Il “mio” Weber, e i nostri tempi

(Uscito, in versione e con titolo parzialmente diversi, su “l’Adige”, 23 giugno 2020; “Alto Adige”, 24 giugno 2020 – Pubblicato su questo sito il 24 giugno 2020)

Il 14 giugno del 1920 muore Max Weber, all’età di 56 anni. È una delle vittime della “spagnola”, la virulenta pandemia influenzale che colpì il mondo tra 1918 e 1920 e provocò milioni di morti (da 20 a 100, secondo le difficili stime che da allora sono state fatte). In questi giorni sono stati numerosi i profili che sono apparsi sui giornali per ricordarne la figura, profili ora più scolastici ora più riusciti. Qui vorrei ricordare il “mio” Weber, e perché aiuta a comprendere la modernità e il mondo contemporaneo.

Weber lascia incompiuta parte cospicua della sua opera, e il suo pensiero ci è giunto più erratico di quanto riesca a restituirci ogni tentativo di sistematizzarlo e di congedarlo, sia quando lo si canonizza sia quando si vuole liquidare ogni canonizzazione. Esemplare è il caso del mastodontico “Economia e società”, studiato o letto nelle sintesi di manuale da generazioni di studenti, ricercatori e professori di università: forse era un progetto di Weber, ma ciò che leggiamo è un’opera da lui mai realizzata, e su cui i suoi eredi testamentari mettono subito mano e che lo pubblicheranno a suo nome. Weber ci ha lasciato importanti studi sulla scienza, sui suoi fondamenti conoscitivi, la sua metodologia, le sue pratiche sociali e istituzionali; sulla politica, sulla religione e la cultura, sulla storia economica e sul capitalismo, sul diritto e sulla musica. Con ”L’etica protestante e lo spirito del capitalismo” fa i conti con le teorie marxiste e liberali, istituendo un “rivoluzionario” legame concettuale, un’”affinità elettiva”, tra credenze culturali/religiose e razionalismo economico. Si tratta di analisi con le quali ancora oggi gli adepti di varie discipline si confrontano, discutono o pontificano. A dispetto di quanti sostengono il contrario, ritengo le sue sfide conoscitive, nei diversi campi, ancora vitali per noi: costituiscono un’eredità scientifica che vive e che si è irradiata persino nel discorso pubblico, nel linguaggio corrente “colto” della vita quotidiana; insomma, sono diventate parte del nostro universo culturale, a cui attinge anche chi non ne è consapevole o non ha mai letto Weber.  Negli ultimi anni di vita Weber fu protagonista di due celebri conferenze, tenute a Monaco e rivolte ai giovani universitari, dedicate alla “scienza come professione” (1917) e alla “politica come professione” (1919), là dove “professione” sta per “Beruf” (che significa “lavoro” ma anche “vocazione”, “chiamata”). Lì trova sintesi la “visione” weberiana, il cuore del suo pensiero: pagine che a tratti si elevano ad arte letteraria, densa di immagini, ethos e pathos.

Weber è ormai un “classico”, cioè, come diceva Italo Calvino, un autore che non ha mai finito di dire quel che ha da dire. Ma proprio in quanto “classico”, il Weber con cui abbiamo a che fare nelle università, nei libri e nella cultura politica è uno e trino, ovvero sono tanti e diversi tra loro i Weber con cui si può avere a che fare. Qui vorrei riflettere sul “mio” Weber. E allora, come capita a teatro: “Cambio scena”, anni ’70.

Quell’anno la parte monografica del corso era dedicata alla burocrazia. Attorno alla cattedra di Sociologia si era costituito un piccolo gruppo di studio formato da studenti avanti con la carriera, “impegnati politicamente”, e da poche matricole. Dovevamo assegnarci i libri da relazionare all’interno del gruppo, e poi all’esame. I più grandi (perché… decidevano loro) scelsero chi Marx, chi Engels, chi Lenin, qualcuno Bernstein o Kautsky: il “movimento del ’77 era lì lì. A me e a un mio amico, che eravamo “primini” assegnarono Weber e Michels (quello della “ferrea legge dell’oligarchia in democrazia”): dopotutto, anche questi facevano parte del programma e qualcuno doveva “farli”. Non ricordo per quale motivo specifico (o forse non c’era proprio, non saprei): “mi presi” Weber, il mio amico cedette e ripiegò su Michels. Dopo qualche mese, pieno di compunto entusiasmo presentai la mia relazione (che forse ho ancora in qualche cassetto), esposi alcuni fondamentali concetti e temi weberiani: il “tipo ideale” di burocrazia, i rapporti tra il burocrate (l’esperto) e il politico, la razionalità e la razionalizzazione del mondo come “disincanto”. “Mi sembrano cose interessanti… che aiutano a comprendere la società, la politica, la scienza”, commentavo timidamente, mentre esponevo. “Ma va là (pivello)! Weber era l’organo’ di Bismarck”, disse uno di quelli grandi, e tutti gli altri giù a ridere”.

Fu il mio primo “incontro ravvicinato” con Weber, tolta qualche lettura sul manuale di filosofia al Liceo. Il mio primo approfondimento arrivò con la tesi di laurea in Filosofia (indirizzo Scienze Sociali), all’Università di Torino. È grazie anche alle letture di Weber che, un po’ alla volta, “ho aperto gli occhi” e mi sono reso conto che si stava definendo la mia “visione del mondo” (per usare una parola grossa, cara a Weber). Questo anche quando, negli anni, continuando a leggere e rileggere Weber, prima su un punto poi su un altro, cominciavo a rendermi anche conto che il mio modo di vedere i problemi era un po’ diverso da quello del “grande tedesco”, fino a prenderne anche le distanze. Restavo però legato a quello che per me era lo spirito di fondo delle analisi e delle riflessioni weberiane, al suo “pensiero teso”, fatto di elementi tra loro in tensione: un pensiero spesso dilemmatico, a le volte “contraddittorio”, e alla fine irrisolto, aporetico. Ma un modo di pensare e vedere i problemi caratterizzato da una penetrante sensibilità di analisi di ciò che è scienza, società, politica.

La chiave di volta della prospettiva weberiana è che scienza, società, politica, comunque le si veda e le si studi, restano sempre “cose degli uomini” o, direbbe Pirandello “forme della vita”, secondo un tema che tanto faceva discutere artisti, scrittori, filosofi, scienziati tra il secondo Ottocento e il primo Novecento. E qui incontriamo le sfide “esistenziali” e conoscitive ancora aperte per noi, in un’epoca che fatica a comprenderle fino in fondo, e che per me rappresentano la lezione weberiana. Questo modo di “vedere il mondo” rimanda anche all’idea weberiana secondo cui la scienza vive di fondamenti pre-scientifici, e la politica di fondamenti pre-politici. Da qui il weberiano “politeismo dei valori”. L’approdo di questa visione, in Weber, non è però il relativismo di “ogni cosa vale l’altra”: possiamo infatti governare questo relativismo con le armi del metodo, della passione, della probità intellettuale, del Beruf. Non riusciremo sempre a “quadrare il cerchio”, ma ci impegneremo per “dare un senso” alle cose che facciamo e al mondo in cui viviamo, se capita pure da scienziati o da politici. E a fare i conti con i valori e con la vita, quelli personali e quelli collettivi. E qui Weber anticipa il lucido e radicale, ma anche controverso, filosofo dell’esistenzialismo tedesco Martin Heidegger, oltre che Nietzsche.

Per finire il mio ritratto weberiano vorrei esplicitare un paio di di direzioni di marcia che questo Weber può oggi offrirci. Una relativa alla conoscenza scientifica, l’altra alla politica. 1) Pillola weberiana sulla scienza: «Qual è il senso della scienza come professione»? La ricerca della “vera natura delle cose” o del “vero Dio” o della “vera felicità”, stabilire dove sta la “verità” nelle cose importanti per gli affari umani? No, dice Weber. E cita Tolstoj: la scienza «è priva di senso perché non dà alcuna risposta alla sola domanda importante per noi: che cosa dobbiamo fare? Come dobbiamo vivere?». Segue la chiosa di weberiana: «Il fatto che la scienza non dia queste risposte è assolutamente incontestabile»; ma la forza della scienza, chiarisce Weber, sta nei suoi presupposti conoscitivi, in ciò che la fonda e qualifica: il metodo, la «validità delle regole della logica e della metodologia» di un lavoro scientifico. Mi ci ritrovo ancora, a grandi linee.  Molti studiosi però si fermano qui, e si fanno forti, talora, dell’eredità weberiana. Ma Weber non si è fermato qui. Ha aggiunto: «Questi presupposti sono tuttavia perlomeno problematici», anche perché danno per scontato che «il risultato del lavoro scientifico sia importante nel senso di essere ‘degno di essere conosciuto’. E qui hanno la loro radice tutti i nostri problemi. Infatti questo presupposto non può essere a sua volta dimostrato con i mezzi della scienza. Può essere solo interpretato nel suo ‘senso’», un senso che può essere accolto o respinto a seconda della «propria presa di posizione» di fronte alle questioni della vita. Insomma, la scienza può dire sui mezzi, ma non sui fini. E la nostra cultura qui pare impreparata e tende a fare confusione. 2) Pillola weberiana sulla politica: «La politica consiste in un lento e tenace superamento di dure difficoltà, da compiersi con passione e discernimento insieme. È confermato dall’esperienza storica che il possibile non verrebbe mai raggiunto se nel mondo non si ritentasse sempre l’impossibile. Solo chi è sicuro di non venir meno anche se il mondo è troppo stupido o volgare per ciò che egli vuol offrirgli, e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò: ‘Non importa, continuiamo!’, solo un uomo siffatto ha la ‘vocazione’ (Beruf) per la politica».

Qui sta tutto l’incanto del disincantato weberiano. La magia della razionalità del “mio” Weber. La tensione e l’”apertura” di un pensiero che proprio perché “irrisolto” ci induce sempre a ricominciare, ad andare avanti. E questo sarebbe il Weber da consegnare ai suoi tempi? No, Grazie. Questo siamo noi, postmoderni o liberaldemocratici quanto si voglia. Per fortuna, nostra e dei nostri figli.

 

 

One Reply to “Il “mio” Weber, e i nostri tempi”

  1. Di Max Weber oltre gli studi nella facoltà si sociologia di Trento mi sono letto ..l’etica protestante e lo spirito del capitalismo..Gli studi in facoltà sono una base ma il fascino che Weber mette nei suoi elaborati vanno ben oltre.Reputo che proprio per la molteplicità degli argomenti trattati sia il più attuale tra i sociologi proposti negli studi sociali.Mi sono riproposto di leggere ..economia e società.. e devo ammettere che sinceramente mi sono frenato per la mancanza autorevole del..mio.. professore che potesse spiegarmi eventuali dubbi o passaggi difficili della materia in questione.Rapporti tra stato e potere,democrazia e popolo,tradizioni e religiosità,l’economia con le sue mille sfaccettature sono tutti argomenti strettamente legati tra loro ma devo sicuramente prendermi il tempo per leggere il trattato di Weber e magari disturbare il ..mio.. professore.

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