La corruzione tra Bruxelles caput imperi e periferie europee
-
Corruzione a Bruxelles. Democrazia e metastasi del corpo sociale
«Si tratta di una gigantesca guerra economica sotterranea» che vede protagonista «la potenza finanziaria delle organizzazioni criminali» penetrate nelle istituzioni politiche europee e nazionali, e di cui tutt’ora fatichiamo a coglierne la diffusione e l’incidenza nella vita pubblica: vere e proprie «metastasi che destabilizzano in profondità le nostre società», di cui è persino impossibile calcolare con precisione il giro di affari che pesa sull’economia, e persino la plasma. Questo, in sintesi, il messaggio di allarme lanciato da Michel Claise[1], il giudice istruttore che, circa un mese fa, ha messo in subbuglio i palazzi di Bruxelles e la famiglia socialista del Parlamento europeo (dove appare coinvolto soprattutto il Pd, che rischia di esserne travolto). Il discredito pubblico, morale e politico, colpisce due universi (l’Unione europea e la sinistra) da tempo auto-proclamatisi campioni dei valori e delle regole democratico-liberali. Ma da tempo anche campioni nella riduzione della politica ad affare economico, a “mercato burocratizzato” e a tecnicalità della gestione e massimizzazione degli interessi forti.
A emergere sono un’immagine e una pratica della politica che vede i palazzi di Bruxelles e i partiti della sinistra di governo distanti dai bisogni e dai problemi sociali di masse di persone. Perché il punto è proprio questo: tutelate da un “democracy pass” senza scadenza, ormai le nostre società riservano alla massa cittadini periferici solo spiccioli di benessere e di dignità, risorse e attenzione troppo risicate e marginali per una società decente, ma che sembrano comunque accontentare una società dormiente. D’altra parte, però, persino questa società dormiente quando è convocata a esprimersi segnala la sua impotenza e l’inefficacia del processo democratico evadendo le urne e perciò stesso svuotando sempre più di salienza la democrazia celebrata come “the only game in the town”.
Lo scandalo del malaffare milionario che emerge dal Qatargate ha velocemente perso lo smalto mediatico. Ma i giornali danno conto di una “fase 2”: « Secondo quanto scrive l’intelligence belga “in cambio di soldi” almeno un deputato italiano sarebbe intervenuto all’interno del Parlamento europeo per promuovere gli interessi del Marocco… Nel 2019-2020-2021 avrebbero ricevuto parecchi centinaia di migliaia di euro dal Dged, il servizio segreto marocchino “»; nelle indagini della magistratura belga si parla di un gruppo che «”opera con una discrezione che va oltre la semplice prudenza, evitando di apparire troppo apertamente pro Marocco all’interno del Parlamento Ue, usando un linguaggio in codice e nascondendo i soldi nei propri appartamenti”»; la rete corruttiva di questo gruppo vede coinvolti alcuni parlamentari europei e loro collaboratori, una ong (almeno con funzione di “copertura”) e Stati stranieri corruttori che puntavano a «comprare la democrazia europea»[2].
Lontani dal frenetico ancorché intermittente lunapark delle news, può essere più agevole fermare qualche punto. Non ci si distragga, il Qatargat (o cos’altro diventerà nel corso degli sviluppi della vicenda) è solo il simbolo venuto a galla di una corruzione sistemica. Questa pervade e indirizza aspetti, meccanismi e risorse cruciali del funzionamento del sistema politico dominante nelle democrazie liberali, ossia quel sistema politico che durante l’ultimo mezzo secolo, in epoca neo-liberale, ha sbaragliato il “campo”[3] della competizione politico-ideologica. Trattandosi di corruzione sistemica, non deve sorprendere il fatto che essa riguarda anzitutto i soggetti che si sono fatti interpreti e difensori della “politica di sistema”: ovvero quelle istituzioni e quelle forze “pro-sistema”, che, doverosamente (dal loro punto di vista), aspramente e senza esclusione di colpi, si sono impegnate a barricare la “fortezza-democrazia” contro le sfide provenienti da umori sociali e da ceti politici, sfide associate a interessi economici e a orientamenti valoriali, a ceti sociali e a leadership politiche non in linea con gli interessi, gli orientamenti, i ceti e le leadership dominanti nel sistema neoliberale. Per questo possiamo qualificare tali sfide come espressione di una “politica anti-sistema”. Negli ultimi anni, le sfide della politica anti-sistema sono state screditate e delegittimate a colpi di “populismo”, “sovranismo” o “fascismo” un tanto al chilo e, al momento, depotenziate dell’energia politica, sociale e culturale che avevano sprigionato nel corso degli ultimi due-tre decenni.
Il successo della politica pro-sistema nel frenare quella anti-sistema è stato però ottenuto a caro prezzo: rendere autoreferenziale i circuiti della politica democratica, circuiti oggi tenuti ben al riparo da valutazioni critiche e da sguardi “indiscreti”. Tanto da rendere ormai a molti visibile una trasformazione in profondità della democrazia, una trasformazione che ha preso corpo a mezzo di una varietà di meccanismi (politici, giuridici, economici, culturali, mediatici) che risultano a chi più e a chi meno seducenti, ma comunque efficaci: alludo ai cosiddetti “stati di emergenza” o “stati di crisi”: misure e forme di governo le quali hanno accelerato processi che portano a qualificare sempre più gli attuali regimi autodefiniti democratici come “democrazie protette”, “democrazie militanti”, “dittature costituzionali”, “democrazie compassionevoli”[4].
Queste “trasformazioni della democrazia” creano un paradosso destabilizzante per il valore-democrazia, un paradosso che tende a essere accettato con crescente disinvoltura: difendere e salvare la democrazia anche a costo di svuotarla di significato, ovvero il paradosso di porre in essere situazioni di autonegazione dei principi, delle libertà e dei diritti democratici. Tale rischio è altresì imparentato con un’altra tendenza che nei termini in cui qui lo formulo appare meno minacciosa di quanto in effetti sia per l’ordine e il funzionamento democratico: il passaggio dalla “democrazia aperta” alla “democrazia chiusa”[5]. Quest’ultimo aspetto della trasformazione della democrazia focalizza al meglio i fenomeni (in corso) a cui ci si riferisce con il tanto parlare colto di “postdemocrazia”[6], dove il mutamento appare di limitata dirompenza nei suoi effetti, mentre invece dissimula quella che è, a mio avviso, la torsione contemporanea più insidiosa che vanno assumendo le società democratiche dell’epoca neoliberale[7].
-
Corruzione made in Bruxelles: sottovalutazione e mancata comprensione
Collocata su questo sfondo, si capisce quanto la corruzione nei palazzi di Bruxelles sia una faccenda assai delicata. Sebbene la portata della corruzione sulla ribalta delle cronache odierne sia rimarchevole, non sfugga che quello odierno, infatti, non costituisce soltanto un caso isolato, ma la manifestazione di quanto le istituzioni dell’Ue e le loro lunghe, farraginose e molto opache catene decisionali si trovino sotto la continua pressione di potenti gruppi privati. A essere da tempo coinvolti in faccende eticamente censurabili e/o illecite sono responsabili istituzionali e politici, interessi organizzati, lobbies di varia natura, organizzazioni non-governative (Ongs). Ad esempio, nel 1999 l’intera Commissione europea guidata da Jacques Santer fu costretta a dimettersi sotto l’accusa di corruzione; nel 2012 il Commissario alla salute, John Dall, fu costretto a dimettersi a seguito di un’inchiesta dell’Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode che lo accusava di “traffico di influenza” con l’industria del tabacco; nel 2016 il già presidente della Commissione Europea (2004-2014) José Manuel Barroso fu accusato di conflitto di interesse, allorquando nel 2016, dopo meno di due anni della fine del suo mandato, assunse la carica di presidente e advisor della Goldmann Sachs International, mostrando come le “porte girevoli” siano sempre ben oleate e non aiutino a fare i conti con gli scivolamenti corruttivi.
Durante gli ultimi decenni c’è stata una sottovalutazione del deficit di integrità pubblica dei processi decisionali dell’Unione europea: è una delle facce del deficit democratico che ha gravato sulla politics e sulle policies, sui valori e sulle istituzioni europei. La cosa non sorprende più di tanto, vista la tendenza generale di osservatori e media, ceti dirigenti e scienziati sociali a minimizzare il correlato problema della corruzione. La sottovalutazione ha un risvolto particolarmente critico se consideriamo che le istituzioni dell’Ue sono diventate un gatekeeper cruciale che regola gli snodi di accesso a enormi mercati mondiali per una grande quantità di potentati finanziari e di governi a caccia di milioni di imprese produttive e di centinaia di milioni di consumatori. Questa “distrazione” sul giro di affari esposti a corruzione nei rapporti intrecciati tra decisore e capitale pubblico, imprenditore e capitale privato, intermediatori e lobbisti (si pensi al settore energetico e dell’ambiente, farmaceutico, vaccini inclusi, o a quello della ricerca e dell’implementazione tecnologica, dell’alimentazione, degli armamenti o dell’intelligence, a quello finanziario o dei dati personali commercializzati), da un lato, ha contribuito a compromettere la nostra capacità politica di affrontare con il metro del senso civico una larga serie di questioni di interesse vitale, collettivo e di scala globale; dall’altro, ha reso superficiali e poco effettive le stesse riforme via via varate in tema di regolamentazione delle attività di lobbying[8].
Eppure, anche di fonte ai “lampadario di democrazia”[9] made in Bruxelles che sbanda e minaccia di precipitare sulle tavole imbandite delle democrazie occidentali, persiste la tendenza a trattare la corruzione essenzialmente in termini di mancanza di regole e di legalità. Così, ad esempio, tra i tanti, un commentatore[10], costituzionalista accademico di professione, negli scorsi giorni ha richiamato l’attenzione sul fatto che una costituzione come quella italiana (all’art. 54) sancisce che «I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore»; il nostro commentatore nota come questa sia soltanto una regola etica, laddove, invece, necessiteremmo di regole giuridiche vincolanti e più efficaci. Bene, può essere: non intendo certo chiudere la porta a questo problema. Nondimeno, è sempre lo stesso commentatore a rilevare (a buon ragione, direi) che, in effetti, negli ordinamenti esistenti già sono presenti una grande quantità di «controlli formali, d’adempimenti burocratici» i quali, alla fine, «lasciano quasi sempre indenne la condotta sostanziale»: è «un sistema ipocrita, perché chiude gli occhi sui meccanismi reali della vita politica. Per esempio: quanto costa candidarsi alle elezioni?». Ebbene, il punto dolente sta proprio qui: regole e legalità, seppur necessarie, rischiano di dare vita proprio a un “sistema ipocrita” di lotta alla corruzione. Anzitutto perché non fanno i conti fino in fondo con i meccanismi reali della vita sociale e politica, sottovalutando quanto essi siano di fatto prosciugati di senso morale. Certo, l’animo umano è debole, forse più della stessa carne. È per questo che forse poco puote la legalità-punto-e-basta.
Per cercare di uscire da questo cortocircuito, a fronte alla corruzione è necessario avere il coraggio di riproporre, in termini quanto si voglia laici e secolarizzati, il discorso etico; e senza ipocrisie affrontare il “tema dei temi” della società e della democrazia contemporanee: il dominio di una cultura politica che, forse ancora più che in passato, non riesce a irrorare i meccanismi della politica e le relazioni reali della società con la linfa vitale del senso civico; una cultura politica che, soprattutto, non mostra serio interesse a farlo. Ci si giri intorno quanto si vuole. Ma è qui che, in ultimo, si gioca la partita della corruzione. Comunque vada: hic Rhodus, hic salta!
3. Bozzetto sulla corruzione: dalla ricca Bruxelles caput imperii alle povere periferie dell’impero
Tolte le specifiche del caso, la portata delle cifre, dei poteri e delle reti coinvolte o delle tecnologie del malaffare, un po’ “tutto il mondo è paese”. Così, le vicende scoperchiate nella sofisticata e ricca Bruxelles dei palazzi europei, e i suoi addentellati internazionali o nazionali, non sono poi così diverse da quelle che hanno corso e di tanto in tanto emergono sui media a livello locale, nella più povera o rudimentale, per dire, Basilicata di turno. Anche se mezzo di valige zeppe di euro, di “scatole cinesi” societarie e finanziare o di associazioni di varia natura, quella che comunque si consuma è sempre una compravendita di potere che corrode le istituzioni democratiche.
Le inchieste giornalistiche sulla corruzione locali riportano, ad esempio, che per un terzo dei lucani la corruzione è un “fatto normale” (quanto meno nel senso durkheimiano[11]). Forse è anche per questo che spesso i reati restano impuniti – come spesso rivela la cronaca locale. Ovviamente, c’è la piccola corruzione e c’è la grande corruzione. Tuttavia, i loro rispettivi caratteri di fondo non si discostano poi tanto.
Nella piccola corruzione, povera o spicciola, più o meno “paesana”, tipicamente, capita che il politico o il funzionario pubblico offrono favori ai cittadini in condizioni poco agiate, alle prese, per esempio, con le incertezze del lavoro, con il problema della casa, con pratiche burocratiche, con l’elefantiasi del sistema sanitario o previdenziale: e così, in un modo o nell’altro, si paga il politico o il funzionario (o gli si fa qualche “regalo”) per un posto di lavoro, per truccare un concorso o le graduatorie che regolano l’accesso a certi beni o servizi pubblici, per accorciare i tempi di una visita specialistica, per una licenza o per “aggiustare” problemi di edilizia. Non di rado, a prendere forma è una sorta di “mercato nero di diritti”, ora negati ora concessi tramite compravendite clandestine.
Della (più o meno) grande corruzione, sono artefici esponenti politici di più elevato profilo, grandi imprenditori e vertici degli apparati burocratici. Qui a entrare in scena è un ceto sociale (più o meno) d’élite. Qui i protagonisti della corruzione non sono tanto delle persone che “cercano di sbarcare il lunario”, bensì sono, da entrambi i lati dello scambio corruttivo, soggetti in una qualche misura forti, persone spesso ben istruite, con un ruolo di riguardo nella società e redditi dignitosi o che vivono in condizioni di una certa agiatezza, quando non ricchezza. Qui troviamo politici locali o nazionali, consiglieri e funzionari comunali o regionali, alti dirigenti della macchina dello Stato, giudici, liberi professionisti, manager, dirigenti, assicuratori, avvocati, collaudatori, primari d’ospedale, imprenditori e un elenco di categorie senza fine. Qui le tecniche della corruzione possono essere ben sofisticate, mentre la portata delle risorse scambiate diventa non di rado cospicua. Quello della grande corruzione è un vero e proprio “scambio tra poteri” o tra soggetti parimenti (anche se diversamente) privilegiati, che si autosostengono nel legittimare, nel consolidare e nel controllare un sistema corruttivo, le sue regole e i suoi partecipanti.
La corruzione piccola e quella grande si prestano copertura e giustificazioni l’una all’altra. E questo è uno dei motivi non banali che impedisce di misurare l’entità del fenomeno sulla base dei procedimenti e delle sentenze giudiziarie: di solito, nessuno ha interesse a denunciare o a testimoniare. In fondo, la stessa omertà non è altro che un riflesso della razionalità utilitaristica (ivi compresa la sua miopia) di uno scambio tra protezioni e paure reciproche[12].
Fa impressione leggere, ad esempio sulla stampa locale lucana[13], della varietà dei settori dove si irradiano le pratiche corruttive e le complicità collusive: contributi finanziari dell’Ue, riforma agraria e ricostruzioni post-terremoto; appalti di opere pubbliche, impianti petroliferi e fotovoltaici; gestione della rete e delle risorse idrauliche, gestione dei rifiuti; sanità, formazione professionale e concorsi pubblici; gestione di eventi culturali, editoria e giornali, squadre di calcio. Un sistema corruttivo articolato, fatto di interconnessioni tra le parti e “creativo”, un circuito di vasi comunicanti dove il traffico di influenze, di denaro, di beni pubblici e privati, scorre tra tangenti, regali ed estorsioni, tra accumulo di fondi neri o grigi ed evasione fiscale, tra riciclaggio di proventi illeciti e gonfiamento dei costi di opere pubbliche o di consulenze. È difficile negare che tale sistema crei anche occupazione e ricchezza, che faccia girare l’economia. E non manca chi scomoda l’“ideologia della bontà” a favore dei grandi interpreti della vita sociale e pubblica corrotta. Ma è anche difficile negare che tale sistema crei o riproduca povertà civile ed economica, che trasformi ogni bene comune in bene privato (ivi incluso il bene comune “legalità”), e che logori le istituzioni pubbliche, le quali, inesorabilmente, perdono credibilità e accumulano sfiducia collettiva (persino anche agli occhi degli stessi protagonisti e comprimari delle pratiche corruttive).
-
Finalino
È bene condannare i mezzi tramite cui operano le pratiche corruttive. Ma è anche un po’ facile, e comunque non basta. Decisivo è un esame critico dei fini che inducono a pratiche corruttive i suoi protagonisti e, parallelamente, una presa di distanza chiara ed esplicita da tali fini. Dopotutto, è il fine che giustifica i mezzi.
Meditate, gente, meditate – ammoniva un vecchio spot pubblicitario. Io però non ho niente da vendere. Posso però dire che il presente articoletto è solo una specie di preambolo di attualità sul tema, e vede un convitato di pietra: il senso civico. A questo convitato, dedicherò un prossimo articolo.
NOTE
[1] Vedi Rencontre avec le juge qui lutte contre la corruption au Parlement européen, “Le Figaro”, 17 dicembre 2022.
[2] Cito da “la Repubblica, 1 gennaio 2023.
[3] Uso la nozione di “campo” nel senso di Pierre Bourdieu.
[4] La maggior parte di queste formule oggi tornate in auge risalgono ai tempi iniziali della Guerra Fredda o a quelli della lotta contro il montare del nazismo in Europa
[5] Vedi G. Nevola, Il ‘fatto’ democratico. Democrazia, crisi, trasformazione, in A. Millefiorini (a cura di), Democrazie in movimento. Contributi a una teoria sociale della democrazia, Mimesis, Milano, 2022.
[6] Vedi C. Crouch, Postdemocrazia, Laterza, Roma-Bari, 2003; G. Nevola, Il ‘fatto’ democratico. Democrazia, crisi, trasformazione, cit. Per cogliere il punto in questione è necessario ricordare, come mostra la storia, che la democrazia è impensabile senza la sua immanenza eversiva.
[7] Vedi G. Nevola, Il ‘fatto’ democratico. Democrazia, crisi, trasformazione, cit.
[8] In riferimento al tema del lobbismo a livello di Unione europea e delle connesse misure di regolamentazione, vedi G. Pirzio Ammassari, M. C. Marchetti, Lobbying e rappresentanza degli interessi nell’Unione Europea. Angeli, Milano, 2018, che, emblematicamente, resta al di qua del cuore del problema, tenendo ai margini il fenomeno della corruzione in vista della massimizzazione degli interessi perseguiti da politici, funzionari, imprenditori, lobbisti e rappresentati di gruppi di advocacy.
[9] L’espressione è un omaggio a un mordace monologo di Peppino de Filippo, “politologo” popolaresco ma arguto.
[10] Vedi M. Ainis, Corruzione, cosa ci manca, “la repubblica”, 17 dicembre 2022.
[11] Vedi E. Durkheim, Le regole del metodo sociologico. Sociologia e filosofia, Comunità, Milano, 1996.
[12] Va da sé che negli scambi corruttivi possono trovare ruolo e incidenza anche le organizzazioni e le logiche mafiose, che qui ci limitiamo a richiamare e a tenere sullo sfondo, data anche la natura complessa del fenomeno mafioso. A questo riguardo, interroga e fa tutt’ora riflettere la piece teatrale Il sindaco di rione Sanità di Eduardo de Filippo, che meriterebbe una non banale analisi sociopolitologica e morale.
[13] Abbiamo trovato particolarmente istruttivo scorrere le pagine di Basilicata24.it, dalle quali abbiamo attinto vivide informazioni.
(Pubblicato su questo sito il 7 gennaio 2023)
–
Quando leggo queste analisi che, circoscrivere in un aggettivo quale acuta, intelligente, ampia, complessa , mi appare riduttivo e banalizzante, sento che mi fa bene all’anima stanca e disincantata. Mi sento confortata dalla convergenza delle opinioni e dalla lucidità con cui , ancora, uomini e donne di questo paese osservano la realtà.
Nel contempo, affondare nel nucleo dei problemi, mi accentua il senso di solitudine per difficoltà di condivisione e confronto.
Non possediamo tutti gli strumenti culturali ( studi specifici politici e filosofici) ma una coscienza non atrofizzata mi augurerei di sì.
Ed è quella che noto sempre più assente.
La ringrazio.
la capacità corruttiva di lobby o paesi illiberali è nota e agita con mezzi sempre più spregiudicati in un costante greenwashing capace di incantare anche le opinioni pubbliche occidentali (vedi mondiali in Quatar e uso del calcio come autopromozione), ciò detto ancora mi sorprende e amareggia leggere che un uomo che è stato segretario della Camera del Lavoro di Milano possa abiurare in un modo così meschino, che il pensiero unico possa far breccia con tale facilità in assenza di una vera alternativa ideologica, che non si possa nemmeno immaginare un sistema diverso.
Tempi duri caro Professore, che fare visto che lo Stato siamo noi?
“Prima pagina venti notizie ventuno ingiustizie e lo Stato che fa si costerna, s’indigna, s’impegna poi getta la spugna con gran dignità mi scervello e mi asciugo la fronte per fortuna c’è chi mi risponde a quell’uomo sceltissimo immenso io chiedo consenso a don Raffaè”
Grazie molte di questo scritto. Fortissimo!