Ferite della pandemia e pacificazione civile dopo il governo Draghi. Sì a una commissione parlamentare, ma la vera questione è una svolta culturale

  1. Dopo il governo Draghi. Una commissione parlamentare sulla gestione della pandemia?

Una commissione d’inchiesta parlamentare sulla gestione governativa, amministrativa, scientifica e mediatica della pandemia Covid-19? Una commissione parlamentare che indaghi sulle responsabilità di morti, sulla effettiva efficienza/efficacia delle strutture sanitarie e dei protocolli, sui provvedimenti di legge e sul profluvio di decreti emergenziali, legittimati da tecnostrutture a fronte di un parlamento de facto e de jure spogliato di funzioni e dei suoi poteri? Una commissione bicamerale su un obbligo vaccinale indiscriminato e mai agganciato a una campagna diagnostica sulle condizioni di salute della popolazione e che ha voluto negare ogni opportunità sanitaria alla cura del malato, una campagna portata avanti senza mai considerare seriamente programmi di terapia domiciliare, relegata a “vigile attesa e tachipirina”?

Una commissione parlamentare che indaghi sul piano di vaccinazione di massa indiscriminata, e affidata a vaccini sperimentali proposti come anti-contagio e con l’obiettivo di un’immunità di gregge, propositi rivelatisi entrambi basati su dubbia evidenza scientifica e smentiti da ricerche e statistiche di cui inopinatamente non si è voluto tenere conto?

Una commissione parlamentare sulla assai dubbia appropriatezza del green pass generalizzato come strumento di salute e di contenimento del contagio, mentre i dati sulla contagiosità dei vaccinati lo smentivano, con il correlato che il “lasciapassare per la vita civile” apriva una voragine lesiva dei diritti fondamentali dei cittadini, per giunta accolto da troppi (istituzioni incluse) con plauso o disinteresse?

Una commissione che si interroghi, ad esempio, sulla sospensione dal lavoro a stipendio zero, di cui le autorità non hanno mai seriamente e doverosamente considerato le implicazioni economiche, sociali e psicologiche per le persone colpite e per le loro famiglie, non meno che per lo scadimento dei servizi (ad es. quelli sanitari), privati (con molta disinvoltura) di operatori e professionisti necessari per fronteggiare l’emergenza e inizialmente, invece, acclamati come “angeli della salvezza”?

Una commissione che si interroghi sulle responsabilità di aver innescato e alimentato una odiosa campagna discriminatoria sul piano civile e su quello morale contro i così detti “no vax” e/o “no green pass”? Una campagna di odio, sia detto per inciso, che ha spaccato il Paese, contrapponendo cittadini “virtuosi” (di serie A) a “sotto-cittadini viziosi” (di serie B), e che ha visto protagoniste persino alte cariche dello Stato, mostratesi (duole dirlo) (ir)responsabili di dichiarazioni pubbliche gratuite, indebite, offensive, la cui cognizione di causa è parsa talora a livello di bar-sport.

2. Perché una commissione parlamentare sulla pandemia? Il senso di un atto dovuto

Va, dunque, istituita una simile commissione parlamentare? Sul punto intendo essere chiaro e onesto. Non nutro chissà quali aspettative sui risultati che una commissione del genere possa raggiungere nel merito di questioni non banali quali quelle sopra evocate: i precedenti delle svariate decine di commissioni analoghe danno, purtroppo, conforto alle mie perplessità. Ciononostante, penso che la sua istituzione sia un atto dovuto. Non istituirla sarebbe cosa indegna per una repubblica liberale e democratica, e finirebbe per generare ulteriori sospetti a carico di una classe dirigente, a partire da quella politico-istituzionale, a cui in democrazia sono riconosciuti compiti e poteri di auto-indagine pubblica tramite le sue stesse istituzioni-cardine, parlamento in testa.

Un atto dovuto, quindi. Un atto liberale e democratico, che dischiuderebbe il necessario (non dico sufficiente) contesto di vita di una res publica. Per questo, mi sento di sostenere, come cittadino comune (cittadino pleno jure) e come studioso di politica e di democrazia, l’istituzione di una commissione bicamerale sulla gestione della pandemia e dei suoi annessi e connessi; una commissione aperta all’audizione anche della società civile. L’iniziativa avrebbe come suo saliente correlato quello di riportare la discussione pubblica (i dubbi, le critiche o i sospetti alimentati dalla stagione del Covid) sui binari di un confronto aperto e inclusivo del legittimo dissenso, ri-veicolando le questioni sotto i riflettori dell’opinione pubblica ma al riparo da ogni caccia alle streghe.

  1. Sfiducia reciproca, democrazia dell’autocritica e pacificazione civile. Occorre una svolta culturale: questa è LA questione

Una siffatta commissione parlamentare dovrebbe orientare la ricerca di una pacificazione civile nazionale, di cui è tempo di prendersi cura affinché le responsabilità istituzionali siano messe legittimamente a tema attraverso i canali pubblici della democrazia dell’autocritica. È solo alla luce di una democrazia autoriflessiva e autocritica che il Paese tutto può guardarsi in faccia con dignità. Guardarsi in faccia, gli uni negli occhi degli altri, è il prerequisito necessario per favorire una fiducia reciproca oggi a brandelli. Una fiducia di certo non recuperabile con le tecniche della “fabbrica del consenso” e con quelle della repressione (più o meno “dolce”) delle richieste di spiegazione e di giustificazione. Dopotutto, ricordiamolo, l’accountability e la responsiveness sono principi su cui una democrazia è chiamata a saggiare la sua qualità.

Le ferite provocate dalla gestione della pandemia si sono aggiunte a quelle provocate dalla pandemia. E sono ferite ancora aperte e doloranti. Vogliamo aprire gli occhi su di esse, e prendercene cura come collettività? O vogliamo continuare a far finta di niente, e credere che la “soluzione” liberale e democratica e costituzionale sia quella di tenere una parte dei cittadini nel ghetto degli “intoccabili”, dei diabolici paria del male, come “cittadini da sopportare”? Vogliamo riconoscere davvero il valore democratico di una “società aperta”, che è tale in quanto si auto-sottopone al legittimo confronto critico su questioni vitali controverse e divisive? Oppure vogliamo trincerarci in una “verità” istituzionale e/o popolare eretta a dogma indiscutibile e “ingentilita” a colpi di “spinte gentili”, come suggerisce una equivoca e preoccupante politica all’insegna di quella dottrina dei nudges basata su una concezione discutibile e fuorviante della scienza e del suo ruolo politico e sociale? Questa è la questione. La democrazia e la scienza dovrebbero avere una cosa in comune: essere guidate dal dubbio, dal senso critico e autocritico (sempre che ambiscano ad essere degne del nome e del valore in virtù dei quali le elogiamo e le difendiamo).

Su questa questione, il nuovo governo, in via di formazione e guidato da Giorgia Meloni, sarà una variante sui generis del governo Draghi o saprà imprimere al Paese una svolta culturale e politica? Una svolta del genere ha tuttavia bisogno di gambe sulle quali camminare. Molte, molte gambe e robuste. La domanda è legittima: nella società dei nostri tempi esistono tali gambe? Sono abbastanza robuste o hanno bisogno di sviluppare i muscoli? Anche qui, le mie perplessità non mancano. Ma è questa l’altra questione. Forse LA questione.

PS.: Per dare una spinta pubblica all’istituzione di una commissione parlamentare sul “governo del virus e del contagio”, ci vorrebbero la forza di un Zola e il coraggio etico-politico del suo J’accuse alle autorità e alla società francesi ai tempi dell’affaire Dreyfus. Sappiamo che la vicenda zoliana e quella dei nostri giorni sono per molti aspetti (ma non per tutti) diverse. Eppure c’è qualcosa, come una corrente carsica della storia, che le accomuna. Urge un j’accuse


Pubblicato su questo sito il 10 ottobre 2022

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