La polis e l’ecologia. Natura madre e matrigna tra scienza, politica e opinione pubblica

(Uscito, in versione leggermente diversa e con altro titolo, su “l’Adige”, 4 novembre 2019 – Pubblicato su questo sito il 6 novembre 2019)

Di cosa parliamo quando parliamo di catastrofi naturali e di cambiamenti climatici? Di molte cose diverse. Ostracizzare i dubbi e gli interrogativi non aiuta il cittadino a capire la portata dei problemi, a diventare più consapevole e responsabile. Di più: l’ecologia è una questione della polis che deve fare i conti con la natura – madre e matrigna, direbbe il poeta di Recanati. E noi?

   Un anno fa, Vaia. Una tempesta di vento flagella mezza Europa, colpisce il nord-est d’Italia, a partire dal Trentino e dall’Alto Adige. Abbiamo assistito ai doverosi riti comunitari del dolore e del ringraziamento destinato agli operatori dei soccorsi. Non è mancata l’attenzione pubblica e mediatica, che ha allargato il discorso alla questione del cambiamento climatico, forte di un rilancio di sensibilità per l’ambiente sull’onda delle mobilitazioni dei Fridays for Future che tanta eco hanno avuto. Il tema merita di essere tenuto vivo, non è banale in nessun senso, ma senza strozzarlo: non si trasformi in un’ennesima “guerra culturale” tra fronti opposti, più e meno accreditati. E questo lo spirito delle rapsodiche considerazioni che seguono.

   Tempeste di vento, valanghe, inondazioni, terremoti, maremoti, eruzioni vulcaniche: ogni anno siamo spettatori o vittime di eventi terribili con cui il pianeta Terra colpisce anche gli uomini e che provocano distruzioni, dolore, solidarietà. Ma anche, troppo spesso, visioni polarizzate: per alcuni sono disgrazie inevitabili, per altri catastrofi causate dall’uomo che maltratta la natura, dalla società, dall’economia, dalla politica, dagli amministratori. La questione è più complicata. Sollecita a riflettere su molteplici interrogativi. Quelli di ingenui o rompiscatole Amleto, come dice chi possiede verità certificate? Non proprio. Ad esempio: 1) le catastrofi naturali, comprese le minacce dei cambiamenti climatici sono del tutto “naturali” e ineluttabili oppure sono responsabilità dell’uomo? E in quale misura sono l’una o l’altra cosa? 2) L’uomo è responsabile delle “cause” delle catastrofi o dei loro “effetti” distruttivi? Può eliminare o limitare le cause oppure intervenire solo per ridurne le conseguenze distruttive? 3) Gli obiettivi e l’efficacia della prevenzione e della messa in “sicurezza” di territorio e ambiente, del soccorso nel momento della calamità, hanno o no dei limiti dovuti ai contesti ambientali e sociali in cui si interviene, a come è organizzata in quei contesti la vita, alle contingenze e fortuità delle circostanze in cui si interviene?

   Questi interrogativi hanno vari risvolti: scientifici e tecnologici, economici e organizzativi, politici o di stili di vita. Ad esempio, sul versante della scienza ci sono interrogativi aperti e cautele sull’incontrovertibilità o certezza delle conoscenze. Riguardano, ad esempio: 1) la lunghezza e completezza delle serie storiche dei dati di cui la scienza dispone nel fare i conti con un fenomeno catastrofico; 2) la omogeneità e la comparabilità delle misurazioni de fenomeni, ad esempio dei cambiamenti climatici nel corso dei millenni; 3) il fatto che i risultati della ricerca scientifica si basino su “relazioni di causa ed effetto” o su “correlazioni” tra i fenomeni osservati dove manca la prova scientifica che un dato fenomeno A sia causa del fenomeno B e si è in grado di registrare solo la “coincidenza” del mutamento di un certo fenomeno cataclismatico (ad esempio pioggia torrenziale o uragano) con il mutamento di un altro fenomeno (ad esempio la temperatura del pianeta); 4) l’affidabilità dei modelli di misurazione che proiettano nel futuro mutamenti ambientali o climatici già registrati. Il sistema vita-pianta è estremamente complesso, di più: è un “sistema aperto”, senza confini a noi scientificamente noti, in continua e imprevedibile mutazione: perciò, come ben sanno gli scienziati che conoscono le problematiche della conoscenza scientifica, non riusciamo ad osservare e “controllare” empiricamente (e una volta per tutte) tutti i fattori che sono in gioco in un determinato fenomeno, la varietà, intensità e mutevolezza dei rapporti tra i differenti fattori, nemmeno nei laboratori. «Quel che vedo nella natura è una struttura magnifica che possiamo capire solo molto imperfettamente». Così scriveva Einstein. Nonostante gli impressionanti risultati conseguiti dalla scienza e dalla tecnologia, questa affermazione conserva la sua solidità. Su questo versante è importante come comunichiamo la scienza. È necessaria una riflessione critica, ad esempio, su quale idea di scienza comunicano i mass media (televisione, radio, giornali, lasciamo qui di parte la rete e i social media), gli esperti; ma anche su quale idea di natura, del rapporto tra uomo, natura e catastrofi, di prevenzione, protezione, rischio. A dominare è il “modello Piero Angela”, a cui tanto deve la divulgazione scientifica e che però rischia di far scivolare la scienza verso un dogmatismo popolare. Osservava Alexander Langer, echeggiando McLuhan: l’imballaggio, il modo in cui confezioniamo e presentiamo qualcosa, è importante quanto il contenuto.

   Quanto alle manifestazioni in difesa della Terra e del destino della specie umana, gli allarmi e a lamenti sulle catastrofi ambientali possono aiutare a riconoscere le emergenze, ma hanno l’effetto di celare due cose importanti: !) come sottolineava Langer, il fatto che le cause sociali e culturali delle emergenze contro cui ci si batte godono di massicci consensi popolari, anche tra i giovani, tanto nei comportamenti quotidiani quanto nelle scelte politiche dei cittadini; 2) il fatto che sia i danni ambientali sia le lotte e le misure per ridurli accrescono le diseguaglianze sociali, un problema di cui si parla poco.  Pure queste sono questioni che richiedono bisturi, non accetta. Per fare fronte alle sfide ambientali non bastano le paure, le leggi e i controlli, la scienza. Occorre una «conversione ecologica», saper suscitare motivazioni e impulsi, lavorare a favore di una “rifondazione culturale e sociale” di ciò che una società considera desiderabile, a favore di una visione del benessere e dell’equità diversa da quella prevalente. Una politica ecologica e un’economia eco-sostenibile dipendono da convinzioni culturali, etiche, religiose: da cose antiche, oggi un po’ démodé e che dovrebbero trasformarsi in cose nuove. Questo lavoro etico-culturale e politico deve tuttavia essere fatto nella libertà e nella democrazia: senza immaginare dirigismi ecologici, tecnocratici o di Stato etico, ma secondo quei valori della dignità dell’uomo che nessun super-esperto o nessun dispotismo benevolo e paternalista potrà surrogare.

   Anche i poteri politici ed economici possono fare la loro parte, specie le classi dirigenti che siedono ai piani più alti. Le cose vanno però diversamente. Un esempio. Al vertice di metà di ottobre, i governi dell’Unione Europea avevano sostenuto l’ambizioso progetto di affrontare con urgenza «la minaccia esistenziale del cambiamento climatico». Ma poi hanno deciso di rimandare la questione di due mesi: un dettaglio, forse, se non fosse che in tal modo sono saltate importanti scadenze già fissate. Vedremo cosa ne verrà. Intanto ricordiamo che già nel luglio dello scorso anno l’europarlamento aveva predisposto una risoluzione per condizionare ogni accordo sul commercio internazionale alla ratifica e implementazione dell’Accordo di Parigi sul clima; sette mesi dopo, arrivate le minacce degli Stati Uniti di dazi sulle importazioni di auto europee, l’europarlamento mise da parte i suoi propositi per andare avanti nei negoziati commerciali con gli USA (che si stavano ritirando dall’Accordo di Parigi):  per tutelare l’economia europea, ovviamente, a cui i cittadini tengono molto. Morale: ogni idea o intenzione in tema ambientale ha le gambe per camminare se ha dietro delle forze sociali. Finora, una potenza alleanza “capitale-lavoro” blocca ogni vero sviluppo dell’agenda politica sull’ambiente. Persino la nuova enfasi che le forze del centro-sinistra, dal governo o dall’opposizione, pongono oggi sulla “crescita con redistribuzione” per frenare diseguaglianze e ingiustizie sociali, di fatto esprime una cultura politica industrialista, una cultura tuttora più diffusa di quanto sembri e che, sotto il sigillo dell’alleanza capitale-lavoro, frena l’azione ambientalista. Qui sta una parte importante del problema. Non ci resta che continuare a lavorare su questa cultura politica, senza semplificare o mistificare le questioni in gioco, quelle scientifiche e quelle economiche, quelle culturali e quelle politiche. Diversamente, la priorità della politica ambientale andrà sempre a rilento e il New Deal Verde proclamato dalla Commissione Ue sarà solo la bandiera di una nave che viaggia in altre direzioni. E poi c’è l’inquinamento, un male più sottile e “liquido” delle catastrofi da cambiamento climatico. Destino del Titanic, il nostro?

2 Replies to “La polis e l’ecologia. Natura madre e matrigna tra scienza, politica e opinione pubblica”

  1. Abito in alta Valcamonica (Brescia),purtroppo investita dagli ultimi disastri climatici che hanno danneggiato numerose aree montane italiane.Fortunatamente,si fa per dire,niente danni a persone o case,ma la natura ne ha fortemente risentito.Determinate aree non esistono più,anni per rifare il tutto,natura e uomo permettendo.Come si dice da noi non tutti i mali vengono per nuocere,le cooperative sociali hanno lavoro per anni e qualche commerciante locale ha di che speculare.Anche questi aspetti fanno parte del nostro vivere.Per correttezza devo dire che qui da noi tanto è stato fatto in questi anni per il territorio.L’articolo giustamente va oltre,come incidono in tutto questo le nostre scelte di vita,dal quotidiano alle grandi trasformazioni sociali del nostro immediato futuro. Antropologicamente l’uomo primordiale combatteva contro i suoi simili vivendo di caccia e raccolta,successivamente l’industrializzazione ha portato questo scontro in un ambito diverso,l’uomo combatte contro la natura per soddisfare i suoi infiniti bisogni,sprechi compresi.Probabilmente la natura tanto vituperata si sta prendendo la sua rivincita,sta vincendo contro l’uomo che tanto abusa della natura in ogni forma.Semplicemente mancanza di cultura,di rispetto di se stesso e dei posteri,l’equilibrio uomo natura si è rotto .Come al solito la politica ,partecipe attiva dei disastri con le sue manchevolezze lungimiranti,lancia proclami e organizza eventi che poi si risolvono in nulla di fatto.Gli interessi immediati sono troppo importanti e dunque salvaguardati in primis. I comuni mortali sono fortunatamente più attenti e la sensibilità in favore di questo enorme problema è senza dubbio in aumento. In ogni forum o dibattito sociale il lavoro è il tema centrale,basterebbe pensare a quanto se ne crea curando il territorio.Come al solito..il facile reso difficile dall’inutile!!!!

  2. L’assenza di forze sociali verdi che contino davvero a livello globale è un dato di fatto. In Italia poi, non contano neanche per finta.
    L’onda di entusiasmo per Greta, fridays for future, extinction rebellion, e altri movimenti ambientalisti è senza dubbio una benedizione, in quanto moda utile al rallentamento della distruzione del pianeta, ma a lungo andare inoffensiva, in quanto spettacolare in senso debordiano. Non v’è vera coscienza dei problemi e delle loro cause, solo simpatia per dei giovani ragazzini ribelli. La decrescita economica è lo spauracchio della totalità degli schieramenti politici. Se sono “verdi”, l’iperproduzione e l’iperconsumo vanno bene.
    Non so quante probabilità ci siano che il nostro spirito di autoconservazione riesca infine a salvare l’umanità. Ma anche se ci autosterminassimo, rosolati come costolette dalla crescente desertificazione, non sarebbe bello farlo lottando per riportare in auge delle convinzioni culturali, etiche e religiose che Lei in questo articolo chiama giustamente demodé?
    Finché c’è ancora una piccola speranza, e anche qualora non ci fosse, preferirei comunque essere una costoletta con della dignità piuttosto che una derivanta da un animale che ha mangiato troppo, male e stupidamente.

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