Ma i bambini dove giocheranno? Intorno al progresso

Ma i bambini dove giocheranno? Intorno al progresso

Beh, penso che vada bene costruire aerei giganteschi, che in poche ore vai da un mondo all’altro. E penso che sia una buona idea quella, che hanno avuto a Tokyo, di poter girare a bordo di treni cosmici: dobbiamo diffonderla, a nord e a sud. E penso che non sia poi così male accendere l’estate da una slot-machine, non solo a Los Angeles ma anche a Gambassi. Gente, chiunque voglia prenda ciò che vuole: si può prendere tutto, si può arrivare a tutto.

Come negare che abbiamo fatto tanta strada, correndo giorno dopo giorno, secolo dopo secolo, dalle catacombe alle centrali elettriche! Abbiamo portato la luce attraverso l’universo. E abbiamo trasformato le nostre città, i mari, le valli. Anche le osterie. Abbiamo riempito di progresso i vecchi tempi andati. Ma dove giocheranno i bambini?

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Where do the children play (Cat Stevens)

Abbiamo rivestito di comode e a volte smaglianti autostrade i freschi prati verdi ma anche melmosi. È vero, sopra ci scorrono tanti tir e automobili che seminano gas di scarico, ma qualche cavallo nei musei c’è ancora. Per tacere del fatto che sotto il chiar di luna su quelle strade volteggiano ancora fate dalle lunghe mantelline argentate: loro resistono a tutto. O no? Ammettiamolo: abbiamo fatto tanta strada e tante strade. Abbiamo conficcato nel cielo grattaceli che fan strabuzzare gli occhi, e ne costruiremo altri ancora più belli, ancora più alti. Lassù, non preoccupiamoci, ci sarà sempre spazio. Sì, ma dove giocheranno i bambini?

Ammettiamolo gente: siamo stati bravi, e intelligenti. Quello che ora chiediamo è solo che qualcuno ci dica quando ridere e quando piangere. Quando vivere e quando morire. Per il resto, chiunque voglia, prenda ciò che vuole o ciò che può: i centri commerciali sono rigogliosi di ogni ben di Dio, e non mancano le boutique piene di birilli e di fazzoletti firmati.

Oggi possiamo rubare la notte al duro giorno. O farci una bevuta di rhythm & blues. Michelle, se lo desidera, può uscire con un uomo ricco che va e viene dalla Russia, per esempio; e il mio amico Doctor Robert stare in compagnia di Dizzy Miss Lizzy, se dev’essere così. Possiamo intenerirci a inseguire con lo sguardo fisso sullo schermo la triste compostezza di Eleanor Rigby, o i colori del matto che canta sulla collina, e così allontanarci dai nostri fastidi, dai nostri guai, lasciando che così sia.

È troppo? No, non è troppo. Possiamo fare magici e misteriosi viaggi o fare soldi o, di mercoledì, fare la rivoluzione oppure stare vicino alla fanciulla che abbandona casa e genitori. Oppure chiamare il sergente Pepperoni e la sua Banda dei Cuori Solitari a suonare in spiaggia davanti all’ombrellone. E dopo una frenetica giornata, lunga e ventosa come quella della strada della canzone, parcheggiare sotto casa il nostro sottomarino giallo e, finalmente, sederci sul divano ad ascoltare il seguito della storia di Bungalow Bill. Ma non è tutto. Nel frattempo, perché no?, possiamo restare connessi, ai social, ai blog, otto giorni alla settimana, e collezionare facce e faccine su facebook. O, se preferiamo, chiudere ogni buco della strada e metterci subito dopo a farne altri. E fischiettare: “Sta andando meglio…”. Possiamo fare tutto questo e altro ancora, con l’aiuto dei nostri amici, nel caso. Possiamo farcela. Ma dove andranno a giocare i bambini?

Un secolo fa, alle porte della Prima Guerra Mondiale, l’Occidente e l’Europa in particolare vivono un grande disagio, uno smarrimento che è prima di tutto culturale. Robert Michels, grande sociopolitologo oggi un po’ trascurato, notava che la civiltà moderna si era costruita sull’assunto che il progresso avesse un significato univoco e positivo, ma in effetti il progresso era per sua natura composto da elementi molto disparati, anche contraddittori tra loro, così che nel corso della storia raramente un progresso possibile in un dato campo non fosse accompagnato da fenomeni che lo compromettevano in un altro: «Quasi ogni progresso in una data direzione determina un regresso o perlomeno un arresto in un’altra». Il progresso ha natura frammentaria e ambivalente. Non è mai completo, non si realizza contemporaneamente in tutti i settori dell’attività umana: «spesso la sua azione è favorevole in un senso e sfavorevole in un altro», come testimonia la storia nel suo eterno va e vieni, nei suoi alti e bassi. Pertanto, il presupposto fondamentale per poter giudicare il “valore del progresso” è anzitutto de-mitizzarlo e sottoporre ogni sua manifestazione a severe analisi, cercando di far emergere e distinguere gli aspetti “positivi” e “negativi” che esso porta con sé nelle diverse sfere della vita collettiva o a seconda della scala di valori di ciascuno. Solo su queste basi possiamo valutare le molte facce dei cambiamenti sociali e tecnologici, culturali e politici o morali che si presentano nella vita privata e pubblica, e valutarli per i differenti risvolti che hanno nelle varie sfere. L’unico progresso che sia incontrovertibile è quello della tecnica. Esso è veramente inaudito. Certo è, come dimostra la catastrofe del Titanic, che non esiste un «prodigio della tecnica che sia abbastanza prodigioso da poter sfidare le potenze della natura» o i casi della vita. Ciascuno vada col pensiero ai progressi e ai Titanic del nostro tempo, sempre che riesca a distinguerli con chiarezza. E rifletta.

In chiusura rivolgiamo questo Helter Skelter sul progresso alle forze politiche dei nostri giorni, a tutte: conservatori e progressisti, pro-sistema e anti-sistema, di destra o di sinistra, di centro, populisti o “post-ideologici”, sovranisti o europeisti cosmopolitici. Se la domanda “Dove giocheranno i bambini?” vi annoia o la ritenete poco rilevante, passi. Ma indicate, per favore, qual è la vostra domanda. Riflettete pubblicamente sul progresso: è anche vostra responsabilità politica. E vi imbatterete, inevitabilmente, nei bambini. Intanto torno a chiedere: ma dove giocheranno i bambini? E i nonni, li accompagneranno? La domanda comincia a stancare il lettore, l’adulto indaffarato… Le risposte, dopotutto, sono belle e pronte nelle nostre teste: giocheranno nei centri commerciali, nelle sale-gioco, nei piccoli ma attrezzati parchi-gioco del quartiere, persino. Sembra poco? Beh, va a gusti. Lamentarsi, sentiamo spesso dire, è ormai proprio un vizio. Può darsi. Intanto, grazie ai Beatles e a Cat Stevens, che, a loro insaputa e loro malgrado, mi hanno dato un piccolo aiuto in questa rapsodia Helter Skelter sul progresso.


(Uscito, in versione e con titolo leggermente diversi su “Alto Adige” e “Trentino”, 29 settembre 2018 – Pubblicato su questo sito il 15 marzo 2020)

 

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