(Uscito, con altro titolo e in versione diversa, su “Alto Adige”, 22.2.2020 e “l’Adige”, 23.2.2020 – Pubblicato su questo sito il 22 febbraio 2020)
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Immunologo noto al grande pubblico per la sua difesa dei vaccini, sul suo “Medical Facts” Roberto Burioni scrive: «Circa 2500 persone stanno tornando dalla Cina in Toscana». Parla di “persone” in quanto la nazionalità è irrilevante. E aggiunge: «Non riesco a capire perché la Regione Toscana si intestardisca ad affermare che la quarantena non è necessaria». Intanto, notizie delle ultime ore dicono di diversi casi di contagio, anche gravi, e di due morti in Italia. Ragioniamoci.
Si chiama Principio di Precauzione (PdP). Vivere secondo questo principio non è facile. Ci proietta nella condizione di un Sisifo spogliato di sacralità. Sisifo, uomo di grande sagacia, ma “uomo”, aveva sfidato gli dei. Per punizione Zeus lo condanna a spingere un macigno dai piedi alla sommità di un monte, e ogni volta raggiunta la cima inesorabilmente il masso rotola giù; per l’eternità, Sisifo deve ricominciare sempre la sua scalata senza mai riuscire a fermare il macigno sulla vetta. Abbiamo ereditato il racconto dalla mitologia greca, messo in versi da Omero e riletto da Camus per i tempi moderni. Affatica essere i Sisifo della ipermodernità: trovare una bussola per il nostro mondo, che poi sempre ci cade dalle mani e si frantuma; ci lascia frustrati e ci consuma pensare di aver trovato la bussola per i nostri problemi e poi accorgersi che non ci dà mai coordinate sicure su dove siamo o verso dove procedere. È una condizione, quella sisifea, che si acuisce nelle situazioni di grande di crisi e confusione. Così è con l’emergenza del coronavirus, dove la politica, l’informazione e a la stessa scienza si trovano intrappolate.
Mentre l’opinione pubblica è a giorni alterni sollecitata o fatta languire, il PdP può aiutare la comunicazione della scienza, i canali di informazione e info-intrattenimento, la vita quotidiana di ciascuno davanti alla minaccia virale che s’aggira nel mondo. Ma il PdP dovrebbe soprattutto guidare le autorità pubbliche e i decisori politici. Il PdP ha preso forma pubblica internazionale verso la fine del XX sec., trovando posto nelle Carte di intenti o di indirizzo di vari organismi internazionali. La sua prima formulazione è fatta risalire alla Conferenza dell’Onu di Rio de Janeiro (1992), dove nella “Dichiarazione su ambiente e sviluppo”, all’art. 15, si dice: «Al fine di proteggere l’ambiente, un approccio cautelativo dovrebbe essere sempre utilizzato dagli Stati. In caso di rischio di danno grave o irreversibile, l’assenza di una piena certezza scientifica non deve costituire un motivo per differire l’adozione di misure adeguate ed effettive». Inizialmente riguardava pericoli o emergenze provocati dallo sviluppo di nuove tecnologie, ad es. in campo genetico o a protezione dell’ambiente; investiva la diffusione e commercializzazione di beni di consumo. Poi si è progressivamente esteso alla salute umana. È stato recepito nel Trattato Ue di Maastricht e consolidato in quello di Lisbona. La sua ultima messa a punto e raccomandazione ufficiale è contenuta nella Comunicazione “COM 2000” della Commissione Ue e si riferisce a tutte le situazioni in cui si identifica un rischio ma non ci sono prove scientifiche sufficienti a dimostrarne la presenza o assenza, né la determinazione di adeguati livelli di protezione. Le condizioni per la sua applicazione lasciano spazio ad ambiguità, limitazioni e discrezionalità, richiamano una generica analisi economica dei costi e benefici che contraddice la ratio del principio. Ma fermi restano tre criteri cruciali: 1) presenza di rischi potenziali, 2) mancanza di una certezza scientifica che permetta di escludere ragionevolmente l’esistenza dei rischi identificati, 3) mantenimento delle misure precauzionali finché i dati scientifici restano insufficienti a fugare dubbi sul pericolo. Si consideri l’emergenza del coronavirus: l’incertezza e la confusione che regna in campo scientifico; il fatto che da giorni navi da crociera con migliaia di persone sono tenute in isolamento, in mare aperto; la sospensione di grandi eventi internazionali e di massa, di varia natura, quali il gran premio automobilistico di Shangai o il World Mobile Congress 2020 di Barcellona; consideriamo le preoccupazioni intorno al Festival del Cinema di Berlino di fine febbraio, sulle Olimpiadi di Tokio di luglio-agosto, sul Salone del Mobile di Milano (aprile) o le misure adottate da colossi dell’economia (ad es. Amazon). Mi chiedo: perché nessuno, nessuna autorità, invoca il Principio di Precauzione a tutela della salute e della sicurezza preventiva nei contesti più banali della vita quotidiana. Perché, ad es., si lasciano cadere nel vuoto moniti sull’opportunità di limitare la circolazione anche tra i Paesi europei? Perché si tiene in sordina che dalla Cina si può arrivare facendo scalo aereo a Francoforte e poi giungere in Italia via pullman passando per il Brennero senza controlli? Perché si deride chi propone di tenere in quarantena sanitaria i bambini provenienti dalla Cina (di qualunque nazionalità, anche italiana)? Perché ci si scandalizza con chi preferisce evitare di andare al ristorante cinese, scambiando i suoi timori con razzismo, ostracizzando la sua libertà di scelta o il suo eccesso di cautela? Non si tratta di fare allarmismo, e nemmeno di abbassare la guardia contro le discriminazioni etniche: si tratta di buon senso e di prudenza, cose che non sono né di destra né di sinistra.
Il senso di responsabilità suggerisce di non drammatizzare: il panico non aiuta a orientarsi nell’intricata mappa dei problemi. Ma suggerisce anche di non sottovalutare la crisi, fosse pure per rassicurare e scongiurare psicosi o paure. Sui rischi di contagio e di mortalità la strada è quella stretta del difficile equilibrio tra calma rassicurante e tensione vigilante, nel bel mezzo di informazioni limitate, conoscenze incerte, e decisioni politiche dilemmatiche. Non sappiamo troppe cose. Ad es. su cosa sta accadendo nell’immersa e sperduta terra di Cina, dove ampie sono le aree di sottosviluppo, di precarietà igieniche e sanitarie, di costumi e pratiche che sfuggono al controllo delle stesse amministrazioni cinesi, ma anche perplessità sulla trasparenza, sulla gestione della crisi, sui diritti umani e di libertà, sul “buco nero” di una citta di 11 milioni di abitanti (Wuhan) trasformata quasi in un campo di concentramento. Mentre è sotto monitoraggio il suo impatto sanitario, va messo in conto che il contagio virale ha già ricadute su altri piani: sulla psicologia e i sentimenti individuali e sociali, sulle relazioni tra i gruppi etnici (“i cinesi e gli altri”), sul turismo, gli stili di vita, i commerci e l’economia, sui rapporti tra gli Stati (a partire dalle già complicate relazioni tra Stati Uniti e Cina), sulle aree più sottosviluppate e molto a rischio dell’Africa, dove la Cina opera da tempo massicciamente con capitale finanziario e capitale umano, alimentando costanti flussi di cinesi e africani attraverso l’Oceano Indiano.
È prematuro e difficile fare previsioni, ma cominciamo a pensare agli effetti di medio-lunga durata dell’”epidemia cinese” sul mondo d’oggi, sulle nostre idee della globalizzazione, dei mercati aperti e della “libera circolazione delle persone a prescindere”. Un vecchio proverbio americano dice che “nessuno ti dà un pasto davvero a gratis”: nemmeno la globalizzazione. Arginare i rischi della nostra epoca è una partita senza fine. Che dobbiamo giocare tutti, recuperando l’antica virtù della prudenza come maestra di fronte al disorientamento che suscitano le reazioni del mondo della scienza, dell’informazione e della politica. La prudenza è saggezza dell’intelletto (razionalità) ma anche dell’anima (morale). Richiede impegno e analisi accorte, circostanziate, discernimento nelle scelte. Controlliamo la paura, certo. Ma, va detto, evitiamo anche l’inganno, fosse pure a fin di bene.
Perché l’Ue non attiva il Principio di Precauzione? Perché non lo invoca il governo italiano, magari su impulso del Presidente Mattarella, con l’appoggio di tutto il Parlamento, mettendo da parte per qualche giorno i conflitti di potere, la campagna elettorale permanente, le partite a scacchi sulle nomine ai vertici del sottogoverno? Il Paese e i cittadini tutti non apprezzerebbero questo soprassalto di responsabilità precauzionale della politica? Il coronavirus sembra una cosa seria. Quando tutto sarà finito, resterà molto da riflettere sul nostro mondo. A lungo. O dimenticheremo, come se niente fosse?
Ovviamente non sappiamo come finirà la storia e neanche abbiamo gli strumenti per determinarla,sconfiggerla,ma una riflessione è obbligatoria .Personalmente mi viene spontaneo vedere la situazione da un punto di vista opposto a quella comune che è preoccupante per non dire tragica,tra verità non dette per non allarmare e realtà oggettiva.Non tutti i mali vengono per nuocere..non grandina mai in danno di tutti,recitano in vecchi e saggi proverbi.Sono anni che combattiamo per avere un europa unita,contro i nazionalismi emergenti, chiusura di frontiere , guerre a livello mondiale di cui ci si dimentica in fretta,dazi da togliere e mettere per i vari interessi economici,etc.Poi arriva il ..coronavirus…,questa super influenza che non conosce confini,dogane economiche,ideologie da usare politicamente.L’aria non conosce tutte queste variabili,accomuna tutti e mette tutti sullo stesso piano,senza ideologie ne barriere,razzismi o etnicità, trattati vari che tanti vogliono rinnegare o rinegoziare.Finalmente la globalizzazione si sta compiendo,senza disuguaglianze,annullando in poco tempo le differenze,velocemente com’è nell’essere della globalizzazione.Tutti uniti contro il coronavirus, non sarà l’unico male del mondo ma forse questa metafora un attimo fantasiosa porterà qualcosa di positivo nelle nostre riflessioni.