(Pubblicato su questo sito il 26 agosto 2020 – Uscito, con altro titolo, su “Alto Adige” e “L’Adige”, il 24 agosto 2020)
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Immagino l’agosto di Conte e del suo governo. Impegnato a definire i programmi di spesa dei fondi europei stanziati al vertice di luglio, la loro tempistica e una cabina di regia che se ne occupi: in ottobre dovranno essere inviati alla Commissione Ue, e magari già prima in bozza, per l’approvazione o per discuterne eventuali problemi. Immagino il governo al lavoro, lontano dai riflettori mediatici: un lavoro delicato, poiché l’erogazione dei fondi è sottoposta a condizioni complesse e stringenti. I piani di spesa rafforzerebbero l’Italia nei negoziati europei se fossero condivisi tra governo e opposizione, se esprimessero progetti e volontà convergenti tra le forze politiche e un Paese unito: è così che funziona nei rapporti internazionali e pure in ambito europeo; così dovrebbe accadere nei “tempi di ricostruzione” tanto evocati in queste settimane coll’assimilazione di crisi pandemica e guerra, a parlare di “ricostruzione post-bellica”: “Come nel dopoguerra!”. Si esagera, ma la situazione è seria. Ciò detto, è assai improbabile che le forze politiche convergano: per responsabilità imputabili non solo all’opposizione ma pure alla maggioranza; troppe le risorse e gli incarichi in gioco, e gli appetiti; troppo importanti il voto referendario sul taglio dei parlamentari e quello per 7 regioni (18 milioni di elettori) e quasi 2000 comuni, dove i partiti competono o si alleano secondo schemi variabili, e i numeri dalle urne andranno a pesare su tenuta del governo e destino dell’opposizione. Non ci sono le condizioni politiche, né culturali e morali, per un Paese unito; non ci sono i De Gasperi, i Togliatti, i Nenni, gli Orlando, i Nitti, La Malfa, Parri, Dossetti, Terracini, Moro, Fanfani, Ruini, e neppure i Mortati e i Calamandrei: che non erano divinità politiche ma leader di un’epoca, nel bene e nel male, “eroica”. Ma, pur oggi, di “ripartire” si tratta.
Negli scorsi giorni a dar voce al “tempo della ricostruzione”, dal Meeting di Rimini, sono stati il Presidente Mattarella e l’ex n. 1 della BCE Draghi. Il primo nel suo messaggio ha parlato di un’«opera di ricostruzione» che deve mobilitare le energie di tutto il Paese; Draghi nella sua relazione di apertura ha delineato quello che taluni han definito un «programma del nuovo dopoguerra». Entrambi sottolineano come la ricostruzione leghi il nostro futuro all’«orizzonte europeo» (Mattarella), ovvero debba far tesoro del fondo Next Generation EU (NG-EU) approvato al Consiglio Ue di luglio: una svolta negli «strumenti europei per superare la crisi» (Draghi). Mentre rimbomba il plauso ai due presidenti e il governo lavora dietro le quinte, il momento è buono per riflettere sui contenuti dell’accordo europeo di un mese fa. In particolare sulle “condizioni” che i governi nazionali devono rispettare affinché i loro piani di spesa siano effettivamente finanziati. Lasciamo ad altra occasione le condizioni più “immediatamente politiche”. Con un po’ di semplificazione necessaria alla messa a fuoco, restano due tipi di condizioni: 1) quelle più generali e macroeconomiche, dettate dalla linea di politica finanziaria fatta valere dall’Ue; 2) quelle più economiche, che indicano gli obiettivi da perseguire e quindi i criteri di promozione dei programmi. Quali i loro contenuti essenziali? E quale Europa ci offrono?
1) Condizioni finanziarie “quadro”. Dicono che i piani di spesa dovranno seguire criteri definiti dalla Commissione: investimenti “produttivi”, sostegno alla crescita economica, compatibilità di mercato, “efficienza costi/benefici”. Solo residuale è il richiamo alla crescita “sociale”, alle inefficienze “strutturali” del mercato, ai criteri di “efficacia” e di “equità” della spesa (sottolineati invece negli studi sulla valutazione delle politiche pubbliche); ai “limiti” economici e sociali della crescita, da tempo evidenziati da molte analisi. L’accordo europeo sottolinea, inoltre, che la distribuzione delle risorse del NG-EU decise a luglio e i loro criteri di allocazione riguardano la spesa pubblica per un periodo limitato a pochi anni, sono un’eccezione dovuta all’emergenza pandemico-economica: si fa presente, cioè, che non sono in discussione i pilastri della politica finanziaria comunitaria stabiliti nei Trattati Ue e imperniati su alcune “auree” regole: pareggio di bilancio, riduzione del debito e della spesa pubblica, sostenibilità dei conti pubblici nazionali e, quindi, “convergenza finanziaria” tra gli Stati membri; in vigore nell’epoca pre-Covid, saranno ripristinati dopo il periodo di eccezione (si pensi al Patto di stabilità, ai famosi parametri di Maastricht, al magico 3% del deficit).
1) Condizioni relative ad obiettivi economici “specifici”. Intanto, il compromesso di luglio ci consegna dei tagli agli stanziamenti in origine previsti per alcuni programmi finanziati in parte dal NG-EU e in parte dal bilancio comunitario 2021-2027. Dalle cifre, peraltro incerte e complicate da fissare a causa di alchimie contabili che definiscono i finanziamenti finali, emerge un quadro significativo dell’orientamento di politica della spesa deciso a Bruxelles, e dovrebbe far pensare chi, politici e osservatori, in queste settimane parla di svolta epocale per l’Europa. Il “Just Transition Fund” (per la transizione ecologica”) passa da 30 a 10 mld; il “React-EU (per interventi di coesione sociale) da 55 a 47,5; l’”Horizon Europe” (sostegno alla ricerca) da oltre 94 a 81 scarsi; l’”Invest-EU” (per investimenti strategici) da oltre 30 a meno di 6; l’”Eu4Health” (per la salute) inizialmente di 6 mld, è cancellato. Più in generale, i finanziamenti dei piani di spesa nazionali sono ancorati al rispetto delle “raccomandazioni” che la Commissione farà valere per ogni Paese nel momento in cui dovrà approvarli, tenendo presente le “condizioni quadro” ricordate sopra. Gli obiettivi così condizionati, nell’insieme, richiamano pure una “resilienza socio-economica”, che però rimane piuttosto vaga. Ben più precisi sono invece altri obiettivi, il cui “effettivo” perseguimento/conseguimento promuoverà o meno il finanziamento. In questo caso, privatizzazioni e liberalizzazioni del mercato sono “raccomandate” nella riforma di settori vitali per la vita socio-economica, specie per gli effetti sulle fasce di popolazione più deboli, ad es.: sistema pensionistico e sanitario, mercato del lavoro, dove le riforme, dagli anni ’80 in poi, han sempre comportato, ora più ora meno, aumento dell’età pensionabile, ticket crescenti per le prestazioni sanitarie, flessibilità, precarietà e perdita di tutele dei lavoratori, riduzioni delle prestazioni del welfare. Insomma, condizioni, obiettivi e riforme che esaltano gli spazi del mercato e dei beni privati, e perdono di vista la salienza socio-economica e culturale dei “beni di cittadinanza”, “beni comuni” o pubblici, delegittimando e assottigliando le funzioni della politica di fronte al mercato.
Insomma, i fondi Ue sono ossigeno. Ma le condizioni e le riforme richieste nascondono tossine. Qualcuno le dice “riforme impopolari necessarie” allo sviluppo. Ma necessarie “a chi”? A “quale” sviluppo? A forza di iniezioni di “impopolarità“ e “vincoli della realtà”, magari contro populisti demagogici e truffaldini, senza colpo ferire la democrazia sta subendo una mutazione genetica, con impoverimento dei suoi principi etico-politici. O forse è solo che siamo al disincanto del mito democratico, e che non bisogna dirlo troppo in giro?
L’Europa sicuramente non è quella che vorremmo…definendola tossica…con un termine che evoca situazioni peggiori.Ma chi ha partecipato ha determinare tale situazione? Tra causa ed effetto non vi è mai contemporaneità e la storia per essere incisi è sempre lunga. Noi sicuramente non siamo in regola,quando ci presentiamo in Europa non indossiamo la mascherina di cui oggi si parla quotidianamente per cui siamo portatori di tossicità.Sono almeno trentanni che auspichiamo riforme mai fatte,fondi UE non usati con parsimonia, governi che esprimono tanta incompetenza e poca lungimiranza.In Europa semplicemente non si fidano,diciamo una cosa e ne facciamo n altra, pensiamo alla cara sedia e non al governo della polis.Ora ci chiedono di votare,una riduzione dei parlamentari che assomiglia più a un provvedimento spot come solito fare in Italia,non una vera riforma del bicameralismo,una riforma delle competenze regionali dove si annida di tutto e di più,dove siamo paralizzati da una burocrazia soffocante che ci fa sembrare la realizzazione del ponte di Genova un miracolo mentre dovrebbe essere la normalità. Quando si ottengono dei soldi in prestito è bene utilizzarli al meglio pensando da subito come restituirli nei tempi prestabiliti,per noi invece probabilmente è un occasione di spartizione in mille rivoli improduttivi che il governo del momento utilizzerà come spot elettorale.Per non essere tragici diciamo che noi siamo mediterranei,passionali,navigatori e santi,furbi con inventiva che sicuramente non hanno i nostri colleghi che ci governano da Bruxelles,che forse sanno nascondere meglio i loro difetti evidenziando i nostri…perchè anche loro non sono santi.