(Uscito, in versione e con titolo leggermente diversi, su “L’Adige” e “Alto Adige del 19 ottobre 2020 – Pubblicato su questo sito il 20 ottobre 2020)
–
Al di là dei sondaggi, pieni di incognite, sono le tornate elettorali più recenti, quelle regionali, a dirci qualcosa sul quadro politico italiano di oggi. Senza essere oracolari, mostrano tendenze “reali”. Come ho scritto il 14 settembre (Un nuovo bipolarismo che avanza), la sfida sul consenso elettorale pare proprio tra Pd e Lega, alla guida di coalizioni di centro-sinistra (CSx) e centro-destra (CDx). Il quadro non è scolpito sul marmo, peserà il tipo di legge elettorale con cui si andrà al voto per il Parlamento. Ma l’acuta crisi del M5s, la sua metamorfosi politica e il suo aggrapparsi al rassicurante Pd di governo (peraltro anch’esso in affanno), da un lato, e la tenuta del patto tra Lega, FdI e FI e il riorientamento “centrista” della Lega di Salvini, ispirato da Zaia e Giorgetti, dall’altro, dicono questo. E lo dice il voto “reale” alle regionali. Vediamo allora questi voti, conteggiati secondo due criteri robusti: 1) il confronto del voto regionale 2019-2020 con quello omologo immediatamente precedente (2014-2015) (che riguarda Liguria, Veneto, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche, Campania, Puglia, Calabria, esclusa Val d’Aosta per le sue peculiarità elettorali): si tratta di un ciclo elettorale che permette di confrontare le principali forze politiche “prima e dopo” il succedersi di due inedite maggioranze (M5s-Lega; M5s-Pd) e il pirotecnico passaggio dal Conte 1 al Conte 2; 2) i voti “assoluti” (anziché le percentuali) andati a Pd, Lega e alle coalizioni di CSx e CDx.
I voti assoluti misurano quanti cittadini danno il voto a quale forza politica, mostrano la “reale” raccolta di voti e penetrazione elettorale-territoriale dei partiti/coalizioni. Qui consideriamo solo le coalizioni di CSx e CDx (e nel caso il M5s) dove sono presenti le liste di Pd, Lega e M5s, perché ciò ci consente di mettere in luce la capacità coalizionale dei partiti oggi protagonisti della scena. Il “voto disgiunto” è stato conteggiato nelle coalizioni, ma anche come “voto di lista”.
Alle regionali 2014-15 la capacità di raccogliere voti delinea un quadro tripolare: un CSx imperniato sul Pd, un CDx un po’ più diviso e un M5s per conto suo, che all’epoca rifiuta coalizioni e si dice fuori dall’asse sinistra-centro-destra. Significativi sono i voti assoluti e la differenza di capacità di raccolta del consenso che fanno capo ai tre poli. Il CSx supera i 4,5 mln di voti, il CDx è fortemente distanziato e non arriva a 2,7 mln di voti, il M5s (tradizionalmente debole alle amministrative) ha comunque 1,8 mln di voti. In Emilia Romagna il CSx quasi doppia il CDx; nelle Marche arriva a più del doppio, in Toscana lo scarto è ancora più forte; in Puglia ha il triplo dei voti del CDx, in Campania e Calabria la Lega non si presenta e quindi il “CDx con Lega” prende zero voti, mentre il “CSx con Pd” è vicino a un milione di voti in Campania, e in Calabria sfiora il mezzo milione; in Veneto è invece il CDx a doppiare i voti del CSx; in Liguria (dove vince il CDx) e nelle Marche (dove vince il CSx) il distacco tra i due poli principali non è eclatante. Alle regionali 2019-20 il quadro assume però un profilo bipolare: il M5s perde ben metà dei voti e in due casi (Umbria e Liguria) si presenta in coalizione con il CSx. Il CSx vede un chiaro aumento dei suoi voti, con quasi +1,5 mln (supera i 6 mln); ma ancora più impressionante è la crescita di voti del CDx: con quasi +3,8 mln di voti supera i 6,2 (e supera il CSx). In Veneto il CSx perde oltre 100mila voti (si ferma a 385mila), mentre il CDx ne guadagna 700mila (arriva a quasi 1,9 mln); in Calabria il CSx addirittura dimezza i voti, scendendo a 250mila circa, mentre il “CDx con Lega”, assente nel 2014, nel 2020 è presente e raccoglie quasi 500mila voti. E però il CSx cresce in tutte le altre Regioni, anche dove perde: quasi +100mila voti in Puglia, quasi +200mila in Toscana, quasi raddoppia i voti in Emilia Romagna (+600mila) e in Campania (+800mila). Ma il CDx cresce molto di più, in particolare anche dove perde: triplica i voti in Emilia Romagna (quasi +650mila) e in Puglia (quasi +500mila), né è lontano dal triplicarli in Toscana (+450mila circa), mentre in Campania (dove questa volta c’è un “CDx con Lega”) si avvicina a 500mila voti.
Veniamo ai voti “assoluti” di Pd e Lega (i loro “voti di lista”). Nel conteggiare i voti del Pd abbiamo inoltre sommato i voti di Lista Pd con quelli delle “liste del Presidente” collegate alla coalizione di CSx quando queste liste recavano il nome di un dirigente/membro del Pd nella scheda elettorale (Moretti in Veneto, Oliverio in Calabria, Bonaccini in Emilia Romagna, Giani in Toscana, De Luca in Campania, Emiliano in Puglia); sono calcolati pure i voti andati a “liste comuni” tra Pd e altre forze (Pd+Articolo 1 in Liguria). Lo stesso criterio è usato con la Lega (Zaia in Veneto). Questo perché riteniamo del tutto sensato sommare ai voti di Pd e di Lega quelli di liste esplicitamente intestate a loro dirigenti o figure di riferimento. Ciò non significa, ovviamente, che tutti i voti di Zaia o di De Luca siano travasabili alla Lega o al Pd: è però lecito attendersi che una cospicua parte vada più facilmente a loro piuttosto che a partiti o schieramenti avversi. In ogni caso, il criterio seguito è omogeneo per Lega e Pd; è invece un po’ scorretto sottrarre, come han fatto in molti, il successo di Zaia a quello della Lega in Veneto glissando però sui successi di Bonaccini, De Luca, Emiliano e altri nel caso del Pd. Detto ciò, il successo e diffondersi di “liste del Presidente” e “civiche” è stato notevole, talora clamoroso, ed evidenzia un fenomeno generale, spesso trasversale, non spiegabile solo con la valenza amministrativa del voto ma anche con la leaderizzazione, personalizzazione e “localizzazione” del voto, che si accompagna alla debolezza dei simboli di partito surrogata da nuove strategie partitiche di raccolta dei voti.
Alle regionali 2014-15 il Pd è il partito che prende più voti di lista, oltre 2,8 mln; resta primo anche nel 2019-20, dove però perde circa 100mila voti. Se a questi voti sommiamo, come detto sopra, quelli delle “liste del Presidente appartenente al partito”, il “Pd come partito” è primo nel 2014-15 (3,3 mln di voti circa) e resta primo nel 2019-20 (sfiora i 3,5 mln). Ma nel ciclo regionale 2014-15/2019-20 la Lega cresce molto di più: come lista passa da poco più di un milione a quasi 1,5 mln di voti; se vi sommiamo quelli delle “liste del Presidente appartenente al partito”, da 2 mln scarsi supera i 3mln. Il che significa che mentre nel 2014-15 la lista Pd aveva raccolto oltre 1,5mln di voti in più rispetto alla lista Lega (+1,1 mln se conteggiamo anche le rispettive “liste del Presidente appartenente al partito”), nel 2019-20 il vantaggio della lista Pd su quella della Lega si riduce a poco più di mezzo milione (e a meno di mezzo milione se sommiamo le liste del “Presidente appartenente al partito”).
Se vediamo i risultati elettorali come fotogrammi di un film (elettorale) e non come una foto istantanea riusciamo a cogliere aspetti e tendenze del fenomeno elettorale nel tempo. Se spostiamo il fuoco dell’attenzione dall’immagine statica-sincronica dei voti di una forza politica a quella dinamico-diacronica, oltre a vedere chi ha vinto in un dato momento possiamo osservare come si muovono le preferenze dell’elettorato, e misurare anche qui il variare (in positivo o in negativo) della capacità di una forza politica di penetrare nell’elettorato e di raccogliere voti. Senza fare del determinismo e inferire dal passato dinamiche elettorali del futuro, emerge una tendenza chiara, e uno sguardo sul presente: il Pd resta primo partito (Zingaretti così può festeggiare), la Lega non lo ha spodestato; ma la Lega è in forte crescita e ora a un’incollatura dal Pd: Salvini non è all’angolo, o non lo è per i voti. Dire che Salvini ha fatto flop alle urne non è un giudizio ingeneroso, ma è un giudizio un po’ miope e superficiale. Una democrazia elettorale va osservata anche in profondità. Le correnti profonde dicono quale potrà essere la prossima partita. Perché c’è sempre una prossima partita. Come ben sanno i politici. Guardare alle tendenze significa aprire gli occhi sul futuro prossimo del bipolarismo che avanza. Ma quale tipo di bipolarismo? Un po’ di pazienza, caro lettore. Alla prossima.