(Uscito, in versione diversa e con altro titolo, su “Alto Adige del 13 settembre 2019, “l’Adige” del 14 settembre 2019 – Pubblicato su questo sito il 13 settembre 2019)
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Il Conte II è nato. Formato da M5S e PD, nemici giurati che fino all’altro ieri proclamavano “mai un governo insieme”. Un tempo, per fare una cosa del genere, occorrevano anni di elaborazione politico-ideologica e programmatica: si pensi alla nascita del centro-sinistra negli anni ’60 o al tentativo (abortito) del “compromesso storico” tra la DC di Moro e il PCI di Berlinguer. Sarà perché oggi è tutto più veloce, superficiale, liquido? Possono bastare pochi tweet e sbarellare il nemico politico, fare nuove alleanze, con l’occhio vigile sull’uomo del Quirinale, l’attuale e il prossimo. Con la benedizione di Bruxelles, l’accordo di governo tra Pd e M5S sembra riportare la politica sul tradizionale asse centrodestra vs. centrosinistra. Ma è prematuro parlare di tramonto della competizione tra politica pro e anti sistema. È invece tempo di capire quale direzione prenderà il governo giallo-rosé, a partire dalla questione-migranti, che in tutto il mondo ha un rilievo enorme.
1) Conte II: governo pro o anti sistema? Siamo ancora nel mezzo di una fase storica dove il confronto-scontro tra politica pro-sistema e politica anti-sistema domina la scena, non solo in Italia. La lotta si svolge su diversi livelli: nazionale, europeo, internazionale; su diversi fronti: economia e finanza, istituzioni e piazze, regole e poteri, migrazione e diritti, ceti politici e popoli; nel susseguirsi di molte partite, dove a vincere ora sono i soggetti dell’una ora quelli dell’altra. Al di là della compostezza o meno con cui si muovono nell’arena politica, tutti i soggetti coinvolti seguono la logica di un “gioco a somma zero”: o noi o loro. Qui trascuriamo perché siamo arrivati a questo, di chi e quali siano le responsabilità. Va però sottolineato che in un quadro del genere la politica perde forza e orizzonti riformisti, sia quella pro sia quella anti sistema. Ad esempio, rende difficile un superamento della società e del regime politico neoliberale (dominanti dagli anni ’80) attraverso una “transizione pactada”, come l’ha chiamata Juan Linz trattando di transizioni democratiche da un vecchio a un nuovo sistema politico, economico, culturale. Una transizione pactada potrebbe facilitare lo sviluppo di una democrazia migliore, il superamento della post-democrazia neoliberale. Ma a una condizione: che nei campi contrapposti della politica pro e anti sistema prevalgano le ali “moderate”, rispettivamente, della conservazione e del cambiamento, ossia le componenti più aperte a un compromesso riformista per transitare a un nuovo regime.
Senza queste condizioni per un “nuovo compromesso post-neoliberale”, la stessa politica anti-sistema perde i suoi ingredienti riformisti e rimane solo con quelli rivoluzionari, o sedicenti tali. In una prospettiva rivoluzionaria, però, la politica anti-sistema può avere successo solo se possiede forza e poteri necessari per ingaggiare uno scontro “a muso duro” con i “poteri di sistema”, quei poteri costituiti che pervadono capillarmente la sfera istituzionale e politica, quella economica, culturale e mediatica: alla politica anti-sistema non basta vincere elezioni o andare al governo, poiché il potere non si esaurisce nelle procedure e istituzioni democratiche. Per capirlo, non a caso, accanto ai Locke, Montesquieu e Kelsen studiamo pure i Machiavelli, Marx e Carl Schmitt. La storia, però, mostra che in democrazia non c’è molto spazio per le rivoluzioni: è la grande lezione del liberale Tocqueville, che ha avuto pochissime benché dirompenti smentite nel ‘900 europeo. Insomma, se è vero che nelle cose umane, come ha suggerito Max Weber, solo tentando l’impossibile a volte si raggiunge il possibile, è pure vero che per la politica anti-sistema l’opzione rivoluzionaria è assai difficile, e in fondo poco desiderata. Resta la strada della transizione contrattata, di un riformismo anti-sistema. E di un riformismo pro-sistema. Una saldatura tra riformismi divergenti eppure convergenti non facili da conciliare, cari M5S e PD.
2) Conte II: la questione migratoria. La direzione che prenderà il governo giallo-rosé è da collocare nel quadro sopra delineato. Ad esempio, le sue scelte nel campo della sfida migratoria. Nel governo italiano il tema è di competenza primaria del ministero degli Interni, ove ora siede Luciana Lamorgese, già prefetto di Milano e Capo Gabinetto nei governi Letta e Renzi. Un “tecnico” in un ministero oggi iper-politicizzato. La neo-ministra si presenta con tutte le qualità in regola: personali e istituzionali; ma anche forte di una sua visione politica: difficilmente sarà solo un grand commis dello Stato. Ma non basta. È cruciale che il governo non chiuda, come in passato, pure con Salvini, il problema delle migrazioni nel perimetro, pur importante, della regolazione dei flussi, nell’alternativa o equilibrio tra porti aperti e chiusi, nelle misure di accoglienza e sicurezza: significherebbe continuare a trattare il problema in superficie, con vista corta. La sfida migratoria richiede approcci sistemici e radicali, che guardino al futuro recuperando le cause del fenomeno. Non sono scenari avventati: nel Mondo Nuovo del “post 1989 senza frontiere”, in pochi decenni sull’Europa arriveranno decine di milioni di migranti. Studi strategici, geopolitici e demografici stimano che, se potessero, sull’Europa si riverserebbero centinaia di milioni di persone, dall’Africa e non solo: spinte da motivi buoni e cattivi che fatichiamo a immaginare; con una varietà di effetti sociali dirompenti, oggi solo agli inizi, di cui conosciamo dinamiche storiche e logica.
Quella migratoria è una crisi internazionale che sollecita alla base i rapporti politici, economici e culturali tra gli stati occidentali e quello che chiamavamo Terzo Mondo. Per questo urgono revisioni nella divisione del lavoro dell’esecutivo, per porre al centro visioni e responsabilità congiunte tra ministero degli Interni e quello degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale ora assegnato a Di Maio. Il nuovo governo avrà la forza, volontà e cultura politica per maturare tale revisione organizzativa del suo modus operandi, per formulare il problema migratorio secondo una diagnosi strategica, radicale e di respiro, senza la scorciatoia dei “buoni e cattivi”? I dubbi sono leciti. Ma leciti sono pure gli stimoli da offrirgli.
Per finire. Nel governo Conte II, il M5S sarà in grado di essere l’interprete moderato di una genuina politica anti-sistema? Il PD saprà essere l’interprete moderato di una saggia politica pro-sistema? Difficile rispondere. Ma se non sarà così, sarà anche difficile non vedere nel governo Conte II, e in tutta la politica contemporanea europea, l’ombra del gattopardismo, senza neppure la nobiltà di spirito del Principe di Salina. Nel frattempo, la Lega di Salvini continuerà a dare voce a una parte cospicua della società, che è viva e da tempo insoddisfatta. La partita si giocherà su questa parte della società. E l’idea di vincerla sperando che essa si rifugi nell’astensione elettorale è miopia che non salva la democrazia, che svuota le istituzioni, le sue procedure e la Costituzione. È bene ricordare che la sovranità democratica si esercitata nelle forme e nei limiti della Costituzione, ma è anche bene non scordare che la sovranità democratica appartiene al popolo. Per il resto, le oligarchie sono forti del potere. Vorremmo che continuassero a fare i conti con la democrazia, a pensare anche ai pezzi di popolo privi di mezzi e di corpi intermedi, poiché pure lì ci sono cittadini e gente che fa la società. O forse la società non esiste, come disse Margaret Thatcher con crudo spirito neoliberale?
In Italia ormai non ci stupisce niente più,l’ennesimo governo del cambiamento.Capisco che la politica sia in itinere,ma se ciò fosse almeno nel nome di un cambiamento vero,invece le solite promesse.Abbiamo mille variabili che ci dovrebbero spingere verso un riformismo vero,veloce come lo impone il cambiamento epocale che stiamo vivendo e che tutti invocano da anni.Siamo invece vittime della nostra pochezza culturale,del pachiderma burocratico che ci impedisce un cammino normale in tutti gli ambiti,senza una visione programmatica di sviluppo reale.Dalla scuola all’economia siamo ingessati come non mai.Sburocratizzare il paese non significa dare poteri forti a pochi,intendiamoci,ma togliere i mille lacci in cui ci si perde nella quotidianità del vivere,del fare. Dovremmo ripartire soprattutto dalla cultura,mentre invece i dati ci dicono che in Europa siamo tra gli ultimi purtroppo.Nei paesi nordici i soggetti tenuti in maggior considerazione sono…la famiglia reale per tradizione,il premier,poi gli insegnanti…Da noi gli insegnanti sono scarsamente considerati,pur essendo la categoria che prepara e aiuta i giovani a formare la società,tutto il resto dovrebbe avvenire in automatico, aiutando la democrazia stessa a evitare scelte sbagliate nel paese.evitando la deriva a cui assistiamo.Il sistemo forse si è troppo incancrenito e le forze antisistema dovrebbero avere più coraggio,almeno in nome del futuro.