(Uscito, con altro titolo, su “l’Adige” e “Alto Adige”, 4 gennaio 2021 – Pubblicato su questo sito il 6 gennaio 2021)
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Arriva l’anno nuovo. È tempo di auguri. E bene, sia. Sono tempi difficili, tra virus, crisi e democrazia. Ma è anche tempo di racconti, e di spizzichi di fantasia. Di messaggi al mondo o di due chiacchere al telefono, con la zia. Vediamo un po’ come metterla, caro lettore di sane aspettative sul giornale, e di fermi giudizi sulla pagina da leggere con interesse, quella su cui l’occhio cade per curiosità e quella che basta lo sguardo di un istante e, a pilota automatico, destinata subito al riciclaggio della carta, che poi è cosa ottima tra le best practices che ci raccomandiamo. Ma le parole sono sempre parole, e a le volte sono parole che mancano. E che sono lì, qui, a gironzolarti intorno. Ecco, mettiamola così.
Sono venuto a trovarti, vecchio. Voglio svegliarti, vecchio capitano. E mettiamo da parte il tuo intrepido valore: che se la veda con le onde del mare, che se la rida di seppie e calamari, che forzi le correnti e fissi il naufragio a un’ora prima che la nave affondi, sempre a un’ora prima… mentre gli dèi si confondono, non si capisce se offesi o ammirati. Raccontami la tua canzone marina, quella canzone che ti solca la testa e il cuore, quella canzone che sembra una ballerina, stellina su di un cubo, che ti guarda muta, dai confini della terra, dalla pubblicità del mondo, mentre il mondo continua a giocare a carte: sono tempi natalizi, dopotutto. Sempre?
Bene. Parlo del vecchio capitano che si mostra ma che è ben nascosto nella sua cabina. Il capitano c’è, si sente, ma si vede solo l’ombra. Il profeta metteva in guardia da lui, ma sembrava solo farfugliare quel profeta. Parlo di un capitano avvolto nel mistero. Che resterà un enigma: il “volto enigmatico dell’uomo”, come disse un tempo un filosofo? La nave va. Attraversa gli oceani, sotto il sole e sotto le tempeste. Attraversa Capodanno e Capo Horn. Ma il capitano comanda, nell’assenza e in presenza; sempre sconosciuto. Vecchio leone di mare senza una gamba; e con una cicatrice perpendicolare: una ferita di cui nessuno sa dire se è nata con lui e gli è stata inflitta un giorno. E da chi? Un capitano cupo e rugoso. A le volte passeggiava sul ponte, che sembrava in vacanza. Quando sono arrivato alla sua nave, tra i marinai correva voce che la settimana prima avesse detto a un suo vice: “Basta, cane, via a cuccia!”, digrignando a denti stretti; che il vice replicasse: “No, signore, non permetto che mi diano del cane, signore”. “E allora pìgliati dell’asino dieci volte e del mulo e del somaro e fila via, altrimenti ti radio dal mondo!”. Così il vice si ritirò, borbottando tra sé e sé: “È matto? Sia come sia, deve aver qualcosa nella testa”.
È il tramonto. Il capitano siede solo e guarda fuori, alla finestra di poppa. Dopo un certo tempo, che a me sembrarono ore e ore di silenzio, ma che forse durò solo cinque minuti, il capitano mi racconta o, a dire meglio, racconta a se stesso: “Lascio una scia bianca e inquieta, acque pallide, facce più pallide, dovunque passo. Le onde invidiose si gonfiano ai lati per sommergere la mia traccia: facciano, ma prima io passo… Oh! C’è stato un tempo che l’aurora nobilmente m’incitava, così come il tramonto carezzevole mi portava sollievo. Ora non più… Sono dannato in mezzo al Paradiso… Mi stanno tutti innanzi, mi credono pazzo… Ciò che io ho osato, l’ho voluto; e ciò che ho voluto, farò”. A un certo punto mi pare dicesse qualcosa su dei “giocatori”, pareva rivolgersi a giocatori delle parole, del denaro e dei birilli, diceva che sono tutti dei vincitori fianco a fianco a dei perdenti, e che pure questi erano i “tutti”. Lo interrompo, gli chiedo di essere più chiaro. Non so se mi avesse ascoltato, se il suo dire-pensare volesse essere un chiarirmi. Ma sorridendo, a voce alta, disse: “Questo è più che voi, o grandi dèi, foste mai… Voi mi avete atterrato e io sono di nuovo qui, ma voi siete corsi a nascondervi. Uscite da dietro le vostre sacche di cotone! Io non ho armi di lunga gittata per raggiungervi. Uscite, il capitano vi presenta i suoi omaggi… Uscite a vedere se potete deviarmi. Deviarmi? Voi non potete deviarmi, altrimenti deviate voi stessi! È qui che l’uomo vi tiene. Deviarmi?”.
Non capivo esattamente. Il racconto non mi era chiaro; e chiaro non era in realtà nemmeno con chi il capitano parlasse. Ma pensai: la via è segnata. Per il resto, come commenta il poeta, sarebbe vano portare in superficie quello che è profondo, volgarizzare ciò che s’intravede ma non si vede, e non si tocca. E allora affidiamoci ai poeti: che con l’anima bianca s’incamminino lontani dalle torri della superficie umana, alla radice degli enigmi. Non li risolveranno neppure loro, questi enigmi. Ma aiutano un po’ ad occupare la testa in quei momenti in cui sospendiamo di giocare con le carte, con le parole, con le monete e le carte di credito, e con i birilli. Per il resto si torni pure a vedere su internet come vanno a finire le cose sul Recovery Fund. Bisogna accontentarsi? Intanto, mentre arriva il Nuovo, salutiamo il Vecchio anno. Ma da dove diavolo sbuca questo capitano? Umano? Disumano? Troppo umano? Auguri!
…il capitano ce lo siamo trovato,neanche votato,neanche scelto tra i marinai…eppure l’abbiamo messo al timone pensando poi di guidargli la mano,tante mani per guidarlo,ma lui impettito ha pensato di fare da solo,tanto rimanere a galla non è poi cosi difficile..ma ora i marinai hanno capito che per non affondare hanno bisogno di una rotta sicura,qualcuno che li guidi in lidi certi,qualcuno che conosca bene il mare e le sue insidie,che sono tante..sperano di trovarne uno che li porti fuori dalla tempesta,onde alte,minacciose,scogli dove è facile sbattere e affondare…poi si salvi chi può!!!