Alla ricerca di democrazie migliori

(Uscito su “l’Adige”, 28 marzo 2019 – Pubblicato su questo sito il 20 maggio 2019)

Abbiamo un problema politico serio: la ricerca di democrazie migliori si è spenta. Dovrebbe preoccupare tutti. Anche il Pd di Zingaretti. Ma vediamo di cosa si tratta.

Per una lunga stagione la democrazia occidentale ha interpretato il “consenso neoliberale”. Politica, economia e politiche pubbliche “ortodosse”, dominanti dagli anni ’70 e vaticinate in Europa da Bruxelles, hanno guidato non solo governi di centro-destra ma pure di centro-sinistra. Si è così consolidata la “politica pro-sistema” caratterizzata dall’obiettivo di difendere e diffondere il sistema di vita neoliberale: i suoi modelli di produzione e distribuzione della ricchezza, di uso delle risorse materiali e immateriali, la sua cultura, i suoi valori. In coincidenza con la crisi economica iniziata nel 2007, con l’emergere di problemi migratori epocali e l’incapacità a porvi rimedio, il consenso popolare al sistema neoliberale oggi è calante in tutta Europa, e con esso quello ai partiti tradizionali e pro-sistema, di centro-sinistra oltre che centro-destra. Il fenomeno ha colpito Francia, Germania, Gran Bretagna, Italia, il nord Europa. Da qui, ad esempio, l’effimero e illusorio trionfo di Macron in Francia, frutto di un’”invenzione politica” e, soprattutto, di un sistema elettorale e costituzionale che mortifica la rappresentanza di istanze diffuse nella società, a vantaggio di una stabilità delle istituzioni poco rispondente alle domande di fasce sociali che si sentono “periferiche”, vittime di esclusione economica, culturale, politica, che ormai da mesi agitano i gilet jaunes; da qui il reiterato governo di grosse Koalition in Germania, figlio del declino congiunto dei democristiani di Merkel e dei socialdemocratici, o i governi di minoranza in Spagna (guidati dai popolari o socialisti) o quello britannico di May, simbolo della fine dello storico bipartitismo conservatori-laburisti.

In faccia a questo mondo in affanno c’è il successo, tra alti e bassi, di forze politiche che han dato voce a disagi e proteste contro la politica neoliberale e il suo fallimento, e portato sulla scena europea e non (Stati Uniti, Brasile, Venezuela) una politica anti-sistema che trae consenso da due grandi crisi della politica pro-sistema: 1) crescenti diseguaglianze, povertà, esclusione culturale e politica, “deprivazione relativa”, “aspettative deluse”; 2) gestioni della sfida migratoria equivoche, irresponsabili o ipocrite, foriere di “nuove guerre tra esclusi” che han messo in ginocchio valori quali multiculturalità, accoglienza, integrazione, piegandoli a un multiculturalismo generoso ma astratto.

A emergere è un malessere diffuso, profondo, ormai sottilmente culturale, direi mentale, non solo materiale. In altra epoca avremmo parlato di “crisi spirituale”, di “crisi di civiltà”. Ma di crisi politica si tratta. Fake news e falsità, “pancia” e demagogia non bastano a spiegare che, nonostante potenti campagne comunicative (a colpi di giornalisti, università, esperti, intellettuali, testimonial del varietà e dello sport, ecc.), Hillary Clinton perde la Casa Bianca, Macron annaspa in Francia, Merkel in Germania, mentre Trump diventa Presidente USA, Brexit vince in Gran Bretagna, in Italia Lega e M5S sono al governo e nell’insieme volano nei sondaggi, forze anti-sistema guadagnano consensi nell’Est europeo e un po’ ovunque. Smettiamola di pensare che “il popolo (in fondo) è stupido”, quando non vota come desideriamo. “Sono fuori di testa, mi votano 6 su 100!”: Berlusconi lo dice “candidamente”, a sinistra è un’idea malcelata. Può essere che il “popolo” non brilli di sana cultura democratica. Ma ha forse perso le sue virtù democratiche solo ora? E perché? Di chi è la responsabilità? Dove sono o erano i responsabili? Nessuno tra le élites pro-sistema si assume davvero la responsabilità del fallimento. Questo fa del male alla democrazia.

La forza dei partiti anti-sistema arriva da idee e promesse politiche di rifiuto dei modelli neoliberali, pro-sistema. La politica anti-sistema è avvolta in mille problemi: rivela contraddizioni, incertezze, pressapochismi, specie quando si tratta di metterla in pratica. A molti, legittimamente, non piace. Ma quando la si definisce “inaccettabile”, ci si dovrebbe anche chiedere: inaccettabile per chi? È inaccettabile per i “perdenti della globalizzazione”? Per gli esclusi delle periferie? Per chi vive in quel mondo delle miserie che spesso avvolge gli immigrati “accolti”?

Forse è il momento di rendersi conto che il gioco della “difesa degli ultimi” contro i “penultimi” è un brutto gioco: un po’ egoista, in fondo pure cinico, di sicuro miope e fuorviante. Questo gioco dimentica che anche i “penultimi” sono cittadini, cittadini che non si sentono bene e che il loro voto è valido come quello di chi si ritiene il solo “cittadino autentico”. Ma in democrazia la gente vota come le pare. La supponente arroganza dei depositari del “giusto” e del “vero” non porta lontano: rispecchia malintese idee di generosità e di democrazia, accuse di lesa maestà o di usurpazione del potere democratico, oscura cosa sta accadendo. Sentiamo ripetere, con stizza, “Vergogna! Vergogna!”. Invece dovremmo chiederci perché tanti non votano più o scelgono forze anti-sistema. Siamo di fronte a una crisi di legittimità di un ordine economico e sociale, politico e culturale, delle sue élite.

Non sappiamo se l’”ordine neoliberale”, passata la bufera, riprenderà la sua rotta. Nel frattempo, però, la bufera sta consumando assetti istituzionali e valore del voto, cultura politica e coesione sociale di liberaldemocrazie sempre meno rappresentative e sempre più post-democratiche. Questa è la realtà con cui anche le forze di sinistra devono fare i conti se non vogliono solo stare o ritornare al governo. La contrapposizione tra politica pro-sistema e politica anti-sistema è la linea di divisione della nostra epoca che oscura quella tra destra e sinistra, oggi sbiadita. Non sta scritto però da nessuna parte che non ci sia differenza tra destra e sinistra. Ma a una condizione: che la sinistra esista e si riconosca nella sua identità storica, non a parole. Ciò oggi significa lottare per il potere e costruire alleanze per cambiare la società neoliberale e per avere democrazie migliori.  Questo è il problema politico serio. Anche per il Pd di Zingaretti. Se lo sa capire.

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