(Pubblicato su questo sito il 18 luglio 2020)
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Il paese delle meraviglie
IL CAPITANO, UN UOMO E IL POETA. PER CHI VUOLE, PER GLI ALTRI IL RECOVERY FUND
Sono venuto a trovarti, capitano; voglio svegliarti, capitano. E mettiamo da parte il tuo valore, che se la veda con le onde del mare, che se la rida delle seppie e dei calamari, che forzi le correnti a fissare il naufragio a un’ora prima che la nave affondi, sempre a un’ora prima… mentre gli dèi si confondono, non si capisce se offesi o ammirati. Raccontami la tua canzone marina, quella che solca la tua testa e il tuo cuore, che sembra una ballerina che ti guarda, stella su di un cubo, muta, dai confini della terra, dalla pubblicità del mondo, mentre il mondo continua a giocare con le carte.
E’ il capitano che si mostra ma che è ben nascosto nella sua cabina; c’è, si sente, ma si vede solo la sua ombra. Il profeta metteva in guardia da lui, ma sembrava solo farfugliare quel profeta. Un capitano avvolto nel mistero. Resterà un enigma: il “volto enigmatico dell’uomo”, come disse un tempo un filosofo? La nave va. Attraversa gli oceani, sotto il sole e le tempeste. Attraversa Ferragosto e Capo Horn. Ma il capitano comanda, nell’assenza e in presenza, sempre sconosciuto. Vecchio leone di mare senza una gamba, e con una cicatrice perpendicolare: una ferita di cui nessuno sa dire se era nata con lui e gli era stata inflitta un giorno. Un capitano cupo e rugoso. A le volte passeggiava sul ponte che sembrava in vacanza. Quando sono arrivato alla sua nave tra i marinai correva voce che la settimana prima avesse detto a un suo vice: «Basta, cane, via a cuccia!», digrignando a denti stretti; che il vice replicasse: «No, signore, non permetto che mi diano del cane, signore». «E allora pìgliati dell’asino dieci volte e del mulo e del somaro e fila via, altrimenti ti radio dal mondo!». Così l’altro si ritirò, borbottando tra sé e sé: «È matto? Sia come sia, deve aver qualcosa nella testa».
È il tramonto. Il capitano siede solo e guarda fuori, alla finestra di poppa. Dopo un certo tempo, che a me sembrarono ore e ore di silenzio, ma che forse durò solo una mezz’ora, il capitano mi racconta o, a dire meglio, racconta a se stesso: «Lascio una scia bianca e inquieta, acque pallide, facce più pallide, dovunque passo. Le onde invidiose si gonfiano ai lati per sommergere la mia traccia: facciano, ma prima io passo… Oh! C’era un tempo che, come l’aurora nobilmente m’incitava, così il tramonto mi portava sollievo. Ora non più… Sono dannato in mezzo al Paradiso… Mi stanno tutti innanzi, mi credono pazzo… Ciò che io ho osato l’ho voluto; e ciò che ho voluto, farò». A un certo punto mi pare dicesse qualcosa su dei «giocatori», pareva rivolgersi a giocatori delle parole, del denaro e dei birilli, diceva che sono tutti dei vincitori affiancati a dei perdenti, e pure questi erano i «tutti». Lo interrompo, gli chiedo di essere più chiaro. Non so se mi avesse ascoltato, se il suo dire-pensare volesse essere un chiarirmi. Ma sorridendo, a voce alta, disse: «Questo è più che voi, o grandi dèi, foste mai… Voi mi avete atterrato e io sono di nuovo qui, ma voi siete corsi a nascondervi. Uscite da dietro le vostre sacche di cotone! Io non ho armi di lunga portata per raggiungervi. Uscite, il capitano vi presenta i suoi omaggi… Uscite a vedere se potete deviarmi. Deviarmi? Voi non potete deviarmi, altrimenti deviate voi stessi! È qui che l’uomo vi tiene. Deviarmi?».
Non capivo esattamente. Il racconto non mi era chiaro, e chiaro non era in realtà nemmeno con chi il capitano parlasse. Ma pensai: la via è segnata. Per il resto, come commenta il poeta, sarebbe vano portare in superficie quello che è profondo, volgarizzare ciò che s’intravede ma non si vede, e non si tocca. E allora affidiamoci ai poeti: che con l’anima nobile s’incamminino lontani dalle torri della superficie umana, alla radice degli enigmi. Non li risolveranno neppure loro. Ma ci aiutano un po’ ad occupare la testa in quei momenti in cui sospendiamo di giocare con le carte, con le parole, con le monete e le carte di credito, e con i birilli. Per il resto si torni pure a vedere su internet come vanno a finire le trattative sul “recovery fund”. Bisogna accontentarsi.
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Danza composta (Max Manfredi)
..abbiamo un capitano che non sa usare il timone ,in balia dei venti ,che ora si fanno sempre sempre più forti e presto si tramuteranno in uragani. Un parvenu, ecco chi governa la nave e se non c’è altro significa che siamo messi male.Non abbiamo progettualità ne programmazione,vogliono darci dei soldi ma non li sappiamo spendere bene come già dimostrato in passato,dunque non c’è fiducia.Il mio professore di sociologia a Trento in una delle sue lezioni è stato molto chiaro rivolgendosi alla platea di studenti che sommessamente lamentavano il suo rigore: non voglio che studiate come matti i punti e le virgole,in sede di esame chiedo solo indietro ciò che vi ho dato nelle mie lezioni,ne più ne meno, lo esigo.