(Uscito su “l’Adige”, 14 dicembre 2019 – Pubblicato su questo sito il 15 dicembre 2019)
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L’obiettivo di creare una facoltà di medicina a Trento, per rispondere anche a livello locale alla mancanza di medici che affligge l’intero Paese oltre che il territorio locale, ha finito per dividere e contrapporre aspramente le istituzioni che guidano l’Ateneo trentino (il rettore Collini, senato accademico, consiglio di amministrazione e Finocchiaro, suo presidente in testa) e quelle che guidano la Provincia di Trento (giunta, presidente Fugatti, assessore Bisesti). La stampa locale ha dato ampio risalto a un conflitto tra politica e università che in terra trentina non toccava i vertici istituzionali dagli anni ’60, nemmeno negli anni in cui si decise la cosiddetta “provincializzazione dell’università”, su cui il collega Pascuzzi scrisse un preoccupato atto d’accusa sui modi e contenuti di una scelta che di fatto scavalcava ed emarginava la comunità universitaria: “Università: diario di una svolta autoritaria. La provincializzazione dell’ateneo di Trento”; una scelta, questa, che in seguito ebbe come coda la mobilitazione pubblica di oltre 500 docenti e personale di Unitn contro il nuovo statuto dell’ateneo, quello oggi in vigore e in attesa di essere riconsiderato. All’epoca una grossa parte dei docenti propose un diverso statuto e schema di governance dell’Ateneo, a salvaguardia dell’autonomia dell’Università dalla politica e dalla Provincia. All’epoca i vertici istituzionali dell’Università e della Provincia appartenevano al medesimo universo politico-culturale: molti vedevano solo armonia e sinergia di interessi tra Università e Provincia.
Oggi, con il cambio di colore politico alla guida della Provincia, la comunanza di interessi e di visione culturale è entrata in tensione: l’argomento “la Provincia paga e quindi è giusto che decida” sembra non funzionare più. In troppi, in passato, non si sono resi conto della inappropriatezza e miopia di fare dell’affinità politico-culturale un surrogato dei rapporti istituzionali tra Università e Provincia. Solo ora si scopre che l’autonomia delle istituzioni, in questo caso quella dell’Università, non poteva essere garantita o nascosta dal comune sentire politico delle persone e dei gruppi alla guida, rispettivamente, dell’Ateneo e della Provincia: non fosse altro per il fatto che può capitare che le maggioranze politiche cambino di colore, e con il cambio del colore e del ceto politico cambiano anche gli interessi, le priorità, gli orientamenti culturali, il capitale e le reti sociali che guidano il potere politico. È quanto è avvenuto, dopo una lunga stagione, con la vittoria elettorale del centrodestra a trazione leghista. Così esplode lo scontro tra Università e Provincia, a proposito dei progetti per Medicina: come realizzare la facoltà o cosa fare, se appoggiarsi all’Università di Verona, a quella di Bolzano o di Padova.
Non entro nel merito delle questioni più tecniche, delle risorse finanziarie e scientifiche necessarie per l’una o l’altra soluzione. Ma, anche se non mi sorprende, mi preoccupa molto lo scontro tra Ateneo e Provincia, che risulta essere, insieme, politico e istituzionale per il semplice fatto che in passato il piano politico e quello istituzionale non sono stati tenuti ben distinti ma invece confusi e sovrapposti, senza sufficienti garanzie istituzionali riguardo all’autonomia dell’Università, che ora (è un caso?) viene difesa dall’opposizione politica. Per questo merita particolare attenzione la recente presa di posizione del presidente del Consiglio di Amministrazione dell’Ateneo trentino, Finocchiaro, nominato dalla stessa Provincia a guida leghista, il quale con fermezza di tono e parola è intervenuto pubblicamente: «Il mio ruolo come presidente… è quello di garante della speciale autonomia di cui gode l’Università e promuovere e curare le relazioni con il contesto esterno e con le istituzioni del territorio… È solo dagli organi di informazione che abbiamo appreso la posizione della Provincia. Rispetto le esigenze prospettate dal presidente Fugatti», ma «Non ritengo rispettoso dei ruoli, del tempo e delle energie spese le modalità con le quali la Provincia ha percorso strade diverse… Trovo inoltre allarmante che la nostra Università sia stata estromessa dalla soluzione anticipata sui giornali… Auspico quindi che si trovi una soluzione condivisa». Condivido, e penso che l’Ateneo debba avere un ruolo centrale riguardo ai progetti per Medicina. Ma c’è dell’altro.
I giornali riportano che l’assessore all’Università Bisesti ha giudicato «gravissimo» che il Presidente Finocchiaro abbia informato il ministro dell’Istruzione Fioravanti di quanto sta accadendo a Trento sul progetto di Medicina. Non so in quali termini Il presidente Finocchiaro abbia posto la questione al ministro. Ma le interlocuzioni pubbliche e trasparenti tra i rappresentanti delle istituzioni fanno parte della fisiologia democratica. Sempre. Quindi, da quanto ci è noto, l’episodio è segno di serietà, più che di comportamento grave e irriguardoso. Cogliamo, tutti, l’occasione per riportare il contrasto tra Università e Provincia sul campo del confronto pubblico e trasparente, discutendo nel merito: reclamando, ciascuno, le buone ragioni del proprio operato e le cattive ragioni dell’operato altrui. E, soprattutto, tutti i responsabili istituzionali, accademici e politici, pongano la dovuta attenzione a quello che ritengo il “problema dei problemi”, che è alla base dell’inquinamento dei rapporti tra Università e Provincia e che nutre vicende spinose come quelle in cui siamo scivolati: è giunto il momento di affrontare seriamente i rapporti tra autonomia universitaria e autonomia provinciale. Di chiarire i rapporti tra le due importanti istituzioni trentine: in sede di revisione dello statuto dell’Ateneo, ma anche di elaborazione di un nuovo Statuto Speciale della Provincia di Trento. Ciò al fine di una buona collaborazione tra le due istituzioni: nel segno del rispetto reciproco della loro autorevolezza e autonomia. Senza dimenticare, oggi come ieri, che “il chi paga” non è un fatto che stabilisce gerarchie e dipendenze, specie quando ci sono di mezzo libertà di pensiero, ricerca, insegnamento, e la Costituzione. Se lo ricordino i professori per primi, e pure gli studenti e le famiglie: anche per prevenire “sbandate” che possono capitare a chi ricopre ruoli di responsabilità istituzionale, oggi come in passato. Anche qui sta la maturità di una collaborazione aperta, trasparente e arricchita da un confronto critico tra istituzioni, professioni e persone chiamate a svolgere compiti diversi per il bene pubblico. Per l’intera comunità.