I gamberi marmorizzati, la scienza e noi

 

 

I gamberi marmorizzati, la scienza e noi

 

Premessa

 Questa è la storia dei gamberi marmorizzati. Una storia di scienza e di mistero, che getta un sorriso di ironia su tutti quegli stupidini miopi di intelletto e di buona creanza, i quali, credendo di abbracciare la ratio della scienza o di farsene portabandiera, abbracciano e agitano una mitomania della scienza. Nella loro postura, pubblica e privata, costoro finiscono spesso per mescolare presunzione e ignoranza. E così, imperversando in lungo e in largo nel mondo, riducono la scienza a una clava, mentre essa o è sottile fioretto che si destreggia e che primeggia in virtù dell’umiltà del conoscere oppure non è. Indirettamente, è quest’ultima la storia che qui racconto e ri-racconto. Dietro la storia dei gamberi marmorizzati (che ri-narro) scorre, infatti, un’altra storia (che narro) dove si guardano in faccia i giorni nostri: le vicissitudini della conoscenza scientifica impegnata in un cammino dove i lumi, pretendendo (ingenuamente, per convinzione od opportunisticamente) di fare luce innalzandosi sulla città, la rendono buia o accecano chi vi si aggira.

 

  1. “E questa roba cosa significa?”

 “E questi cosa significano? Da dove diavolo saltano fuori?”…

“Beh, chiamiamoli ‘gamberi marmorizzati’”.

Uno scambio di battute del genere dev’essere stata la sostanza dell’inizio del dialogo che si svolge in un laboratorio di Germania intorno alla metà degli anni ’90 (scorso secolo): insomma, una trentina di anni fa[1]. Da lì a poco, il piccolo mondo degli acquariofili tedeschi, perplesso, era tutto preso dalla voce secondo cui era comparso un nuovo animale: le sue particolarissime caratteristiche erano cosa di cui la scienza (e non solo quella di settore) non aveva mai sentito parlare: in natura, dicevano gli esperti, non ce n’era traccia; nessuno riusciva a spiegare da dove e come questo nuovo animale fosse comparso e arrivato in Germania.

I gamberi marmorizzati costituivano una specie nuova di gamberi d’acqua dolce. La specie risultava del tutto simile ad altre, eccetto che per un “dettaglio”: le femmine deponevano uova che si schiudevano senza essere state fecondate. Esistono circa 15 mila specie di decapodi (come granchi, aragoste, scampi, gamberi): in nessun tipo ci si era mai imbattuti in un simile fenomeno. Nessuno riusciva a trovare una spiegazione. Di fatto, si discettava di una mutazione spontanea che un bel giorno avrebbe trasformato un gambero vivente in un acquario in una sorta di “Eva dei gamberi marmorizzati”. Come, in seguito, ebbe a ricordare l’epigenetista Frank Lyko, responsabile del German Cancer Research Center di Heidelberg, quello che era successo lasciava tutti basiti: “Ma come? Sono solo femmine, dove sono i maschi?” – ci si chiedeva; non c’era più bisogno dell’accoppiamento, la prole era costituita da cloni naturali della madre; ma la normale evoluzione di una nuova specie può avere bisogno di migliaia di anni…

Ma la storia non finisce qui. Nel 2003 appare su “Nature” un comunicato di alcuni ricercatori nel quale si dice che il “nostro gambero marmorizzato” era “in grado di riprodursi per via unisessuale (partenogenesi)”; i ricercatori, a scanso di fraintendimenti, ribadiscono che “in condizioni controllate, il gambero marmorizzato ha un comportamento partenogenetico”. Alla comunità scientifica non pare vero ciò che sta accadendo, tanto la faccenda è scientificamente succosa: senza sapere né come né perché, si trovano dover riprendere tra le mani un problema assai vecchio e sempre divisivo: i rapporti di forza tra i geni e l’ambiente.

Un giorno, alcuni ricercatori tedeschi decidono di approfondire la questione con un esperimento di laboratorio in grande stile. Scelgono due femmine di gamberi marmorizzati (chiamate A e B) come capostipiti e le isolano in due separate vasche. Successivamente, le figlie di A e B furono collocate in due distinte vasche. Si trattava di vedere cosa sarebbe successo, tenendo conto del fatto che gli esemplari delle due linee di discendenza erano tutti geneticamente identici (cosa che venne ulteriormente verificata sperimentalmente).

Nel condurre la loro indagine, i ricercatori introdussero e applicarono una serie di ulteriori criteri di controllo: allevano i gamberi marmorizzati in condizioni assolutamente identiche, al fine di rendere il più uniforme possibile l’effetto di qualsiasi fattore esterno sul loro sviluppo: stesso cibo, identici controlli periodici, identiche vaschette piene d’acqua di rubinetto, identica temperatura ambientale, addirittura sottoposti ad esame sempre dalla stessa persona. Insomma, si cerca di eliminare ogni possibile effetto ambientale. Come ci si poteva aspettare che dei cloni cresciuti nello stesso identico ambiente combinassero tutto quello che di fatto combinarono? Le due imperanti forze vitali e colonne della conoscenza scientifica (i fattori genetici e i fattori ambientali) nel caso sottoposto allo studio di laboratorio erano identici per tutti i gamberi in osservazione. Eppure, udite udite, una clamorosa sorpresa arriva a scuotere punti fermi della scienza. Ecco quale.

Alcuni esemplari pesavano oltre venti volte rispetto ad altri della stessa “cucciolata” e allevati allo stesso identico modo. Ma non solo: delle centinaia di gamberi marmorizzati non ce n’erano due che presentavano la stessa “marmorizzazione”. Evidenti risultavano anche le differenze dei loro organi sensoriali, nel loro modo di muoversi o di riposare (alcuni si nascondevano, altri si sdraiavano apertamente); diversa era la durata della loro vita (da 237 a 910 giorni); variava l’inizio dell’età riproduttiva, la quantità di uova deposte, il numero delle deposizioni. Differenti erano altresì le loro modalità di socializzazione: gamberi solitari e gamberi amanti della compagnia; alcuni esemplari risultavano dominanti, altri sottomessi, dando vita a vere e proprie catene gerarchiche.

Differenze fisiche e differenze comportamentali erano ben riconoscibili, e inattese: geneticamente identici, nati e cresciuti in condizioni controllate per restare identiche, gli esemplari si assomigliavano come il giorno e la notte.

 

  1. Gli scienziati si confrontano 

Tra i ricercatori e gli scienziati che si occupano dei gamberi marmorizzati, mese dopo mese, anno dopo anno, si va alla ricerca di ipotesi e spiegazioni per cercare di chiarire il misterioso. Fenomeno emerso in laboratorio[2]

  1. Alcuni offrono una spiegazione di tipo epigenetico, che affascina non poco i suoi estimatori. Il loro ragionamento è, grosso modo, il seguente. Stando alle conoscenze pregresse, i geni possono essere attivati o disattivati, con la conseguenza che cellule aventi il medesimo patrimonio genetico possono differenziarsi (come avviene, ad esempio, quando originano il cuore, il fegato, gli occhi, ecc.). L’ipotesi epigenetica viene anche chiamata in gioco, analogamente, per altri aspetti dell’interazione tra geni e ambiente che producono effetti stabili. Altri ricercatori, nondimeno, sono pronti a sollevare obiezioni sull’ipotesi epigenetica. La risposta che essa offre, dicono i critici, esclude una domanda essenziale per la spiegazione del fenomeno osservato: da dove sorge il variare degli effetti epigenetici, dato che (a quanto è dato sapere) tutto quello che sappiamo sui gamberi marmorizzati e sul loro ambiente è del tutto identico? L’epigenetica, rilevano i critici, riesce a dare conto di come le influenze esterne vengano mediate, ma nulla dice sul “da dove” tali influenze provengano: non dice perché in un gambero scatta “l’interruttore epigenetico” e in un altro no. E questo, concludono i critici, continuiamo a non saperlo.
  2. Altri ricercatori chiamano in causa le “interazioni a breve termine tra geni e ambiente”. Vale a dire: i geni non determinano in modo diretto i caratteri definitivi di una creatura, bensì nel corso dell’esistenza di questa codificano in via indiretta in diverse proteine, là dove questo processo incontra continuamente il rischio di subire influenze esterne che aprono alla libertà delle interazioni tra geni e ambiente. Ma anche di fronte a questa spiegazione, immancabile è l’obiezione essenziale: infatti, si argomenta, per quanto ne sappiamo, tutti gli input alle interazioni riguardanti il caso dei gamberi marmorizzati sono identici.
  3. Altri studiosi avanzano l’ipotesi che la differenziazione dei cloni possieda una propria logica, la quale accresce la possibilità evolutiva che almeno un membro della specie riesca a sopravvivere a un cambiamento delle condizioni ambientali. Ma anche a questa idea viene obiettata la mancanza della spiegazione su come alcuni possano riuscirvi.
  4. Qualcuno potrebbe essere tentato di ipotizzare che un gambero sia arrivato per primo sul cibo, abbia mangiato più degli altri, e crescendo più degli altri abbia usato le sue forze e le sue energie per crescere sempre di più e per diventare sempre più forte, aumentando così ulteriormente il vantaggio che aveva acquisito con l’abbondanza del pasto inziale. E, però, va qui ricordato che i ricercatori alle prese con il caso avevano dichiarato di aver fatto in modo che tutti i gamberi sotto osservazione ricevessero sempre cibo in abbondanza e a sufficienza.

Tutto ciò considerato, resta che i nostri scienziati si muovono in vicolo cieco, ponendosi domande e riflettendo sulla possibilità di trovare risposte convincenti; valutano ogni possibile ipotesi, anche la più vaga. Ma le convinzioni e le conoscenze consolidate nel tempo e nella scienza cominciano a incespicare, scricchiolano. Che qualcosa possa essere sfuggito all’osservazione e alle analisi scientifiche? Per giunta in un laboratorio qualificato e attrezzato allo scopo, mica in tv o sui social?

In circostanze del genere si può essere spinti a pensare e a immaginare che lo sviluppo anomalo e oscuro dei nostri gamberi marmorizzati possa essere stato davvero condizionato da una serie di “spintarelle casuali”, microscopiche e “invisibili alla scienza” Ma è possibile e credibile che un nonnulla, invisibile agli esperti, possa, “magicamente”, generare un’intera foresta di conseguenze (inspiegabili)?

 

  1. Una prima conclusione

La storia dei gamberi marmorizzati ha lasciato in eredità alla scienza almeno due riflessioni di fondo che meritano attenzione ai nostri giorni, quando la scienza viene pubblicamente ridotta a bigiotteria che adorna tanto le decisioni pubbliche, quanto la comunicazione sociale, su temi scottanti e controversi; quando troppo spesso si pretende di far prevalere (ora per convinzione, ora per opportunismo) una concezione bigotta della conoscenza e delle pratiche scientifiche. L’esito dell’attuale tendenza a straparlare (più o meno dottamente) di scienza è uno sfiguramento della scienza stessa. Uno sfiguramento che finisce per storpiare sia le pratiche effettive della ricerca scientifica, sia il principio di legittimità della conoscenza scientifica: la scienza diventa così un totem da idolatrare, laddove la molla che invece la innesca e la alimenta è il dubbio metodico (di cartesiana memoria), e con esso la tenacia della modestia di fronte a ciò che ci risulta noto e di fronte a ciò che ci è ignoto. Molte sono le pagine di storia che ci rammentano come senza queste qualità essenziali la scienza non avrebbe intrapreso qual “cammino aperto” che, nel bene come nel male, ha accompagnato l’umanità nei suoi passi fino all’oggi, incrociando imprese impensabili, peripezie attorcigliate, naufragi inattesi[3].

Prima riflessione. A un certo punto, improvvisamente, capita che tutto quello che si pensava di sapere, nella fattispecie in merito ai geni, all’ambiente e alle loro relazioni, necessita di revisione, perché i conti non tornano più. Sembrava acquisito che “se non sono i geni, dev’essere l’ambiente”, e viceversa. Nel caso della storia qui ri-raccontata pare, invece, che questo punto fermo della conoscenza scientifica non sia poi così accettabile o privo di fallacia. Restano in mano molte supposizioni. Supposizioni che però, a quanto pare, vanno a picco.

Seconda riflessione. Dando credito a quanto hanno reso pubblico i ricercatori coinvolti nella nostra storia e dando credito al dibattito scientifico che ne è scaturito, è del tutto ragionevole concludere che, in questa storia, c’è qualcosa che sfugge. Il che, poi, significa che c’è qualcosa che sfugge alle conoscenze scientifiche consolidate e granitiche. Ad agire nel fenomeno inesplicato dei gamberi marmorizzati c’è un “fattore nascosto”, “inosservabile” agli strumenti tecno-scientifici e/o precluso dalle mappe cognitive, concettuali, culturali del sapere scientifico più accreditato. Un fattore, forse, addirittura “invisibile”, “impercepibile”? Se i ricercatori hanno appurato che ogni gambero marmorizzato è in grado di “cambiare in maniera casuale… in ogni momento della sua vita”, come e perché ciò è possibile, dato che i gamberi in questione sono tutti identici e vivono tutti nello stesso ambiente? Come spiegare un risultato che getta nel caos la scienza?

La scienza (nel nostro caso inclusa quella accreditata, ufficiale e tanto premiata) ci risponde: “Cari amici, semplicemente ci sono cose che non sappiamo. E quelle che sappiamo, sono talora proprio quelle che ci portano fuori strada, impedendoci di andare oltre”.

Come ha scritto lo storico Daniel Boorstin a proposito del progresso: “La grande minaccia, per il progresso, non è l’ignoranza, ma l’illusione della conoscenza”[4]

Il fatto è che citiamo continuamente il Socrate del “So di non sapere”, ma non ci crediamo e forse non abbiamo neppure ben capito cosa significhi. Citiamo il motto solo per fare una bella e civile figura nel mondo-salotto perbene e civile (che poi tanto civile e perbene nemmeno lo è). Frasi fatte e vuote, battute. Ma che talora rendono bene proprio a chi va in direzione opposta.

E allora? E allora, calma e gesso a tutti i professionisti e dilettanti della scienza. Sia quando la praticano, sia quando ne parlano. Ci risparmieremmo qualche gratuita occasione di laceramento. E se qualcuno non riesce a farne a meno, si guardi intorno: il catalogo è già ricco.

 

NOTE

[1] Per ri-raccontare questa storia mi sono avvalso delle seguenti fonti: G. Scholtz et al., Ecology: Parthenogenesis in the Oursider Crayfish, in Nature”, 6925, 2003; F. Lyko, Intervista, in “Newsweek”, febbraio 2018; Geneticists unravel secret of super-invasive crayfish, in “Nature, 6 febbraio 2018; AA.VV., Clonal genome evolution and rapid invasive spread of the marbled crayfish, in “Nature Ecology & Evolution”, 5 febbraio 2018; Centinaia di gamberi “mutanti” invadono un cimitero in Belgio, in “green me”, 5 novembre 2020; M. Blastland, La metà nascosta, Bollati Boringhieri, Torino, 2021.

[2] Nel corso degli anni fa capolino anche l’idea che il “gambero impossibile” fosse il risultato di esperimenti condotti in laboratorio e dettati da chissà quali motivazioni. L’idea, però, rimane ai margini del dibattito pubblico e viene accarezzata solo da “culture alternative” di ispirazione ecologista. In questa occasione trova scarsa risonanza la “caccia alle streghe” contro complottisti o negazionisti di turno. Il lettore di oggi si penserà: “Chissà perché…” – un pensiero non peregrino, direi.

[3] Vedi, ad esempio, l’ormai classico Th. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1969 (ed. or. 1962).

[4] D. Boorstin, Cleopatra’s Nose. Essays on the Unexpected, Random House, New York, 1991. Come nota, ironicamente l’autore, sarebbe bastato che il naso di Cleopatra fosse stato più corto che, privando la regina d’Egitto del suo fascino, la storia avrebbe avuto un altro corso.


(Pubblicato su questo sito il 15 febbraio 2023)

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