtroppo, sembra essere funzionale l’orientale virus coronato, mortifero rivelatore.

  2. …la Costituzione è la legge che fa soggiacere il potere…in Europa manca e dunque la famosa unità europea non esiste,esistono vari trattati,accordi tra nazioni,ma non sono la costituzione che determina l’unità,l’appartenenza,ci fa sentire tutti uniti,etc. Questo è il mantra che ripeteva il Professor Gaspare Nevola nelle sue mirabili lezioni al corso di sociologia politica già qualche anno fa nell’ateneo di Trento. Manca una comune politica estera,una comune fiscalità,una comune difesa dei confini che pur nella globalizzazione è necessaria come gestione del flusso immigratorio,manca la lungimiranza dei padri fondatori dell’unione europea. Siamo rimasti attaccati alle nostre misere politiche interne non sapendo fare unione contro l’avanzare della Cina commerciale,gli Stati Uniti e Russia dall’altra parte. Oggi il vaso di Pandora si è rotto e tutti i mali sono venuti allo scoperto .Le politiche italiane in primis e quelle europee a seguire in quanto concettualmente uguali alle nostre.Ognuno pensa per sè. A mettere tutti sullo stesso piano ci voleva una pandemia che ha scoperchiato tutti i nervi deboli di una società consumistica senza limiti e rispetto.Tutti dicono che ci saranno dei cambiamenti notevoli e concordo, il futuro sarà diverso,deve esserlo. Ma se poi si seguono le dichiarazioni politiche sono tutti pronti a tornare alla ..normalità..quanto prima, in nome del..mercato..come se nulla stia succedendo. Proprio quello che noi chiamiamo normalità ha prodotto tutto questo disastro.L’umano come sempre si dimostra lento e egoista nei suoi cambiamenti, pur nel contesto tanto evidente come l’attuale.

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