(Uscito, in versione leggermente diversa e con altro titolo, su “Alto Adige” e “Trentino” del 26 settembre 2015 – Pubblicato su questo sito il 2 ottobre 2019)
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Passato il Meeting agostano di Rimini pare chiudersi anche l’estate politica. Ma l’estate politica lascia le sue tracce. Come ormai tradizione, uno degli appuntamenti-chiave del Meeting è con i presidenti del consiglio: nell’occasione essi riannodano i fili della loro politica e la ribalta mediatica è assicurata. Quest’anno è stata la volta di Renzi. Il suo discorso, va detto senza infingimenti, è risultato piuttosto arruffato, nello stile e nella sostanza. Contiene però importanti prese di posizione. Una di esse merita attenta considerazione. Dice il premier: «Mi fanno ridere quando dicono: beh, se non c’è l’elezione diretta dei senatori è a rischio la democrazia! Non è che se si vota tante volte al Senato si ha più democrazia, quello è il Telegatto». Non è ben chiaro cosa egli voglia dire, a parte difendere la “sua” riforma del Senato – con “argomenti” peraltro poco accurati. Non intendo ritornare sul merito della riforma in discussione in Parlamento, sul suo accoppiamento con quella elettorale già approvata. Né entrare nel pingpong tra “democrazia a rischio” e “rimettere in moto il Paese”, slogan spesso troppo disinvolti e tanto cari a politici di tutte le stagioni, e oggi cari a Renzi. Di per sé un Senato non elettivo non porta alla fine della democrazia. Ma la parola democrazia significa tante cose, ha assunto pieghe e colori differenti nel tempo. La questione seria, alla quale si presta poca o generica attenzione è: di “quale” democrazia stiamo parlando? Cosa abbiamo in mente quando usiamo questa parola? E soprattutto: quale “qualità” della democrazia vogliamo? Con quali valori, criteri e condizioni la identifichiamo? L’argomento non è solo per accademici, più o meno salottieri, o di scarsa utilità per la vita pratica e concreta. Il significato delle parole e le idee che esse esprimono è cosa assai concreta e pratica: definisce le coordinate dentro cui viviamo, facciamo le nostre scelte, gradiamo una cosa e critichiamo o rifiutiamo l’altra.
L’affermazione di Renzi fa riflettere su un tema rilevante, attorno al quale essa (ambiguamente) gira: il posto e il significato del votare, del momento elettorale nel governo democratico della res publica. Il tema riguarda anche il premier Renzi, come ci rammenta, ad esempio, una sua clamorosa dichiarazione all’indomani di un voto amministrativo, che bollava come un «fatto secondario» la bassissima partecipazione elettorale in Emilia Romagna e la vistosa tendenza calante della partecipazione alle urne in tutta Italia.
La possibilità di votare è il fatto costitutivo della democrazia moderna, delle nostre democrazie elettorali. Il diritto di voto, grazie al quale i cittadini possono eleggere i propri rappresentanti e scegliere da chi essere governati: è la quintessenza della liberaldemocrazia di massa. La possibilità di votare è il nucleo “sacro” che salvaguarda, attraverso procedure stabilite, la volontà popolare eretta a fondamento di legittimità dei regimi non autocratici e non tecnocratici. Secondo la teoria e la dottrina democratica moderna, come ci hanno insegnato studiosi di orientamento genuinamente liberale , quali ad esempio Joseph Schumpeter e Anthony Downs, William Riker o Robert Dahl, nelle democrazie rappresentative, quali le nostre, il cittadino comune cede l’”esercizio” del potere legittimo, ma a condizione di mantenerne la “titolarità”, a condizione di scegliere (tramite elezione regolari, periodiche e ricorrenti) a chi affidare il governo degli affari pubblici. A ciò si riferisce la definizione di “democrazia minima” usata dai politologi. Se nella cultura politica delle democrazie rappresentative si perde la convinzione che il voto sia il baricentro del processo politico, esse si svuotano di significato, deperiscono, si sfigurano o diventano altra cosa. Il fenomeno dell’astensionismo elettorale, ormai a livelli di guardia anche in Italia, già testimonia la disaffezione, la sfiducia, la de-identificazione dei cittadini con la democrazia rappresentativa elettorale. Ma esso è un sintomo del malessere della democrazia, non la causa. E forse anche il sintomo di una mutazione genetica dei nostri regimi democratici.
Chi taccia di populismo o di pressappochismo demagogico i movimenti che reclamano, in tutta Europa, una democrazia più diretta o più partecipata, dovrebbe piuttosto valorizzare e riqualificare la cultura e la pratica del votare – non svilirne il significato. L’alternativa sono forme di governo che insistono, più o meno surrettiziamente, su formule tecnocratiche o neo-cesaristiche variamente combinate tra loro. Si tratta di soluzioni che, di per sé, non sorprendono: quella che chiamiamo democrazia è infatti un governo formato da una miscela di ingredienti vari, di cui quello propriamente democratico è solamente uno accanto ad altri ingredienti (tecnocratico, aristocratico, oligarchico, plutocratico, ecc.). A essere decisivo è però il dosaggio di questi ingredienti. La qualità “democratica” di un regime e la sua legittimità democratica di un sistema politico dipendono non poco dal variare del peso che, volta a volta, assumono la volontà popolare, il voto e le sue procedure rispetto agli altri ingredienti del potere. Eleggere e votare non è Telegatto, caro Renzi. Simili modi di pensare gettano cattiva luce sulla stessa idea di un Senato non elettivo. E dicono qualcosa sul modo di concepire la democrazia. Sarebbe più sano e più serio porre il problema in termini di “c’è troppa democrazia nelle nostre democrazie” – come la cultura politica neo-conservatrice sostiene da tempo, con più coraggio e onestà intellettuale.
Una riuscita sintesi tra democrazia e governabilità è cosa difficile e delicata, se si crede ancora un po’ alla sovranità dei cittadini. D’altra parte, continuare a giocare con la parola “democrazia” può anche dare buoni risultati a chi ci sa fare, e con un po’ di fortuna può anche arrivare ad acquietare la pancia e la testa di molti. Ma questo significa continuare a camminare lunga quella strada che punta a formare “consumatori” (anche di politica), e accontentarsi di questo. E ai “cittadini”, appunto, lasciare davvero il Telegatto. In tutto ciò l’odierna vicenda di Roma è emblematica. Qui, a torto o a ragione, il sindaco eletto (Ignazio Marino) è stato di fatto esautorato dei propri poteri, per affidare a grand commis dello Stato e a tecnocrati affini (non scelti dai cittadini-elettori) il governo della capitale. Il governo di un comune, in effetti, può essere commissariato ed essere sciolto dal governo nazionale: le regole lo consentono. Tali regole, però, indicano la via maestra per ovviare a malaffare e “inquinamento” nell’amministrazione pubblica, e prevedono la contestuale via di nuove elezioni: proprio per dare ai cittadini la possibilità di votare e scegliere a chi affidare il governo. Il governo Renzi ha scelto un’altra e più tortuosa via, poco credibile nella sua rappresentazione pubblica. Alla fine, dove sta la democrazia e dove il Telegatto? Non riduciamo le elezioni ad un passatempo per tenere tranquilli e fare contenti i bambini. Cerchiamo di essere seri, e facciamo attenzione a come usiamo gli strumenti e le procedure delle liberaldemocrazie.
il sistema democratico,attraverso appunto la democrazia (potere del popolo) è il metodo più difficile per governare un paese. Tanto di questo sistema si è perso, quantomeno è venuto meno il suo significato reale. Andiamo ancora a votare,ci mancherebbe altro!!! Ma che peso hanno le nostre scelte? Sono fatte realmente da noi?Siamo un paese dove la legge elettorale viene cambiata poco e spesso in base alle convenienze partitiche,i candidati sono proposti dalle varie segreterie di partito o leader in auge al momento. Il parlamento stesso ha perso molto della sua autorevolezza con i procedimenti della fiducia e dunque passano provvedimenti a dir poco scandalosi.Quando poi arrivano personaggi,non personalità,come Renzi,furbo, scaltro,svelto nel magma politico attuale,ma disonesto intellettualmente la sua saccenza e il suo ego fanno si che la democrazia sia l’ultimo dei suoi pensieri.Per contro il movimento 5 stelle propone una fantomatica democrazia diretta dove non si sa bene chi certifica e dove a fronte di milioni di voti solo pochi hanno diritto di partecipare con il famoso clic del computer,poco più di un sondaggio.Con tutte le sue negatività l’astensionismo la fa da padrone.