Sì-vax e no-vax in guerra contro la paura


La pandemia ci pone il problema delle Colonne d’Ercole. Per gli antichi Greci indicavano il limite oltre il quale non era possibile fare ritorno: il limite ultimo del mondo conosciuto, una metafora dei limiti della conoscenza. Teniamo sullo sfondo questo mito, aiuta a navigare nel mare aperto dei nostri tempi, tra no-vax e sì-vax e le loro paure.

La pandemia è qualcosa di distruttivo. La sua portata catastrofica è misurata dal numero delle vittime, dallo sconvolgimento delle pratiche di vita delle persone, dell’organizzazione e funzionamento della società. Investe pure il “senso delle cose” e l’immaginazione degli uomini; il mondo pare essere uscito dai binari e il flusso ordinario del tempo essersi inceppato. Ma sotto il regno del virus, nell’ombra, aleggiano pure questioni profonde della vita personale e collettiva: desideri e timori, passioni e ragioni, che sono stravolti, paralizzati o esasperati. Sotto il regno del Covid osserviamo una rudimentalizzazione dei sentimenti e un manicheismo delle opinioni: di qua il bene, di là il male, come in guerra. In questa nostra “strana guerra” dovremmo avere un nemico comune, e invece non si perde occasione per andare all’assalto gli uni degli altri. Mentre siamo alle prese con il virus, nemico biologico, non ci sfugga che galoppa pure un altro virus e un altro contagio: il discredito reciproco, la discriminazione morale dell’altro. Così capita di sentire, ad esempio, che l’Ordine dei medici, forte dei suoi principi deontologici, definisce antiscientifica e negazionista la posizione dei medici orientati a non dare seguito alla pratica vaccinale; e altri medici e associazioni sanitarie che reagiscono opponendo il principio etico dell’inviolabilità del corpo, raccomandato da convenzioni internazionali. Non siamo messi bene, né a cultura scientifica, né a cultura politica: questo ci dice il “muro contro muro” tra sì-vax e no-vax.

La pandemia ha acuito la polarizzazione delle idee e della volontà, nella società come in politica; ha spacchettato e rimpacchettato la fiducia e la sfiducia. Ha alimentato tendenze contrapposte: chiusuristi contro aperturisti; sì-vax contro no-vax ed entrambi contro dubbio-vax, vittima designata dell’ipertrofia di dogmi e parole spicciole; di lato, rimangono gli afasici. La pandemia evidenzia anche dei limiti del potere umano: un “limite che sorprende”, con cui fatichiamo a convivere. Ci vorranno anni prima di cominciare a capire cosa è successo: quanto al virus e al contagio, alle reazioni (individuali e collettive), ai vaccini.

Nei primi mesi a pandemia conclamata ci si chiedeva: cosa accadrà? Cosa cambierà? Cosa potremmo o dovremmo fare? Oggi le domande sono altre: cosa accadrà a chi? Cosa cambierà per chi? Chi può e chi deve fare che cosa? L’enfasi odierna sul “chi” che eclissa il “noi” svela tutta la fragilità della retorica secondo cui di fronte al virus siamo tutti uguali. Il virus, infatti, è niente affatto democratico nei suoi effetti sociaIi e morali, oltre che economici; e ciò vale pure nel caso di contagi e vaccini. Il Covid, tuttavia, ha solo rivelato e amplificato asimmetrie pre-esistenti. Nel corso di un anno, asimmetriche sono diventate pure le paure, le loro forme e contenuti, i modi di percepire e giudicare quel “quid” che scatena paura.

Pericoli e insicurezza, rischi e paura che accompagnano la vita non sono, è ovvio, cosa nuova. Li si è sempre affrontati cercando segni, spiegazioni, informazioni: fiammelle o fari per illuminare passi e futuro. In tempi lontani si consultavano gli oracoli, poi gli stregoni e maghi, sacerdoti o profeti; oggi gli esperti delle nostre scienze. La scienza supporta le decisioni con indicazioni sulla probabilità delle conseguenze di una scelta, con il “rischio calcolato” dei pro e contro; con il calcolo della percentuale di incorrere in un evento avverso o della probabilità di evitare un danno. Ma questa scienza, quella più accreditata, non produce certezze. E perciò finisce per aprire dilemmi di sicurezza. Tanto meno i calcoli di probabilità possono rassicurare su scelte dove è in gioco la vita e la morte dei singoli. Inoltre, la scelta di ciascuno di esporsi a “quale” rischio coinvolge inevitabilmente anche altri, così come le decisioni dei governi si ripercuotono (più o meno) su tutti. Da qui l’esplodere di controversie al veleno sulle scelte di ciascuno e su quelle pubbliche. Ma da qui anche un “conflitto di paure”, di paure estreme legate alle possibili conseguenze fatali della scelta su come affrontare il virus: la paura di rischiare la vita col contagio contro la paura di rischiarla col vaccino. A fronte di queste paure contrapposte, la scienza non offre opzioni razionalmente ponderate fino in fondo, fornisce indicazioni che sono razionali solo in termini di probabilità statistiche sui grandi numeri. Non è poco. Tuttavia, la razionalità di tali indicazioni può rivelarsi spuntata davanti alla Grande Paura.

Oltretutto, oggi ci sono altri motivi, del tutto scientifici e razionali, che rinforzano l’incertezza e le paure sul da farsi: 1) il virus e le sue varianti non sono ancora padroneggiati dalla scienza; 2) i vaccini sono stati autorizzati dagli enti preposti in deroga alle regole da essi stessi “scientificamente” stabilite, ossia su basi sperimentali troppo limitate quanto ai numeri dei casi osservati e all’osservazione dei loro effetti nel tempo; 3) alcuni vaccini sono del tutto nuovi e intervengono sul patrimonio genetico con effetti di lungo periodo alquanto ignoti. Ma oltre a trascurare questi salienti aspetti scientifici, oggi stiamo perdendo di vista i risvolti pratici della questione scientifica, che nidificano negli atteggiamenti sociali, nel discorso pubblico e nelle misure di governo. Quale che sia la posizione o la paura di ciascuno, almeno quando c’è di mezzo la vita e la morte dovremmo stare attenti ed evitare di banalizzare, infangare o coartare con misure liberticide grossolane la paura altrui di infettarsi o di vaccinarsi (ad es. il “passaporto vaccinale” o diverse regole del pur accettabile obbligo di vaccino per gli operatori sanitari).

Due considerazioni finali. 1) Quando si è chiamati a decidere su come affrontare rischi di morte o di gravi danni alla salute, la probabilità statistica non per tutti è la chiave di volta per sciogliere il dilemma della scelta: può non bastare per eliminare il pensiero e il dubbio che quell’unico caso fatale su milioni sia proprio io. Ogni vita vale di per sé e ogni persona ha diritto ad avere paura di rimetterci la propria. Dopotutto, dovunque può esserci l’elefante, come racconta in un suo saggio il sociologo Sofsky. A Mosca, nel corso dei bombardamenti tedeschi, un noto professore di statistica non si era mai recato nel rifugio antiaereo. Agli amici preoccupati spiegava: “Ma perché mai dovrei supporre di essere colpito proprio io? Dopotutto Mosca ha 7 milioni di abitanti”. Un giorno si presentò nel rifugio, con grande meraviglia di tutti. Gli chiedono: “Cosa ti ha fatto cambiare idea?”. E lui: “Vedete, a Mosca vivono 7 milioni di essere umani e un elefante. La scorsa notte è stato colpito l’elefante”.

2) È con questa paura suprema che oggi dobbiamo fare i conti, nel rispetto della paura altrui, quella dei no-vax e quella dei sì-vax. Ed è con questa paura tragica che le nostre democrazie devono imparare a confrontarsi, anziché dileggiare o aggredire moralmente gli altri. Come scrissero secoli fa Hobbes e Locke, il principale fine per cui gli uomini si associano è la “reciproca” (di tutti) salvaguardia della persona e della vita. Ma per Locke era un patto nella libertà, per Hobbes un patto autoritario. Oggi, in particolare in Italia, pare che Hobbes stia consumando la sua rivincita su Locke. A fin di bene, per proteggere tutti dal contagio, ma rinunciando a proteggere tutti dalla paura. Su questo possiamo fare di più. Paura e libertà devono ancora imparare a parlarsi e a convivere in democrazia. Dovremmo trattare con maggiore intelligenza pubblica e con minore arroganza dogmatica la sfida culturale e politica suscitata dalla costellazione pandemica e dai delicati problemi esistenziali, intellettuali e politici che essa solleva. Non ci mancano i repertori argomentativi, che invitano a pensare come la libertà personale del proprio corpo sia una questione radicalmente politica, intorno a cui si giocano le condizioni di costituzionalità della democrazia e su cui si fonda il vivere civile. Il modo in cui paura e libertà vengono coniugati insieme ha inevitabili ricadute sulla tenuta e qualità di quel patto che dovrebbe proteggerci dallo scivolare nell’anarchismo e nell’autoritarismo. La delicatezza e spinosità della sfida è però obliterata da un confronto pubblico che narcotizza e irrigidisce il pensare e l’ascoltare. Intanto, come si direbbe a “Tutto il calcio minuto per minuto”: Hobbes batte Locke 2 a 0, gol di Conte e di Draghi. In attesa del secondo tempo, linea allo studio. Sullo sfondo, le Colonne d’Ercole.


(Pubblicato su questo sito il 30 aprile 2021)

 

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