(Uscito, con altro titolo e in versione leggermente diversa, su “Alto Adige” e “Trentino”, 8 novembre 2017 – Pubblicato su questo sito il 4 maggio 2020)
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Novembre 2017. Da Bruxelles, dove da alcuni giorni si è rifugiato, Carles Puigdemont, presidente della Catalogna destituito dallo Stato spagnolo, si è dichiarato di fatto perseguitato politico, rigettando l’accusa per reati costituzionali o del codice penale spagnoli. A suo modo, in maniera indiretta e ancora contraddittoria, alla fine, Puigdemont è arrivato al cuore della crisi ispanico-catalana. Intervistato da una televisione belga lo scorso 3 novembre, ha dichiarato: «Siamo incriminati per aver adempito al mandato per il quale siamo stati legittimamente e legalmente eletti». Ossia, le autorità catalane intendono realizzare quanto proclamato nella campagna elettorale da cui sono usciti vincitori i partiti indipendentisti e mantenere le promesse fatte da partiti costituzionalmente riconosciuti, legali e legittimi, agli elettori e dagli elettori premiati alle urne, ossia: ossia rendere la Catalogna una repubblica democratica indipendente, nel rispetto e nel quadro dei vincoli dei trattati dell’Unione Europea, seconda una via pacifica e democratica che si appella al principio dell’autodeterminazione dei popoli riconosciuto dall’ONU. Visti gli sviluppi della vicenda catalana negli scorsi mesi (cfr. due articoli presenti in questo sito), come si può intuire siamo di fronte a una “contraddizione della democrazia”, a una vera aporia della democrazia. Dovrebbero seguirne reazioni politiche e dibattiti culturali impegnativi. Anche controversi e oppositivi, ma non semplicistici talora fino al banale.
Su impulso del governo Rajoy, lo Stato spagnolo ha attivato l’art. 155 della Costituzione contro la Comunità Autonoma di Catalogna. Rea di aver proclamato l’indipendenza, la Catalogna è stata commissariata dal governo di Madrid; la Generalitat, che rappresenta la struttura politico-istituzionale che storicamente la governa, con sede a Barcellona, la Catalogna è stata di fatto e di diritto svuotata di ogni potere legittimo. L’autonomia catalana è stata sospesa: i membri dell’esecutivo e numerosi dirigenti degli apparati amministrativi e di polizia sono stati destituiti (coinvolte circa 200 cariche). Nel corso degli ultimi giorni, le autorità giudiziarie dello Stato spagnolo hanno chiamato in giudizio tutti gli esponenti del governo e diversi parlamentari catalani (con capi di imputazione che arrivano fino a 50 anni di reclusione), ne hanno incarcerati alcuni e hanno spiccato mandati di cattura per altri. Un mandato di cattura pende anche su Puigdemont, massima carica della Generalitat, e che continua a dichiararsi presidente legittimo di Catalogna. Decine e decine di migliaia di catalani (anche non indipendentisti) protestano in piazza contro i provvedimenti giudiziari spagnoli, che ora sembrano procedere a tambur battente. Contro tali provvedimenti arrivano, giorno dopo giorno, dure critiche anche da parte della società civile catalana, di sindacati, organizzazioni imprenditoriali, associazioni culturali e partiti, dal Consiglio Episcopale di Girona, dall’Università di Barcellona e dal Politecnico della Catalogna, e persino dalla squadra di calcio del Barcellona. Dopo aver esautorato o sciolto gli organi esecutivi e legislativi catalani, dopo aver ottenuto la possibilità di controllare i media catalani, dopo avere indetto elezioni anticipate per la Catalogna (da tenersi il 21 dicembre 2017) e dopo essersi detto ben lieto se alla competizione elettorale prenderà parte lo stesso Puigdemont, il premier spagnolo Rajoy ora tace. Lo Stato spagnolo fa la sua parte: non poteva chiudere gli occhi. Forse avrebbe potuto usare un passo differente. Ma la direzione era segnata. Le sfide dell’indipendenza e della secessione raccontano un’altra storia della democrazia rispetto a quella ordinaria a cui siamo abituati, una storia che mette sottosopra concezioni e categorie della teoria liberaldemocratica, costringendoci a spostare lo sguardo sulle questioni della “statualità” e della “sovranità dei popoli”. Tuttavia la parte dello Stato spagnolo non è l’unica parte sulla scena.
Gli ultimi sviluppi della crisi catalana, anche a seguirli da lontano, delineano i contorni di una crisi politica che si va rivelando più grave e delicata di quanto opinione pubblica internazionale, cancellerie nazionali e Unione Europea siano inclini a pensare o almeno a manifestare. Difficile valutare quanto le reazioni internazionali di queste settimane (fredde al limite del disinteresse) siano il riflesso di una percezione distorta di ciò che sta accadendo in Spagna-Catalogna oppure posizioni politicamente calcolate e finalizzate a favorire il mantenimento dello status quo politico-territoriale messo a soqquadro dall’azione indipendentista catalana. Resta che dall’azione congiunta di governo, parlamento e tribunali spagnoli ad essere travolto è l’intero ordinamento democratico della Catalogna, ivi compresi esponenti istituzionali eletti attraverso libere e corrette elezioni. Resta che la proclamazione catalana d’indipendenza è una sfida radicale all’unità e sovranità dello Stato spagnolo. Ma non è facile sostenere che essa abbia seguito principi e procedure estranei a quelli democratici, a meno di non ridurre pericolosamente l’intero patrimonio valoriale della democrazia esclusivamente alla legalità costituita. Vero è che la proclamazione d’indipendenza si oppone alla legalità che sostiene la democrazia costituita spagnola, ma lo fa nel nome di un’altra democrazia, nel nome di una nuova democrazia “da costituire” in Catalogna e per la Catalogna. La cosa può piacere o meno, ma di questo si tratta. E di questo dovremmo ragionare, sforzandoci di focalizzare una lettura della vicenda capace di aiutarci a comprendere cosa sta succedendo, a comprendere i singoli episodi della trama di questo conflitto, e da qui sviluppare argomenti a giustificazione dell’una o dell’altra posizione che ciascuno ritiene di sostenere. Un lavoro politico-culturale non facile. Ma doveroso di fronte a nodi costitutivi della convivenza tra “diversi”, tra significati differenti di democrazia che la parola democrazia nasconde in sé.
Possibile che nessuno in Europa trovi coraggio, forza, argomenti e lucidità intellettuale insieme ad onestà politica, per rappresentare pubblicamente la crisi catalana per quel che significa? Gli Stati nazionali e le istituzioni dell’UE risultano colpevolmente incapaci di agire: di cercare una via quanto meno per gestire la crisi del momento e per formulare una diagnosi lucida e sincera del problema, se non per offrire soluzioni a una questione di spessore storico quale è quella catalana. Giunti a questo punto, liquidare il conflitto in corso come “questione interna” dello Stato spagnolo, come hanno fatto le istituzioni dell’UE e le cancellerie europee, e poi seppellire tutto sotto un assordante silenzio pubblico fa impallidire quel “Me ne lavo le mani” di Ponzio Pilato di fronte al processo a Cristo. Persino il Console romano, ricordiamolo, tentò di fare la sua parte prima di arrendersi.