(Uscito su “l’Adige”, 20 marzo 2019; “Alto Adige”, 18 marzo 2019 – Pubblicato su questo sito il 18 maggio 2019)
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La partita in vista del voto europeo sarà tra populisti, nazionalisti e sovranisti, da una parte, e liberali-democratici, europeisti e globalisti, dall’altra. Chi vincerà tra questi opposti schieramenti è diventata la questione essenziale, e semplificatrice, che circola nelle culture politiche di tutti i Paesi europei, amplificata dai grandi media. Ma è davvero la vera posta in gioco delle elezioni europee di maggio? Se riusciamo a scuoterci dai pregiudizi, conformismi e inerzie mentali che attraversano le nostre teste e i canali di elaborazione e circolazione delle idee possiamo cercare di cogliere l’occasione del voto europeo per un confronto aperto tra la politica pro-sistema e quella anti-sistema, per discutere pubblicamente di quella che credo debba essere la posta in gioco importante nei nostri tempi, e perciò anche del voto europeo: la nostra generazione sarà o non sarà in grado di porre al centro dell’azione dei governi nazionali e delle politiche europee un “benessere sostenibile” per tutti i cittadini?
La vera posta in gioco è se coloro che siederanno nell’europarlamento nei prossimi 5 anni, se coloro che guideranno la prossima Commissione UE, se coloro che guidano o guideranno i governi nazionali, avranno o meno volontà e capacità di fissare in cima all’agenda politica i problemi più urgenti della nostra società. Il tema cruciale è, ad esempio, se la politica riuscirà, oppure no, ad imprimere radicali cambi di direzione all’economia: passare dall’economia neoliberale, quella che restringe le basi etico-antropologiche dell’economia riducendo le persone a homo oeconomicus o a merce, ad un’”economia civile”, quella che punta a riallargare la base etico-antropologica dell’economia, regolando l’individualismo oggi prevalente tramite un rilancio dei beni di cittadinanza (beni “comuni”, “ambientali”, “relazionali”). Un’economia civile ancorata ai beni di cittadinanza (su cui insistono Luigino Bruni e Stefano Zamagni), meglio di quella neoliberale schiacciata sui beni privati e il self-interest, offre strumenti e indicazioni per affrontare duri problemi: povertà e crescenti diseguaglianze, consumismo di ambiente e di energie non rinnovabili, impoverimento della vita nelle periferie sociali e culturali, assenza di condizioni essenziali per promuovere una decente convivenza multietnica nelle città e nei quartieri urbani, nei borghi e nelle valli.
La posta in gioco primaria del voto europeo, e delle elezioni nazionali che arriveranno dopo, non è tanto chi vincerà tra liberali e populisti, tra sovranisti ed europeisti, ma se le nostre società saranno in grado o no di impegnarsi per costruire un futuro diverso da quello su cui oggi camminiamo. Non basta mobilitarsi un giorno a favore di Greta, la sedicenne di Stoccolma che per 20 giorni, tra agosto e settembre, prima delle elezioni svedesi, ha “marinato” la scuola per recarsi davanti al Parlamento con il cartello: “Sciopero scolastico per il clima”; e che continua a farlo ogni venerdì, contro la miopia del nostro modo di vivere. Non basta firmare appelli per il “Nobel a Greta!”. Senza cambiamenti radicali della nostra cultura, dei nostri stili di consumo, nella nostra vita quotidiana, le nostre società continueranno a lasciare indietro intere aree regionali e milioni di persone; sempre di più la ricchezza creata dal lavoro di molti sarà nelle mani di pochi, mentre le condizioni e i diritti del lavoro si deterioreranno, l’ambiente degraderà e pure la giustizia sociale. Il malessere dei cittadini crescerà. La rabbia pure. Le nostre democrazie, già impallidite, quanto potranno reggere in queste condizioni? Se non vogliamo che regrediscano ancora, dobbiamo lavorare per questo “progresso”: a partire dal miglioramento della cultura democratica, delle istituzioni, dei ceti politici e dirigenti delle nostre democrazie.
Le nostre democrazie sono attraversate da una crisi profonda. La risposta? Quella desiderabile è sempre la stessa: una società più equa, decente e sostenibile. Quella possibile: una società più muscolosa, cinica e irresponsabile.
La posta in gioco è una società democratica matura. Una società dove il cittadino comune abbia forza e strumenti per far pesare la sua voce, dove si possa fare affidamento su una rappresentanza di qualità e forte nelle istituzioni, nei sindacati. Dove la democrazia si nutra di associazioni e movimenti sociali vitali nell’impegno pubblico di molti. Dove le grandi aziende, le banche e i colossi della finanza siano tenuti a dare conto dell’impatto economico, sociale e ambientale delle loro attività e delle loro decisioni. Dove le tasse siano eque ed efficienti, efficaci e finalizzate a produrre servizi e soddisfacimento dei diritti, a redistribuire risorse a favore degli svantaggiati; dove i programmi per una progressiva riduzione della povertà e delle diseguaglianze, delle marginalità culturali e dell’esclusione sociale siano adeguatamente finanziati. Dove ai bambini sia garantito il diritto di vivere la propria infanzia con dignità, dove un’abitazione decorosa sia accessibile a tutti, dove nessuno guadagni meno del salario necessario per vivere decentemente e decenti siano le condizioni di lavoro. Dove i giovani e i disoccupati godano di un sostegno pubblico per trovare un lavoro o per una riqualificazione professionale e le diseguaglianze di reddito e di ricchezza siano più basse, entro limiti accettabili, riequilibrate dai sistemi di welfare. Dove alle donne siano garantiti diritti e paghe eguali per uguali lavori. Dove le politiche regionali non lascino indietro alcun territorio e le innovazioni industriali siano in sintonia con i problemi del cambiamento climatico.
In questi problemi e obiettivi sta la vera posta in gioco che dovrebbe stare al centro dell’azione delle forze politiche e delle istituzioni in vista del voto europeo. Se accadesse, sarebbe un bel progresso per l’UE e per l’europeismo. Tra qualche mese vorremmo poter dire che così è stato, che si è fatto un passo avanti. Ma visti i tempi che corrono, e la natura umana, l’ottimismo non abbonda.