(Uscito con altro titolo su “Alto Adige”, 22 giugno 2019; “L’Adige” 23 giugno 2019 – Pubblicato su questo sito il 24 giugno 2019)
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Lettera da Bruxelles, risposta da Roma. Alla fine la Commissione Europea ha avviato la procedura d’infrazione sui conti dello Stato italiano. Singolare, e sconfortante, che lo abbia fatto quella uscente, senza aspettare quella che riceverà l’investitura del nuovo europarlamento eletto a maggio: sa di protervia o di burocratico rispetto dei regolamenti, mentre siamo di fronte a delicate decisioni politiche. Sia come sia, il confronto sui numeri economici tra governo giallo-verde di Conte e istituzioni europee continua senza posa, spesso sotto i riflettori mediatici, talora, come si sa, a fari spenti. Va così da quando in Italia è nato il “governo del cambiamento e la guida del Paese ha preso un sapore politico “anti-sistema”.
Il governo Conte vuole evitare la procedura, per molti motivi di carattere strategico-politico e di opportunità (”etica politica della responsabilità”, illuminata da Max Weber), ma è frenato dal fatto che esso vede buone ragioni a difesa delle sue scelte (”etica politica delle convinzioni”, pure weberiana). Entro quali limiti e condizioni si cercherà l’accordo con L’Ue? È su questo punto che a Roma si è incerti e ci si divide: il vice-premier Salvini non intende rinunciare ad aumentare la spesa pubblica in deficit, a promuovere quel cambiamento di politica economica promesso agli elettori e che porta alla Lega tanto consenso alle urne; in questo pare spalleggiato dal vice-premier Di Maio, che sul cambiamento della politica economica ha fatto il pieno alle politiche di marzo 2018, anche se oggi non è chiaro con quanta determinazione voglia restare fedele alla linea. Le principali forze di opposizioni (Pd e Forza Italia) balbettano un “sostegno a prescindere” ai richiami di “razionalità economica” provenienti da Bruxelles.
Ogni giorno sentiamo ripetere dalla cultura politica pro-sistema che il comportamento del governo M5S/Lega è indotto da considerazioni politiche, di lotta per il potere, che nel merito delle scelte di finanza pubblica mette da parte la “realtà economica”, i numeri e parametri dell’Italia. Se prendiamo per buona questa lettura, alquanto estremizzata, allora va precisato che quando consideriamo numeri e parametri, a dire il vero, c’è da stabilire quali sono “quelli che contano” (come ricorda, ad es., il neo-presidente Consob ed ex-ministro Savona), e tra Ue e governo italiano ciascuno sottolinea i suoi. E poi, soprattutto, va aggiunto che anche il comportamento della Commissione Ue (oltre che delle opposizioni in Italia) è guidato da considerazioni politiche. È ingenuo credere che establishment politico di Bruxelles e d élites economiche che lo sostengono siano mosse da considerazioni “politicamente neutre”, “tecniche”, come se l’economia, e le scelte in questo campo, fossero questioni di “verità oggettive” indiscutibili, slegate da punti di vista, da interessi, da volontà e finalità politiche. Da sempre, “l’economia è politica”, in tutti i sensi, come ci hanno storicamente insegnato i grandi economisti. Oggi, forse più che mai, in Europa l’economia, il suo linguaggio, i suoi numeri e modelli “tecnici”, le misure che ciascuno sostiene, sono gli strumenti principali della politica, le armi della lotta per il potere. L’economia, alla fine, è (anche) potere: un potere che, a seconda dei casi, oscilla tra soft power e hard power, come si dice in scienza politica. Controllare l’economia e le scelte economiche è potere, quali che siano i fini perseguiti. A questo, credo, faccia riferimento il vice-ministro Bagnai quando, con parole pesanti, parla di “rischio di pressioni di stampo mafioso” da parte della Commissione Ue: è il caso che Bagnai lo chiarisca bene, a vantaggio di cittadini e opinione pubblica.
Il voto europeo di maggio ha espresso una misura (elettorale) dei rapporti di forza tra i soggetti della politica pro-sistema e di quella anti-sistema. Influirà sulla composizione del ceto politico e “tecnico” di Bruxelles, sulle scelte politiche ed economiche dei prossimi anni: sulla gestione dei vincoli di bilancio degli Stati, sul loro sforamento, su “rigore finanziario” e austerità, sulle collegate politiche migratorie. Anche la nuova Commissione sarà massimamente politica, e resterà interprete della politica e dell’economia pro-sistema. Ma continuerà a reagire a muso duro davanti alle forze che si oppongono alla politica e all’economia neo-liberale madre dei vincoli e degli accordi europei, di quei parametri che Prodi, col senno di poi, ebbe a definire “stupidi”? In questa opposizione anti-sistema, non nascondiamocelo, è racchiuso il consenso crescente che va agli sfidanti del “Bruxelles consensus”. La partita “economica” europea continuerà a essere squisitamente politica, fatta di rapporti di forza tra differenti interessi e visioni. Saranno questi rapporti di forza a dirci chi è il “sovrano”, quali gli eventuali compromessi e come girerà il mondo. Il popolo dei così detti populisti può perdere. Lo abbiamo visto in Grecia nel 2015 con il governo Tsipras, e i costi di questa sconfitta non sono rose e fiori per i Greci, che non sanno più a quale santo votarsi. Può riaccadere oggi in Italia, dove l’ala moderata del governo, rappresentata dal premier Conte, dal ministro per l’Economia Tria e dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giorgetti, si sforza di andare incontro alle richieste della Commissione, ad esempio mettendo sul piatto 2 miliardi di riduzione della spesa pubblica, una revisione della sua politica economica espansiva mirante a favorire la crescita, una politica che, va detto, è da anni accreditata da una corrente critica (Fitoussi, Stiglitz) della teoria economica ortodossa e i suoi fallimenti.
In democrazia c’è bisogno, almeno un po’, del consenso del popolo. Le forze pro-sistema che si autoproclamano europeiste saranno capaci di riaccreditarsi come forze popolari e voce del popolo, in primis di chi manifesta disagio e scontentezza, di chi protesta e chiede ascolto e risposte? Le istituzioni europee capiranno davvero che la politica è in agitazione o si accontenteranno di difendere la “fortezza Europa” dai “barbari anti-sistema”, con una maggioranza parlamentare più eterogenea e più scivolosa di tutta la loro storia? «Ormai anche la popolazione è coinvolta e non si potrà più fare niente senza il suo consenso». Così anni fa Maurice Duverger, riflettendo sulle tribolazioni dell’Europa. Che anche Duverger fosse un improvvido populista non è credibile. L’etica e la politica della responsabilità sono una sfida per il futuro dell’Europa, anche per Bruxelles e per le cancellerie europee. Una spada di Damocle che nessuno degli attori può permettersi di irridere. Per il bene dei nostri figli.