(Uscito su “Trentino”, 20 luglio 2017; “Alto Adige”, 20 luglio 2017 – Pubblicato su questo sito il 31 luglio 2019)
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Mentre le vicende turche di questi giorni ci rammentano quanto sia difficile costruire un regime democratico, è istruttivo guardare dentro le nostre democrazie, e scoprire come siano diventate “democrazie sotto-sopra”. La politica fatta di destra e sinistra è ormai quasi irriconoscibile. È una regressione della cultura politica. Tornare sulla Brexit può servire a capire pure queste trasformazioni della politica e delle fratture sociali, economiche e culturali delle nostre democrazie.
Shakespeare permettendo, all’inizio era: “To leave or to remain? That is the question”. Uscire dall’Unione Europea o restarci? I britannici sono stati chiamati a scegliere, cosa che è possibile avvenga in una democrazia; e hanno scelto, esercitando la loro libertà, come è previsto in democrazia – nel pieno rispetto dei costumi costituzionali. Va anche sottolineato che, a dispetto delle aspettative, la partecipazione referendaria ha superato il 72%: un livello significativo se valutato nel contesto della crisi partecipativa pluridecennale in tutta Europa e se ricordiamo che solo un anno fa, per il rinnovo della Camera dei Comuni, al voto si è recato il 66% dei britannici.
L’importanza del referendum Brexit è simbolica e politica prima ancora che economica. Passata la drammatizzazione della campagna referendaria e l’inevitabile turbolenza finanziaria in cerca di nuovi assestamenti, il tempo si farò carico di mostrare come nessuno possa credibilmente accreditarsi quel “Dopo di me il diluvio!” che la tradizione attribuisce a Luigi XV. Nemmeno l’UE. Troppo diversi sono i nostri tempi, in Occidente, da quelli rivoluzionari e tali anche perché intrisi di violenza: un’epoca che a mala pena riusciamo a immaginare, sebbene restiamo legati ai suoi ideali di eguaglianza, libertà e fratellanza. Eppure il referendum britannico ha spessore di evento storico. È rivelatore del nostro rapporto con la democrazia, o con il fantasma della democrazia, nonché del tramonto della divisione politico-ideologica destra-sinistra, soppiantata da quella tra “sopra” e “sotto”, tra élites e massa: ben più antica e radicata. Quella tra “sopra” e “sotto” è una frattura ridiventata carica di una vitalità politica che fatichiamo a cogliere con i linguaggi e le istituzioni della politica in voga: troppo “liquidi” i primi e troppo rigide le seconde, entrambi fuorvianti.
La stragrande maggioranza della rappresentanza parlamentare di Westminster (oltre che gran parte dei governi europei) era ed è tuttora contraria all’”uscita dall’UE”; lo stesso la maggior parte degli organi di stampa e del mondo della comunicazione, delle pop-star o degli intellettuali. Eppure, nelle preferenze popolari espresse dal referendum ha prevalso il Leave. A distanza di un mese, il risultato merita ancora riflessioni. Ad esempio, il fatto che i giovani abbiano per lo più votato Remain, al contrario dei più anziani, non giustifica le singolari e rumorose accuse rivolte ai vecchi che avrebbero stravolto il voto e irresponsabilmente dato la vittoria al Leave. Gli anziani hanno pari diritto ad esprimere la loro volontà: così funziona la democrazia. I diritti politici sono stati conquistati per tutti e non solo per alcune categorie, come nei regimi oligarchico-liberali. Ai giovani, e ai loro numerosi portavoce, van fatte osservare almeno un paio di cose. Primo: anziché recriminare che sono i vecchi che votano a pregiudicare il loro futuro, vorremmo rammentare che padri e madri, nonni o zii prefigurano il futuro dei giovani in molte sfere della vita, e che ciò dipende da come la società è organizzata, non dagli anziani: ciò non sembra cosa tanto sgradita a molti figli o nipoti. Secondo: i giovani (e quanti li fiancheggiano nella recriminazione) dovrebbero interrogarsi sul perché siano andati così poco alle urne, a fare pesare la loro preferenza, ad esercitare responsabilità civica e verso il loro futuro.
Sondaggi e dati di tipo strutturale segnalano altre tendenze del voto degne di nota. Nelle grandi città ha prevalso il “restiamo in Europa”, nelle realtà più provinciali l’exit. Ma, ad esempio, nella stessa capitale del Regno l’opzione “uscita” è stata maggioritaria tra la classe operaia dell’East London; a Liverpool più ci si allontana dal centro più la preferenza per l’exit cresce, fino a risultare largamente vincente nelle periferie; lo stesso a Newcastle-Gateshead, importante conurbazione inglese. Inoltre, per il Leave hanno votato in quote maggioritarie disoccupati, pensionati più deboli, chi ha casa in affitto o bassi gradi di istruzione, ceti sociali e categorie professionali di livello medio e basso. Insomma: per il Leave si sono espressi soprattutto i gruppi sociali più popolari (populisti?) e più svantaggiati, per il Remain i ceti superiori e quello che qualcuno, con troppa leggerezza, ha definito ceto medio “riflessivo”. Appunto: una linea di divisione politico-culturale “sopra-sotto” anziché “destra-sinistra”.
Queste tendenze, come sappiamo, non riguardano solo la Gran Bretagna. E trovano crescente riscontro nelle elezioni politiche nazionali. Costituiscono il cuore dell’odierno malessere democratico: la separatezza tra élite a vario titolo europeiste e fasce sociali più deboli o escluse dalla piena cittadinanza. Da questa separatezza nasce una specie di rivolta contro le “democrazie delle diseguaglianze” e contro quell’UE che le guida e coordina. Sono in gioco diseguaglianze o esclusioni sociali aumentate negli ultimi decenni, sia sul piano dei diritti formali ma soprattutto su quello delle “capacità” di poterli esercitare. Una trentina di anni fa Dahrendorf definiva queste vittime delle diseguaglianze capitalistiche-democratiche come “la società dell’un terzo”. Oggi rischiamo di dover parlare di “società quasi dei due terzi”. Per questo non mi stancherò di ripetere che i (pochi) “giovani dell’Erasmus” non sono l’Europa. È ingannevole farlo credere ed è illusorio pensare che l’UE possa reggere su basi tanto fragili. Solo se lo si pensa, la Brexit è quel fulmine a ciel sereno che è parso a troppi.