L’altra faccia del coronavirus: curare l’infodemia, tra scienza, politica e media

(Uscito, con altri titoli, su “l’Adige”, 10 febbraio 2020; “Alto Adige”, 11 febbraio 2020 – Pubblicato su questo sito l’11 febbraio 2020)

La crisi innescata dal coronavirus ha una doppia faccia: quella di un virus che colpisce l’equilibrio biologico del corpo umano; e quella che riguarda l’equilibrio socio-culturale della vita collettiva. Da scienziato socio-politico la mia attenzione si concentra sulla seconda. E trovo conforto nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), che ha messo in circolazione un neologismo che fa riflettere sulla “società dell’informazione”: “infodemia”, abbondanza di informazioni che rende difficile al cittadino distinguere quelle accurate e quelle no. L’OMS coglie un aspetto del problema, e pone l’accento sull’informazione, sul mondo dei media. Trascura però il mondo della scienza e quello della politica. Invece è da tutti e tre questi mondi interdipendenti che arriva in-accuratezza, e pure confusione e incertezza. Tre esempi dalla cronaca di questi giorni per meditare su: 1) scienza, 2) media, 3) politica.

1) Due centri di ricerca cinesi annunciano di aver trovato la cura contro il virus; l’OMS smentisce e sottolinea che siamo ben lontani dal disporre di una cura. Non solo. Da fonti scientifiche accreditate si apprende in un primo momento che il virus è contagioso solo nei casi di persone sintomatiche; ricercatori tedeschi affermano invece che il virus può essere trasmesso anche quando è in incubazione, da persone asintomatiche (“New England Journal of Medicine”), e vengono smentiti dalle autorevoli pagine di “Science”; a fronte del direttore scientifico dell’Ospedale Spallanzani che dichiara «il coronavirus non si trasmette da persone asintomatiche» sta il noto immunologo Burioni che sostiene il contrario. Ci si dice che dobbiamo affidarci alla scienza: a dirlo bastano poche parole, ma a farlo no. L’impressione del non esperto, “navighiamo a vista”, è un po’ rudimentale, ma ha un nocciolo di “verità” se analizziamo con serietà ciò che accade nella società.

 2) Suscita veemente indignazione pubblica la notizia di una sassaiola contro studenti cinesi dell’Accademia delle Belle Arti di Frosinone; il giorno dopo la Polizia di Stato nega alla notizia ogni fondamento: l’episodio era stato raccontato ai giornalisti da un professore che non era a conoscenza diretta del fatto, che ne era stato “informato” da un’altra professoressa, la quale ne era venuta a conoscenza da una studentessa cinese che aveva appreso (da una chat di connazionali) di episodi di intolleranza a Roma; emerge che la “sassaiola” non sarebbe altro che il frutto di una traduzione errata di Google Translator, usato dalla ragazza per comunicare con la sua insegnante, la quale ha “informato” il collega che l’ha diffusa ai giornalisti. Ogni commento è superfluo.

3) In una conferenza stampa (30 gennaio.) il premier Conte annuncia che l’Italia, per prima in Ue, chiude il traffico aereo da e per la Cina, a dimostrazione del fatto che il governo affronta la crisi con misure immediate e drastiche. Bene. Però sappiamo anche di 5 aerei partiti dalla Cina ancora dopo l’annuncio del governo, diretti a Roma e a Milano e arrivati a destinazione. Di più. A tutt’oggi, la Cina ha attive molte rotte aeree, a partire da quelle da e per l’Africa, dove le procedure di allerta e le condizioni igienico-sanitarie non spiccano per qualità e diffusione. Per arrivare in Italia non è necessario un volo diretto dalla Cina, si può fare scalo a Dubai, Singapore, Seoul, il Cairo, Istanbul, o Israele, Mosca, Francoforte: in tali casi i controlli sanitari precauzionali latitano, poiché il protocollo approntato dall’OMS, a cui si rifanno i governi nazionali, Italia inclusa, trascura gli arrivi dalla Cina via aeroporti intermedi. Insomma: bloccare i collegamenti diretti, come ha fatto il governo italiano, può servire per rassicurare la popolazione, può limitare la propagazione del virus, è quello che si può fare nel quadro dei rapporti internazionali e della globalizzazione degli spazi di circolazione delle persone e delle merci. Ma non possiamo dire che sia misura efficace per fermare la diffusione del virus. Esperti del trasporto aereo aggiungono che la chiusura degli spazi aerei limitata ai voli da e per la Cina, pur varata dal governo italiano prima degli altri governi (il 30 gennaio.) non è una misura davvero efficace perché difetta di tempestività, dato che le autorità cinesi, pur tardivamente, avevano informato l’OMS il 31 dicembre: per un mese i voli diretti da e per la Cina sono stati vettori di potenziale contagio. Diciamo le cose come stanno, senza caricare tutte le responsabilità su un governo: la crisi coronavirus ha una propagazione internazionale, globale, ma la sua gestione politica e le decisioni per fronteggiarla sono in mano ai governi nazionali sovrani, alle sensibilità e ai calcoli politici degli Stati, alla loro disponibilità a collaborare, alle loro reciproche diffidenze; difesa della sovranità e degli interessi nazionali (e non) di  élites politiche o che hanno il potere orientano le decisioni. E l’Ue? Non pervenuta.

Questi esempi sono gocce nel mare di confusione che accompagna i mondi della scienza, dell’informazione e della politica. Come devono operare questi mondi per aiutare a recuperare la rotta in questo mare agitato? 1) Molti scienziati e ricercatori sono consapevoli del fatto che gli strumenti e le conoscenze scientifiche si basano su una “razionalità limitata” (Simon, nobel per l’economia), presentano incertezze e buchi, talora sono controversi, ambigui o ambivalenti, non di rado in contrasto tra loro. Gli scienziati devono spiegare pubblicamente, imparare a comunicare ai cittadini, questa condizione della conoscenza scientifica, e saper fronteggiare le semplificazioni di un’idea di scienza sinottica ed onnipotente, chiarendo che ciò non significa impotenza della scienza o che tutto vale allo stesso modo. Non devono cedere al mito diffuso che piega la scienza allo scientismo. 2) I giornalisti devono curare l’offerta di un’informazione completa e corretta, approfondire e confrontare le loro fonti, offrire notizie di contesto, quadri un minimo sistematici in cui si inseriscono singoli episodi e notizie, dare conto senza pregiudizio anche di elementi informativi e di punti di vista controversi, che suscitano dubbi o che risultano sgraditi. 3) I governi non nascondano le loro responsabilità sotto il mantello protettivo dell’”oggettività” della scienza. Sappiamo che ciò che la ricerca produce dipende anche dal fatto di godere dei mezzi necessari e che sono i governi (e altre istituzioni internazionali, compresa l’Ue) a decidere quali centri e programmi di ricerca sono finanziati e quanto. Infine, è certo compito dei politici tenere ben presente che lo sviluppo della scienza va sostenuto, ma sappiamo, almeno dalla messa a punto del nucleare, che la ricerca solleva anche problemi e dilemmi morali: vere sfide etiche a cui la scienza non può dare risposta, che investono una responsabilità collettiva. In democrazia ciò impone a chi ha autorità politica di avere l’onestà e il coraggio di affrontarle coinvolgendo, con chiarezza e trasparenza, cittadinanza e opinione pubblica. Brutta bestia, la democrazia.

Su queste difficili direttrici, nella libertà, scienza, media e politica si giocano la credibilità oggi in affanno.  Altro che censura alle fake news o denunce dell’età della postverità.

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