La piramide sociale, la democrazia e la politica anti-sistema

(Uscito su “Trentino”, 29 novembre 2018; “Alto Adige”, 30 novembre 2018 – Pubblicato su questo sito il 29 maggio 2019)

Le società sono società di diseguali. Sono piramidi sociali. Sempre. La distribuzione di ricchezza e redditi, di prestigio e potere disegna paesaggi di diseguaglianze. Perciò il problema della legittimità delle diseguaglianze investe la storia dell’uomo, riflessione critica e sensibilità comune: entro quali condizioni e limiti, secondo quali principi, le diseguaglianze sono accettabili?

Imperativi morali e pratici tengono vivi gli obblighi di giustizia sociale. Ma ciò che Pareto osservava un secolo fa vale ancora: «Piaccia o non piaccia a certi teorici, sta di fatto che la società umana non è omogenea, che gli uomini sono diversi fisicamente, moralmente, intellettualmente». Per Pareto la società è una piramide: i vari gruppi, ceti o classi sociali vivono in un sistema gerarchico, dove risaltano uno strato superiore e uno inferiore. Il primo comprende una minoranza, coloro che a diverso titolo sono i “governanti”, il secondo la maggioranza della popolazione (a sua volta stratificata), ossia i “governati”. Pareto aggiunge che in ogni ramo di attività della società vi sono individui che dimostrano capacità superiori agli altri, o ai quali la società riconosce capacità superiori. Ma se in una società esistono diverse élite settoriali, esse non hanno lo stesso peso nel governare la società, nel regolare la distribuzione delle risorse collettive materiali e non: solo alcune sono «classe eletta di governo», nel senso di élite del potere. D’altra parte, Pareto parla anche di circolazione delle élite: ma non si diventa élite del potere né si cessa di esserlo in pochi mesi.

Alla ristretta cerchia del potere oggi appartengono: soci pesanti o manager di big corporation multinazionali, imprenditori a capo dei giganti dell’economia, magnati e alti dirigenti della finanza globalizzata, del sistema creditizio, bancario o mediatico, responsabili apicali di organizzazioni mondiali, vertici dell’Unione Europea, alcuni capi di Stato o di Governo. Sono di questo tipo e appartengono a questa cerchia coloro che si frequentano nel Forum Economico Mondiale di Davos.

Alcune ricerche hanno cercato di comprendere come l’”élite di Davos” vede il mondo e gli altri, con quali linguaggi ritrae cittadini comuni, ceto medio, massa popolare. Tramite sofisticate tecniche, hanno analizzato interviste, discorsi e articoli dei membri del CdA del World Economic Forum, ricostruendo la loro immagine della realtà sociale, i cui caratteri essenziali sono: forte diffusione di rappresentazioni negative della gente comune, vista come massa anonima di persone non razionali che agisce in preda a stati emotivi e che ispira sfiducia; pensiero pragmatico teso a padroneggiare la realtà sociale con la forza della tecnologia; incrollabile credo nella grandiosità delle istituzioni finanziarie internazionali; definizione delle politiche pubbliche in termini solo di costi/benefici; primato del mercato come dogma della società; competizione come mezzo per assicurarsi privilegi, espandersi e battere i concorrenti, per eliminare tutte le costrizioni (ad esempio le tasse) che possono limitare la via al successo; volontà di imporre “una realtà senza alternative”, un “pensiero unico” in base a cui controllare che tutti adempiano agli obblighi che da esso derivano; strategia culturale e comunicativa che contrappone “realtà” (quella che definiscono loro) ad “apparenza” (quella definita dagli altri). Difficile dire se questa radiografia delle élites del potere sia del tutto attendibile. Ma ci dice qualcosa. E ci riporta alle avvelenate parole di inizio ‘900 di un celebre drammaturgo danese.

Se ceti inferiori e medi sapessero come funziona la società, che cosa sono i ceti superiori… Scriveva Strindberg: «i membri della classe inferiore a volte lo intuiscono, quando si destano dal torpore, ma poi si lasciano di nuovo ipnotizzare dai vantaggi economici e scordano». La classe superiore «è tenuta insieme da interessi che definisce sacri; i suoi membri paiono riconoscersi dall’odore, come i ciechi, emanano certe leggi ponendosi però al di sopra di esse. Dominano la vita spirituale, difendono Scienza, Arte, Letteratura, persino Musica e Sport. Dispensano premi, ma soltanto a una condizione: che tu sia disposto a venerare… me, noi e i nostri», altrimenti squalificano. Drastica la conclusione: se qualcuno non riconosce autorità, valori e interessi della classe superiore, allora la sua opera, la sua visione della società, i suoi interessi semplicemente non saranno considerati validi. Con una simile auto-difesa, un’élite può proteggere se stessa e la propria visione delle cose. E la piramide sociale è protetta. Ma in un mondo del genere «nulla può crescere e trovarsi a proprio agio, perché ciò richiede una certa libertà». Anche la libertà, aggiungiamo, di opporsi a visioni del mondo e interessi dettati dalle élite al potere, di portare al successo visioni del mondo e interessi alternativi a quelli dominanti ma non per questo politicamente infami per definizione. Alle élite del potere costituito tutto ciò può non star bene. Però è così che funziona una democrazia. La missione democratica della politica è proprio cercare di arginare il loro potere e la concentrazione della ricchezza nelle loro mani. E’ il principio aureo della democrazia, e trova il suo limite in un’unica condizione: che le visioni del mondo e gli interessi “alternativi” non tradiscano né il quadro dei valori democratici (libertà e pluralismo, giustizia e vita dignitosa, eguaglianza politica e riduzione delle diseguaglianze sociali, bene comune, tutela delle minoranze e rispetto dell’opposizione), né la sua applicazione a tutti i membri del consorzio civile. Qui sta il metro di misura della qualità democratica delle rivendicazioni di crescente parte della cittadinanza democratica in questi anni, quali che siano le forze politiche che ne raccolgono il consenso: smettiamola di scrutare il dito e concentriamoci sulla luna.

Il diffondersi del disagio verso la società neoliberale e la democrazia disincantata, di cui le élite del potere sono custodi e beneficiarie prime e di cui i partiti tradizionali pro-sistema sono interpreti, è ciò che ha dato impulso al rifacimento della politica in corso in Occidente. Dobbiamo essere capaci di cogliere il senso della scossa portata dalla politica anti-sistema, dai così detti populismi o sovranismi, dal diffondersi di rivolte (elettorali e non) contro establishment, Unione Europea, istituzioni della finanza internazionale o contro l’aumento della benzina nella Francia di questi giorni. Che si tratti di fare i conti con i flussi migratori o con la crisi economica e dei conti pubblici, un’élite degna del ruolo non può limitarsi a difendere il proprio mondo, senza comprendere che qualcosa in quel mondo non ha funzionato o non funziona più, senza recitare un pubblico mea culpa di fronte a un mondo che imbarca acqua da troppe parti. Qui sta il tradimento della responsabilità democratica delle élite del nostro tempo. Se naufragio sarà, la responsabilità principale non sarà dei nuovi barbari. Ma la piramide sociale che nasconde un’altra, la “piramide del sacrificio” su cui anni fa si soffermò il sociologo Peter Berger. Che la storia ci insegni qualcosa.

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