(Pubblicato su questo sito il 19 settembre 2020)
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Sì o no? Alla riforma costituzionale varata dal parlamento, che riduce il numero di deputati e di senatori da 945 a 600. Questo si chiede ai cittadini con il referendum del 20-21 settembre. Varie sono le ragioni per cui questa riforma e questo referendum non mi appassionano e anzi mi preoccupano. Sono ragioni che non riguardano tanto il numero in sé di coloro che dovrebbero rappresentare i cittadini a Montecitorio e a Palazzo Madama. Sono piuttosto ragioni inerenti: 1) il contenuto specifico della riforma (“taglio lineare”, forfettario direi, dei parlamentari); 2) le motivazioni che l’hanno ispirata (di netto, ma fortemente fuorviante, sapore “anti-politico”, anti-casta, tutte concentrate sui “costi e l’efficienza della politica, con colpevole disinteresse verso la qualità e la razionalità delle rappresentanza democratica, verso le effettive strutture e dinamiche di potere che corrodono principi e regole del potere democratico e del demos che tanto recitiamo con frasi fatte, è una “riforma-non riforma” che niente si cura dell’equilibrio dei poteri tra parlamento e governo già da molto tempo compromesso e che costituisce il problema della democrazia dei nostri tempi; 3) la nebulosa idea di democrazia a cui la riforma vorrebbe dare gambe istituzionali. Chiunque sia a vincere tra il Sì e il No (e vedremo come, e l’astensione), a perdere, ho scritto recentemente, sono i partiti: le idee e il ruolo dei partiti che si sono cimentati, ciascuno a suo modo, nell’impresa.
Perché questo amaro e drastico giudizio? Perché i partiti hanno rivelato di non essere più capaci di svolgere quel lavoro politico che li ha portati a essere attori centrali tra XIX e XX secolo: a essere costruttori di democrazia, propulsori e guida della partecipazione del cittadino alla vita politica, agenzie di inclusione e orientamento nei processi di scelta democratica. Come ho sottolineato in Taglio dei parlamentari. Il referendum che imbarazza e la democrazia “oltre i partiti” (pubblicato su “Tempi difficili” il 15 settembre), la vicenda di questa riforma costituzionale e la campagna referendaria sono una triste riprova dell’esistenza fantasmagorica dei partiti, che pure rimangono ingombranti. Molte sono le attività con cui in passato i partiti hanno contribuito alla trasformazione della politica oligarchica delle dei regimi liberali in liberaldemocrazie di massa. Pur variando nel tempo e nei modi, i partiti si sono differenziati da altri soggetti collettivi soprattutto per le funzioni che essi hanno svolto nel sistema politico, funzioni conquistate con una lotta anche aspra contro altre istituzioni, autorità, poteri pubblici. Oggi vale la pena ricordarne in particolare alcune. I) La mobilitazione elettorale e la strutturazione del voto: saper convincere i cittadini ad andare a votare, dare impulso e guidare la partecipazione politica, in generale a favore della democrazia, in specifico a sostegno di uno o l’altro dei partiti in competizione, orientando il cittadino nel voto. II) La socializzazione politica: trasmettere ai cittadini informazioni, valori e simboli, contribuendo alla loro educazione politica e ideologica, qualche che sia l’ideologia o visione del mondo che si vuole coltivare. III) La definizione di risposte politiche ai problemi collettivi: offrire, cioè, risposte attraversi programmi di azione e scelte pubbliche meditate attraverso un confronto con la società e i suoi territori, elaborate e condivise all’interno delle strutture di partito, propagandate attraverso la comunicazione e il discorso pubblico via siti materiali e non solo virtuali, risposte che possono riguardare anche una modifica delle istituzioni e riforme costituzionali. IV) L’aggregazione delle idee e degli interessi dei cittadini: ossia “governare” una società spesso basata su idee e interessi “particolaristici”, lavorando sulla messa a fuoco di scelte, di alternative e di preferenze che si confrontano nella società. V) La formulazione e perseguimento di politiche pubbliche.
Bene, nel caso del “taglio dei parlamentari” sottoposto a referendum costituzionale i partiti non sono riusciti a svolgere queste funzioni. Perciò stesso, i partiti mancano quella che è stata e che dovrebbe essere una loro missione politica essenziale, se non primaria. Che vinca il Sì o il No, i partiti ne escono male. A chi vuol vedere, il loro ruolo politico è seriamente compromesso. Per questo li dico perdenti. Dopo il risultato che uscirà dalle urne, ci sarà la consueta corsa dei leader ad accaparrarsi vittoria e meriti, il regolamento dei conti tra i partiti ma anche e soprattutto all’interno dei partiti, assisteremo a gimcane mediatiche senza pudore. Ma i durante la campagna referendaria non hanno fatto il loro lavoro, non hanno orientare il cittadino nella scelta, non l’hanno aiutato a capire e a ragionare su quale fosse la “scelta giusta” o almeno quella preferibile.